Le balle russofobe dell’Economist: in Russia va tutto male, la Russia minaccia il mondo

Le balle russofobe dell’Economist: in Russia va tutto male, la Russia minaccia il mondo

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di Eugenio Cipolla

«Le dittature non sono tutte uguali. Ci sono quelle buone, quelle dei generali filoccidentali, e quelle cattive, in Russia ed Europa dell’Est. Non bisogna dire “sono dei dittatori che incarcerano i loro oppositori e torturano i loro prigionieri politici”, ma “sono dei difensori del mondo libero, che essi proteggono dall’infezione comunista”. Questa è la prima lezione che non ho mai dimenticato». A scrivere queste parole è Guy Mettan, giornalista svizzero ed esperto geopolitico della Russia, nel suo ultimo libro, Russofobia, mille anni di diffidenza. Sono circa 400 pagine piene zeppe di storia e di confronti, di come, ad esempio, sia sempre esistito un doppiopesismo nel giudicare Russia e occidente. Con quest’ultimo che l’ha sempre fatta da padrone, attraverso via militari e non, attraverso campagne mediatiche pilotate da lobbies e poteri forti, interpretazioni creative delle leggi e dei trattati internazionali a seconda delle situazioni.

«Per un occidentale – scrive ancora Mettan – un accordo non è che una tappa provvisoria e lo “Stato di diritto” sbandierato dai giuristi occidentali è una forzatura  in termini: non è né uno Stato, dato che non si tratta di qualcosa di statico e immutabile, né un diritto fisso e rettilineo, dato che si evolve senza sosta in maniera tortuosa e imprevedibile secondo il capriccio degli interessi, delle lobby e delle mode intellettuali del momento. Conformemente alla mentalità inglese, il diritto non si fonda tanto su principi, quanto sull’evoluzione della giurisprudenza. Per l’Occidente il diritto è dunque un processo valido oggi, ma domani obsoleto. E’ un sistema vantaggioso per fare la guerra e conquistare nuovi territori attraverso vie non militari, e raramente un fine in sé, secondo l’adagio:”tutto ciò che è mio è mio, tutto ciò che è tuo è negoziabile”».

La premessa, anche se un po’ lunga e molto generale (nel senso che non entra nello specifico di nessun avvenimento), era doverosa. Perché leggendo l’ultimo articolo dell’Economist si ha l’impressione che le tesi di Mettan non siano il frutto della cosiddetta “propaganda putiniana”, ma una semplice constatazione della realtà. Sabato, infatti, il settimanale inglese ha dedicato un lungo pezzo dal titolo molto eloquente (“La minaccia dalla Russia, come contenere il mortale e disfunzionale impero di Vladimir Putin”) e dal contenuto piuttosto dubbio, per usare un eufemismo. Pieno, insomma di balle decisamente russofobe. Vediamo quali.   

“Ogni settimana Vladimir Putin, presidente della Russia, trova nuovi modi per spaventare il mondo. Di recente ha trasferito missili con capacità nucleare vicino a Polonia e Lituania. Questa settimana ha inviato un gruppo di portaerei lungo il Mare del Nord. Ha minacciato di abbattere qualsiasi aereo americano che attacchi le forze del despota siriano, Bashar al-Assad. L’inviato delle Nazioni Unite della Russia ha detto che le relazioni con l'America sono al loro più tese da 40 anni a questa parte. Le notizie della televisione russa sono piene di missili balistici e rifugi”. 

A prescindere che tra Polonia e Lituania c’è una enclave russa che si chiama Kaliningrad (ed essendo territorio sotto la giurisdizione di Mosca, Mosca è libera di piazzarci ciò che vuole), che le esercitazioni nel Mare del Nord erano programmate da tempo (così come quelle che la Nato, più di una decina, sta facendo in Europa orientale con il contributo di molti paesi) e che la Russia è l’unico paese in Siria ad avere l’autorizzazione del governo legittimo (quello eletto con elezioni ufficiali) a poter operare militarmente sul suolo siriano, sembra proprio che l’allarmismo sia la nuova strategia che l’occidente sta provando a utilizzare per spaventare i propri cittadini, facendo apparire la Russia come una minaccia globale, quasi al pari della Corea del Nord di Kim. Perché la televisione russa in questi giorni parla dei missili balistici e dei rifugi, ma da qui a scrivere che le televisioni «sono piene» di queste notizie, quasi se ne parlasse 24 ore al giorno e non, come poi realmente accade, come semplici fatti di cronaca, ce ne passa.

