IL CAMBIO DI STRATEGIA IN SIRIA NON SALVERA’ WASHINGTON

Sulla strategia e il rapporto di collaborazione e conflitto tra Stati Uniti, Turchia, Curdi e Daesh.

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IL CAMBIO DI STRATEGIA IN SIRIA NON SALVERA’ WASHINGTON


di Federico Pieraccini
 
In merito al conflitto Siriano sono state scritte numerose analisi, eppure uno degli aspetti meno noti riguarda la strategia e il rapporto di collaborazione e conflitto tra Stati Uniti, Turchia, Curdi e Daesh.

Sin dall'inizio del conflitto in Siria Washington e Ankara non hanno mai esitato nell'utilizzare a proprio vantaggio le avanzate di Daesh. L’occupazione di località Siriane nei pressi del confine Turco da parte degli estremisti Islamici è risultata essere una delle tattiche preferenziali adoperate da Stati Uniti e Turchia. Chiudere un occhio,  spesso entrambi, sulle operazioni di Daesh significava, indirettamente, attaccare lo stato Siriano, minacciarne l’integrità e permettere la creazione di località protette a disposizione dei gruppi terroristi in cui ricevere armi e sostegno materiale per reiterare  l’aggressione al governo di Damasco nel resto del paese.

Nel caso specifico della Turchia ci sono state anche altre valutazioni. L’avanzata di Daesh supportata energicamente da Ankara ha sottratto territorio anche ai Curdi Siriani causando morte e caos nella loro comunità. Vista la conflittualità storica tra le due fazioni, è scontato specificare che ogni vessillo innalzato da ISIS/ISIL si traduceva in una vittoria per Erdogan e un successo del piano di disgregazione della comunità Curda in Medio Oriente. 

Con atteggiamento subdolo e parzialmente compiacente, gli Stati Uniti hanno reagito a questo comportamento di Ankara in due maniere. In primis imponendo un black-out di informazione sui traffici tra Turchia e Daesh, ma soprattutto mai attaccando ISIS in Siria con la così detta Coalizione Internazionale. 

Ciò che ha cambiato le carte in tavola è stato l’intervento militare Russo nel Settembre del 2015. Mosca è stata in grado di svelare il muro di omertà e collusione presente in Siria tra organizzazioni terroristiche quali Daesh, Al Nusra, Jaysh al Islam, Ansar al Islam e paesi come Stati Uniti, Giordania, Arabia Saudita, Qatar e Turchia. Oltre ad agire con mezzi militari, la Federazione Russa è stata in grado di applicare una forte pressione diplomatica sui paesi occidentali e grazie a Russia Today (RT), ha smascherato ripetutamente le vere intenzioni degli oppositori del governo Siriano: sostenere il terrorismo contro il legittimo governo di Damasco a qualunque costo.

Dal Settembre 2015 la guerra di aggressione alla Siria ha subito un duro colpo con la triplice azione militare-diplomatica-mediatica di Mosca. Molti territori precedentemente persi sono stati rapidamente riconquistati dall'esercito Siriano (SAA). La liberazione di Palmira e la strada già tracciata per Deir ez-Zor, le vaste aree ripulite intorno e oltre la base militare russa in provincia di Latakia, la recente vittoria a Darayya e ad Aleppo mostrano finalmente una chiara soluzione militare alla crisi in Siria. 

Le conseguenze delle avanzate e delle riconquiste strategiche operate dal SAA, combinate con l’impossibilità per Washington di intervenire direttamente nel conflitto con mezzi e uomini, ha obbligato Washington a variare la loro tattica iniziale. Il sostegno occulto (volutamente mai menzionato da TV e giornali) ai gruppi terroristici continua imperterrito, altrettanto si può dire per gli alleati di Washington nella regione, ciò che è cambiato è il racconto dei media in merito al conflitto. 

Gli attentati terroristici dei mesi recenti in Europa e negli Stati Uniti hanno catturato l’attenzione del grande pubblico e grazie ad un’accurata regia, specie negli Stati Uniti (complice le elezioni presidenziali), l’opinione pubblica è stata portata a credere che fosse necessario un intervento militare in Siria ed Iraq per arginare il fenomeno noto come Daesh. Pena, un deterioramento della sicurezza nazionale di svariati paesi occidentali. L’impossibilità di intervenire in prima persona ‘boots on ground’ ha spinto Washington ad armare e supportare direttamente (aviazione e forze speciali) i Curdi quali forza sul campo opposta ad ISIS/ISIL.

