La guerra chimica invisibile. A cosa servono agli USA i laboratori segreti sul territorio post-sovietico?

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di Giuseppe Acciaio


Un mese fa nelle regioni di Lori e Shirak, nel nord e nord-ovest dell'Armenia è scoppiata l’epidemia bovina.

Stranamente i mass media ufficiali hanno del tutto sorvolato questa notizia; il suo epicentro si è scatenato proprio nei pressi di una base militare del Ministero per la Difesa Americana con dei laboratori di ricerca strategicamente collocati a Gyumri, centro amministrativo della provincia di Shirak.

Con il proliferare delle rivoluzioni colorate su tutto il territorio post-sovietico, gli USA hanno tempestivamente modernizzato o creato diversi laboratori volti allo sviluppo o ricerca sulle epidemie pericolose o mortali sia per l’uomo che per gli animali.  

La nascita di tali laboratori stranamente avviene di nascosto dai riflettori, di conseguenza anche il loro operato non viene controllato.  

Con l’elezione del presidente Saakashvili in Georgia nel 2004, un laboratorio simile è stato collocato nella provincia di Tbilisi; invece l’Ambasciatore americano in Ucraina John Tefft nel 2010 ha assistito personalmente all’apertura del laboratorio di ricerca a Odessa, tre anni dopo sono spuntati altri laboratori nelle principali citta ucraine come Kiev, Dnipropetrovsk, Lviv ed etc. 

L'“invasione” ha colpito anche Moldova, Azerbaigian, Kazakistan e Uzbekistan.

Il Pentagono non bada assolutamente alle spese, cosi per i laboratori ucraini ha speso più di 175 milioni di dollari, quelli georgiani 150 milioni e quelli kazaki qualcosa come 130 milioni.

Il processo di creazione di una rete di laboratori militari è stato supervisionato da Andrew C. Weber ex assistente del Segretario alla Difesa per i programmi di difesa nucleare, chimica e biologica.

L’attività e il finanziamento dei laboratori viene gestita dell’agenzia di riduzione di minacce del dipartimento della difesa degli USA (Defense Threat Reduction Agency). In teoria questi laboratori dovrebbero lottare contro la nascita e l’evoluzione dei vari virus che possano causare le epidemie, ma nei fatti accade il contrario: nelle zone limitrofe scoppiano le mini epidemie controllate, che, tempestivamente, senza attirare alcuna attenzione dei mass-media, tendono a scomparire. 

Il caso dell’epidemia bovina in Armenia è un valido esempio. 





Sembra perlomeno sospetto che dal momento della proliferazione delle rivoluzioni colorate l’America si sia impegnata così tanto a creare nuovi laboratori proprio nelle zone limitrofe ai conflitti.  Solo in Armenia esistono tre centri di ricerca, e guarda caso quello di Gyumri si trova nei pressi della base militare Russa che può facilmente diventare un potenziale bersaglio.

L’esistenza di questi laboratori gestiti dal Pentagono vanno contro la Convenzione sottoscritta dai membri dell’ONU nel 1972 sulla proibizione dello sviluppo, produzione e immagazzinamento delle armi batteriologiche (biologiche) e sulle armi tossiche e sulla loro distruzione.

Durante la creazione di questi laboratori, gli americani hanno apertamente proposto alle ex repubbliche sovietiche di scambiare i ceppi batterici dei virus pericolosi per un compenso economico. I ceppi che dovevano essere distrutti tanto tempo fa, come pretende l’OPAC (l’organizzazione per la proibizione delle armi chimiche) dalla Cina, Russia e USA come i principali conservatori delle armi chimiche, vengono custoditi nella “zona grigia” e non sul territorio americano, ma in paesi in cui formalmente non ha nessun legame.

Una mossa astuta per poter lavorare in modo del tutto indisturbato sui nuovi virus nella prossimità degli eventuali nemici - ad esempio la Russia.

I mass-media mondiali hanno dedicato moltissima attenzione alla tragedia Siriana, ma nessuno si è posto il problema di affrontare il fatto che gli Stati Uniti lavorino apertamente con le armi chimiche e con prove sul campo. La questione dovrebbe essere sollevata non solo dall’OPAC ma anche dall’ONU per poter verificare se il tutto sia in violanzione della convenzione, mettendo in pericolo la comunità mondiale. Quest'ultima, sottoscrivendo la Convenzione, ha apertamente vietato lo sviluppo, produzione e immagazzinamento delle armi chimiche come le più pericolose e ingestibili al mondo, andando ben oltre quelle nucleari.

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