D’altronde già un paio di settimane fa il Corriere della Sera, con la firma in calce di Fabrizio Dragosei, ci aveva regalato questa “perla”, sostenendo che in Russia c’è la corsa alle scorte alimentari e all’acquisto di rifugi anti-atomici. Cosa del tutto falsa. E per farlo non serve andare sul sito del Cremlino o su qualche giornale filo-governativo, ma basta leggere la lettera di un gruppo di imprenditori italiani che lavorano da anni in Russia e che hanno risposto inviando una lettera al direttore del quotidiano di Via Solferino. «Le scriviamo in relazione all’articolo, a firma Fabrizio Dragosei, apparso oggi nella prima pagina del suo giornale, relativo alla Russia, dove si paventa un clima di Guerra, con tutta una serie di fatti ed esempi che starebbero a dimostrare il contenuto dell’articolo.

Non abbiamo certo la pretesa di modificare le convinzioni del suo giornale sulla Russia, vorremmo però chiedere un maggior senso di responsabilità nel diffondere notizie che possono creare preoccupazione e panico tra le migliaia di nostri connazionali che lavorano e intrattengono relazioni di vario genere soprattuto economico con questo Paese. In Russia non c’è alcun clima di guerra e gli esempi forniti dal giornalista sono del tutto inesatti o palesemente parziali. Le esercitazioni della Protezione Civile vengono effettuate ormai da 16 anni con cadenza regolare, come peraltro avviene in tanti altri Paesi, le scorte di grano e generi alimentari esistono in Russia dal 1949, quando venne creato un apposito Servizio Statale sulle scorte strategiche, che viene alimentato e rinnovato costantemente. Tralascio le considerazioni sulle vicende militari in quanto oggetto di sostanziale disinformazione mediatica in atto da tempo». Insomma, è in atto il tentativo di creare paura e tensione tra i cittadini dell’occidente, screditando al tempo stesso l’immagine di una Russia che se avesse voluto invadere l’Ucraina e arrivare fino a Varsavia lo avrebbe già fatto due anni fa e in appena 48 ore.

“La Russia affronta gravi problemi in economia, politica e società. La sua popolazione sta invecchiando e dovrebbe ridursi del 10% entro il 2050. Il tentativo di utilizzare il boom delle materie prime per modernizzare lo Stato e la sua economia è fallito […] L’economia, cresciuta del 7% l’anno all’inizio del regno di Putin, ora si sta ridimensionando. Le sanzioni sono in parte responsabili, ma la corruzione e il calo del prezzo del petrolio di più. Il Cremlino decide chi diventa ricco. Vladimir Yevtushenkov, un magnate russo, è stato detenuto per tre mesi nel 2014. Quando è uscito, aveva ceduto la sua compagnia petrolifera”.

Questo passaggio va analizzato a fondo per capire come la realtà sia spesso distorta per ricavarne tesi a proprio vantaggio. Cominciamo dalla fine. L’Economist prende in esame il caso di Vladimir Yevtushenkov, facendo capire che siccome il Cremlino «decide chi diventa ricco», nel 2014 è stato sbattuto in galera e ridotto sul lastrico. Non entreremo nel merito del caso giudiziario (ci vorrebbe un libro), ma Vladimir Yevtushenkov non è certo una persona sul lastrico, come cerca di far intendere il settimanale londinese. Piuttosto è uno di quei tanti oligarchi che dopo la caduta dell’Urss e la iper-liberalizzazione del mercato russo si sono rapidamente arricchiti alle spalle di milioni di onesti russi. Per carità, i numeri parlano chiaro: nel 2014 il valore del suo patrimonio era stimato da Forbes in 9 miliardi di dollari.

