Iraq, 10 anni dopo: tra macerie, bugie e promesse mancate
"Sono passati dieci anni dalla uccisione di Saddam Hussein, l’uomo che è stato gettato in pasto all’opinione pubblica da parte dei media come capro espiatorio per giustificare l’ennesima stagione di ingerenze degli Stati Uniti e dell’Occidente nel Medio Oriente".
Sono passati dieci anni dalla uccisione di Saddam Hussein, l’uomo che è stato gettato in pasto all’opinione pubblica da parte dei media come capro espiatorio per giustificare l’ennesima stagione di ingerenze degli Stati Uniti e dell’Occidente nel Medio Oriente. L’Iraq, lo si sa, è un paese da sempre determinante dal punto di vista strategico per gli equilibri geopolitici mondiali, e non è casuale che le attenzioni in politica estera americane all’inizio del XXI secolo si siano concentrate proprio tra Tigri ed Eufrate, lo stesso luogo dove oggi si combatte con lo Stato Islamico.
Oggi a dieci anni di distanza dall’esecuzione di Saddam l’Iraq è tutto tranne che un paese pacificato, anzi, intere regioni sono cadute vittima di una ferocissima guerra civile che ha assunto connotazioni confessionali e ha distrutto comunità, città, intere regioni. Per quanto i media cerchino di propagandare una visione che mostri l’Iraq come paese vittima dell’Isis con gli Usa e l’Occidente che giungono in suo aiuto non ci va poi molto per capire come si tratti di goffi tentativi di mascherare complicità, omissioni o incapacità.
E dire che proprio nel 2011 l’ormai ex presidente americano Barack Obama ebbe a dire che gli americani, andandosene, avrebbero lasciato un Iraq stabile e sovrano, parole che suonano quasi grottesche alla luce di quello che sarebbe accaduto solo poco tempo dopo, con l’Isis che ha preso sostanzialmente possesso di gran parte del nord-est del Paese, Mosul compresa. In molti forse hanno dimenticato come nell’estate del 2014 le milizie del Califfato siano riuscite a conquistare Mosul anche grazie al fatto che decine di migliaia di soldati iracheni lasciarono il terreno senza combattere, abbandonando sul terreno armi e attrezzature militari poi finite nelle mani dell’Isis.
E di fronte al ginepraio dell’Iraq attuale, dove alla presenza dell’Isis si è sommata quella delle milizie sciite filo-iraniane e delle truppe turche (queste ultime non certo desiderate da Baghdad), in molti cominciano ad ammettere anche negli Stati Uniti che forse le scelte dissennate di Washington abbino contribuito direttamente alla crescita e alla diffusione dell’Isis.
Come riportato da RT.com (https://www.rt.com/news/370696-hussein-removal-mistake-isis/), John Nixon, ovvero l’ufficiale della Cia che nel 2003 interrogò Saddam, probabilmente l’Isis non avrebbe mai trovato occasione di crescere o diffondersi in Iraq con il precedente governo. Non solo, a detta di Nixon il governo di Saddam riteneva i gruppi islamisti estremisti una vera e propria minaccia al proprio potere, e la stessa cosa si potrebbe tranquillamente sostenere circa Gheddafi e la Libia.
Alla luce di tutto questo dunque si può sostenere che chi ha propagandato le cosiddette Primavere Arabe e chi qualche anno prima ha organizzato l’invasione dell’Iraq sapeva perfettamente quali sarebbero stati gli scenari che ne sarebbero derivati, con tutte le drammatiche conseguenze del caso.
Daniele Cardetta