Dal canto loro i curdi, non avendo altre opzioni per riconquistare i territori persi precedentemente hanno accettato a loro rischio e pericolo di essere la forza sul campo prescelta della Coazione Internazionale. Hanno preferito ignorare il peccato originale di Washington (complicità con Daesh) cogliendo l’unica opportunità a loro disposizione. E’ stata una scelta che nel brevissimo periodo ha persino garantito i frutti sperati con la riconquista di svariate aree ed un’espansione del proprio territorio di oltre il 50%. Per alcune settimane i Curdi hanno sognato la riunificazione delle aree sotto il loro controllo in Siria ed Iraq, mentre Washington si godeva gli indiretti meriti mediatici (autoproclamati) della lotta contro Daesh, impedendo allo stesso tempo all’Esercito Arabo Siriano di riconquistare in prima persona il territorio in mano ad ISIS.

Dal punto di vista di Mosca questo cambio di approccio dell’amministrazione Obama al conflitto Siriano è stato una diretta conseguenza dell’intervento militare, diplomatico e mediatico della Federazione Russa e delle riconquiste del SAA e alleati. Un successo incompleto, ma pur sempre una vittoria contro un nemico di Damasco (Daesh). Una vicenda complicata come il conflitto in Siria si distingue anche per momenti in cui una vittoria parziale è pur sempre preferibile alla possibilità di una sconfitta.

La seconda fase del piano Russo, molto più ambizioso e di difficile realizzazione, riguarda la collaborazione militare con Washington e i suoi alleati contro le organizzazioni terroristiche presenti in Siria. Il continuo rifiuto di questa proposta ha smascherato nuovamente le vere intenzioni di Stati Uniti e partner regionali: rimuovere Assad partizionando il territorio Siriano.

Il massiccio sostegno concesso ai Curdi da parte degli Americani ha creato il contesto ideale affinché Ankara avesse le necessarie giustificazioni per un intervento in Siria. La minaccia di un’unificazione del territorio Curdo sul confine Turco rappresentava una linea rossa che Erdogan non vedeva l’ora di varcare. Ciò che si comprende a distanza di mesi è che l’uso dei Curdi contro Daesh da parte di Washington è stata una mossa temporanea probabilmente concordata con Ankara, atta a placare l'attenzione verso Daesh del pubblico americano, per un tornaconto politico interno. Createsi le condizioni perfette, Ankara non ha esitato ad usarle a proprio vantaggio. In un colpo solo ha impedito la riunificazione delle località curde, ha compiaciuto l’alleato americano mettendo a disposizione una forza di terra strutturata (anche se per ora molto limitata) e tenta ora di ripulire la propria immagine mediatica grazie all'impressione di combattere Daesh. Approfondendo le dinamiche delle ultime settimane si scopre però che ISIL/ISIS ha spesso abbandonato i territori controllati sul confine Turco, senza neppure ingaggiare un confronto armato con l’esercito di Ankara. Un comportamento coerente con le tesi che vedrebbero Daesh funzionale ai meccanismi occidentali di cambio regime in Siria. 

L’ultimo disperato tentativo Americano di utilizzare la carta Curda per raggiungere i propri obiettivi strategici contro Damasco, è stato il blando tentativo fallito di aizzare i Curdi Siriani contro le forze di polizia regolari ad Aleppo. Sfortunatamente per i policy-makers USA, il bluff è durato poco grazie alla mediazione Russa che ha posto fine agli scontri.

Nelle ultime settimane la situazione continua ad evolversi a vantaggio di Damasco. Aleppo oramai circondata significa l’inizio della fine per le bande di terroristi nel nord della Siria. Washington, a corto di opzioni ha prontamente scaricato il momentaneo alleato Curdo a favore di una collaborazione militare completa con Ankara. Erdogan dal canto suo aveva nel frattempo consolidato il proprio potere con la vicenda legata al colpo di stato e giostrato le sue opzioni in modo tale da poter spendere la carta dell’intervento militare diretto in Siria con molteplici scusanti.