Poi sono arrivate le accuse, l’arresto e il processo sull’acquisizione della compagnia petrolifera Bashneft (il tribunale gli ha ordinato di restituirla allo Stato), così il suo patrimonio è sceso nel 2016, secondo le stime di Forbes, ad “appena” 3 miliardi di dollari. La sua società, Sistema, possiede infatti MTS, il più grande operatore mobile del paese e ha interessi nel settore energetico, ingegneristico, agricolo e persino dei media. Precisato ciò, è importante notare anche come nella prima parte la rivista descriva la Russia come uno Stato in forte crisi demografica ed economia.

Che è un po’ la stessa situazione nella quale si trova l’Europa, dove nel 2050 la popolazione diminuirà in maniera significativa e l’età media, secondo le stime dell’Onu nel World populations prospect del 2006, passerà da 39 a 47 anni. E’ vero l’economia russa negli ultimi due anni ha subito un forte rallentamento (tant’è vero che si è contratta del 3,7% lo scorso anno e si contrarrà anche quest’anno), ma le prospettive per il futuro sono tutt’altro che negative.

Lo dice ovviamente il Cremlino, lo dice Putin, lo dice Medvedev e con essi tutti i suoi ministri, ma lo dicono anche poteri come Fondo Monetario Internazionale e Moody’s e questo sconfessa la teoria di chi afferma che «Putin porta avanti il nazionalismo e le guerre per distrarre la popolazione dalla fame». Secondo l’organismo presieduto da Cristine Lagarde, che lo ha messo nero su bianco nel  World Economic Outlook del 4 ottobre, l’economia russa sta mostrando segni di stabilizzazione e di questo sviluppo beneficeranno anche i paesi nella Comunità degli Stati Indipendenti. «La Russia – si legge - si sta adeguando al dual shock dei prezzi del petrolio e delle sanzioni, mentre le condizioni finanziarie risultano facilitate dopo che le riserve di capitale delle banche sono state sostituite con i fondi pubblici». Tanto è vero che lo stesso FMI si è dovuto arrendere all’evidenza, rivedendo in positivo le stime sul Pil della Russia nel 2016, che comunque si contrarrà dello 0,8% (ad aprile calcolarono l’1,8%), per poi tornare in positivo nel 2017 (+1%) e attestarsi all’1,5% nel lungo periodo.  Anche l’inflazione, nonostante la difficile situazione, è stata tenuta sotto controllo.

Il governo stima di chiudere al 6%, puntando nel medio-lungo periodo di portarla sotto il 4%. In questo quadro “apocalittico”, persino la disoccupazione si è  mantenuta sotto il livello medio dell’Eurozona (per chi non lo sapesse ad agosto era al 10%), ossia attorno al 6%. Il Ministero dello Sviluppo economico punta a stabilizzare la situazione nel biennio 2016-2017, portando il tasso al 5,7% entro il 2019. Giusto ieri Moody’s, che con Mosca non è mai stata tenera, ha modificato le sue previsioni riguardanti il sistema bancario russo da "negative" a "stabili". «Ci sono stati segnali emergenti di recupero nell'economia russa, che andranno probabilmente ad influire in modo positivo sulle banche», ha riferito l’agenzia di rating. «La moderata ripresa economica e la stabilizzazione degli indicatori macroeconomici fanno presagire un miglioramento dello scenario operativo per le banche russe. Proprio per questo ci aspettiamo aumenti della loro capace di profitto e ritenzione di capitale», ha detto il vicepresidente di Moody's, Irakli Pipia.

Ovviamente nessuno vuole far passare l’immagine di un paese-eldorado dove emigrare per crearsi una nuova vita, ma economicamente parlando non ci troviamo nemmeno di fronte allo Zimbabwe.


“L’Ucraina mostra come Putin cerca di destabilizzare i paesi cercando di fermarli rispetto alla loro uscita dall'orbita della Russia. Il prossimo presidente degli Stati Uniti deve dichiarare che, contrariamente a quanto ha detto il signor Trump, se la Russia utilizza queste tattiche contro un membro della NATO, come la Lettonia o l'Estonia, l'alleanza lo valuterà un attacco contro tutti. L'Occidente deve mettere in chiaro che, se la Russia si impegna in un’aggressione su larga scala contro gli alleati non-NATO, come la Georgia e l'Ucraina, si riserva il diritto di armare questi paesi”.