Erdogan ha ribadite pochi giorni fa al G20 svoltosi in Cina, di essere disposto ad aiutare e collaborare con Washington per riconquistare la città di Raqqa, roccaforte dell’ISIS in Siria. La sostanza di questo cambiamento non muta gli equilibri, ma inasprisce il conflitto e lo pone su un nuovo livello. Tutti i gruppi armati presenti in Siria nel corso degli anni hanno dimostrato di non poter reggere il confronto militare con Damasco e i propri alleati. Gli Stati Uniti, con il sostegno ai Curdi, hanno obbligato la Turchia ad essere la tanto richiesta e necessaria forza sul campo, indispensabile per occupare i territori attualmente in mano a Daesh, impedendone la riconquista a Damasco e minando l’integrità territoriale della Repubblica Araba. 

E’ il Piano B di Washington che sta prendendo forma, l’ipotesi dello smembramento della Siria già paventato da numerosi think tank occidentali come Brookings Institute e RAND Corporation. Le possibilità che questo piano si realizzi restano tutte da dimostrare. Il Piano A è fallito miseramente: Assad è ancora al potere ed è solo questione di tempo prima che il SAA e i suoi alleati possano terminare di liberare buona parte del paese dalle forze terroristiche. 

Resta da vedere come Daesh reagirà di fronte alla minaccia di perdere la propria ‘capitale’ Raqqa a favore delle stesse forze che l’hanno creata ed aiutata a prosperare (Turchia e Stati Uniti). Se ISIS/ISIL dovesse decidere di combattere e non abbandonare la città, sarebbe una novità assoluta per la coalizione internazionale e l’esercito Turco che si troverebbero invischiati nel pantano Siriano come mai prima ad ora. Come reagirebbe la popolazione Turca ed Americana con soldati e forze speciali uccise o fatte prigionieri? Erdogan e Obama sarebbero ancora in grado di giustificare l’operazione?

Il silenzio e le proteste ponderate di Mosca di fronte all'incursione Turca in Siria confermano i sospetti: i territori riconquistati da Ankara non sono strategici, la forza numerica Turca è limitata (quindi anche gli obiettivi) e la corsa su Raqqa potrebbe causare più danni che benefici ad Erdogan e Obama. Oltretutto, al momento l’esercito Arabo Siriano ha altre priorità strategiche da sistemare e non può, ne vuole effettuare le necessarie contromisure per giungere prima a Raqqa, liberandola. 

Il bluff di Obama ed Erdogan è tutto riassunto nelle ultime righe. Paventando di liberare Raqqa e penetrare ulteriormente nel territorio Siriano, sperano di indurre le forze di Damasco e alleate a togliere pressione sui gruppi terroristici nel resto del paese, ad Aleppo in particolare, spostando le truppe verso la città di Raqqa. Ciò a cui assistiamo da qualche giorno sono dichiarazioni di piccole conquiste delle truppe turche in territorio Siriano, volte a spingere Damasco a cascare nel tranello preparato da Washington e Ankara.

Con il tempo che gioca decisamente a loro favore, Mosca, Damasco e Teheran osservano la situazione con relativa tranquillità. La strategia pianificata sta dando i frutti sperati e ora americani e alleati hanno solo la capacità di reagire agli eventi sul terreno, non di dettarli o crearli. Rispetto ad un paio di anni fa, è un cambiamento clamoroso. Se Erdogan e Obama vorranno iniziare a fare il lavoro sporco a Raqqa, contro lo stesso gruppo terroristico che hanno allevato contro Damasco, che facciano pure. 

Tutte le opzioni a disposizione di Washington e dei propri soci in terrore avranno effetti negativi sul fatidico obiettivo di disgregare la Siria. Raqqa è una città Siriana, abitata da Siriani e anche qualora venisse liberata da Ankara non potrà mai essere inglobata in un fantomatico territorio Turco.

Le contorsioni strategiche, le contraddizioni morali, l’inganno mediatico e le recenti sconfitte militari dei gruppi terroristici hanno trasformato la Siria in un laboratorio del disastro per Washington, Ankara, Doha e Riad da cui non esiste, per loro, alcuna via d’uscita pulita o vincente.

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