L’immagine di Putin che «destabilizza» l’Ucraina è ormai entrata nell’immaginario collettivo dell’occidente. Molte persone ignorano che alla base della crisi ucraina ci sono vari fattori che vanno dai problemi sociali di un paese dilaniato dalle guerre tra oligarchi alle differenze etniche e sociali che ci sono tra l’ovest nazionalista e l’est filorusso. Per farla breve, chi pensa che una mattina Putin si è alzato e ha invaso l’Ucraina, sbaglia di grosso.

Non è propaganda, è un dato di fatto. In Crimea è stato organizzato un referendum (che la comunità internazionale giudica illegittimo, ma chi è la comunità internazionale per poter negare il diritto all’autodeterminazione dei popoli?) che ha visto la popolazione pronunciarsi a favore, quasi all’unanimità, della costituzione di una repubblica autonoma, che si è (ri)unita alla Russia solo successivamente. Il discorso Georgia è praticamente uguale. Cambiano gli attori, ma le modalità sono le stesse. Per info chiedere a quello stesso Saakashvili che nel 2008, come oggi, si trova dalla parte della barricata che vede Vladimir Putin come il nemico numero uno. Resta dunque da discutere quanto possa essere morale il tentativo di convincere l’Occidente ad armare paesi come Georgia ed Ucraina, i quali nonostante tutto rimangono stati confinanti con la Russia. Chissà come reagirebbe il signor Bianchi, se domattina vedesse occupare gradualmente e in modo abusivo da un abitante dello stesso quartiere il giardino di casa propria. Tirerebbe su una recinzione, magari schierando qualche spaventapasseri, o lascerebbe avanzare inesorabilmente il proprio nemico?

La risposta è lapalissiana. Soprattutto perché la Nato, nata per contrastare l’Unione Sovietica negli anni della prima guerra fredda non avrebbe più ragione di esistere dal 1991. E invece non solo è rimasta, ma si è pure espansa, fagocitando, ad eccetto di Russia e Bielorussia, tutto il blocco orientale dell’Europa. Perché i missili di Putin tra Polonia e Lituania saranno brutti e pericolosi, ma non bisogna dimenticare quelli piazzati dagli Usa in Polonia e Romania. Sicuri non si tratti della stessa identica cosa?

“Le interferenze russe in merito alle elezioni presidenziali americane meritano una rappresaglia misurata”.

Come abbiamo visto, la campagna elettorale americana ci sta regalando il peggio finora mai visto. L’obiettivo è far vincere Hillary Clinton e per farlo si stanno utilizzando tutti i mezzi possibili e immaginabili.

Donne “molestate” da Trump in prima elementare si stanno materializzando dopo di silenzio, rockstar mature offrono prestazioni sessuali in cambio di un voto in favore della candidata democratica, star del cinema di Hollywood diffondono video di insulti nei confronti dell’odiato Trump.

E poi c’è anche la presunta interferenza della Russia nelle elezioni americane. Come? Attraverso la diffusione delle mail di Hillary Clinton. Mail per le quali bisognerebbe indignarsi più per il contenuto che per le modalità di reperimento e diffusione.

La morale è che il sistema dei poteri forti americano sta utilizzando la leva del patriottismo e della russofobia per convincere gli indecisi a votare Hillary, indicando Trump come un pupazzo nelle mani di Putin e sorvolando sui finanziamenti ricevuti dalla Clinton Foundation da parte di stati canaglia. Il Cremlino ha sempre smentito di voler influenzare il voto degli americani, dichiarandosi semplice osservatore. Un po’ come sta facendo per il referendum italiano del 4 ottobre, che deciderà le sorti politiche dell’attuale governo. Qualcuno si è accorto se Putin si è schierato a favore del SI’ o del NO, come il suo omolgo Obama?

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