L’Europa inizia a pensare l'impensabile: smantellare l'eurozona. Dal Financial Times

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L’Europa inizia a pensare l'impensabile: smantellare l'eurozona. Dal Financial Times

 Di Tony Barber, 3 marzo 2017*

Per farsi un’idea dell’incertezza che aleggia sul destino dell’Unione europea, basta leggere il “libro bianco” dei Jean-Claude Juncker riguardo il futuro dell’Europa.

Mercoledì questo documento del Presidente della Commissione europea è stato reso pubblico, e conteneva addirittura cinque possibili scenari per l’evoluzione dell’UE da qui al 2025: “tirare avanti”, “nient’altro che il mercato unico”, “quelli che vogliono fare di più fanno di più”, “fare meno in maniera più efficiente” e “fare molto di più insieme”.

La vaghezza e genericità del libro bianco è comprensibile. Mentre si avvicinano le elezioni in Olanda, Bulgaria, Francia, Germania e in Repubblica Ceca, non c’è praticamente nessun governo che abbia voglia di seguire le ambiziose iniziative di Juncker.

Tuttavia, i governi si rendono conto che l’Europa sta creando rischi al mondo intero in una maniera che non si era più verificata dalla fine della guerra fredda negli anni 1989-91. Gli strateghi di politica estera a Berlino, Parigi e nelle altre capitali stanno rivedendo le loro posizioni a lungo condivise sull’inevitabilità dell’integrazione europea e la stabilità dell’alleanza Europa-USA nell’ambito della sicurezza.

L’Europa “a più velocità”, che incoraggia alcuni paesi a integrarsi più velocemente di altri, è tornata di moda. Questa idea, attraente in special modo per alcune parti dell’Europa occidentale, ha ricevuto sostegno da Jean-Marc Ayrault e Sigmar Gabriel, i Ministri degli esteri di Francia e Germania. Un’altra idea è di aumentare la collaborazione nella difesa, in modo che in questo campo l’UE diventi per gli Stati Uniti un partner più credibile.

Al di là di queste proposte relativamente prudenti, alcuni responsabili politici e analisti indipendenti stanno pensando l’impensabile. Un esempio è il report di MacroGeo, una società di consulenza presieduta da Carlo de Benedetti, un veterano della comunità imprenditoriale italiana. Il report “L’Europa al tempo di Trump e della Brexit: Disintegrazione e Riorganizzazione”, arriva a conclusioni coraggiose. Afferma che l’UE nella sua forma attuale con ogni probabilità va incontro alla decomposizione, anche se dovessero vincere le elezioni di quest’anno politici pro-integrazione come Emmanuel Macron, il centrista indipendente francese, e Martin Schulz, il social democratico tedesco.

“Per il ciclo elettorale 2021-22, l’UE potrebbe entrare negli ultimi cinque anni della sua ‘reale’ esistenza”, dice il report, che considera che le strutture legali formali dell’unione con sede a Bruxelles potrebbero resistere più a lungo.

Il report sostiene che, al di là di shock quali il voto britannico per l’uscita dall’UE, i trend geopolitici di lungo termine stanno portando l’unione valutaria all’atrofia. Ai confini orientali e meridionali dell’Unione si affacciano molti problemi: l’immigrazione clandestina, stati prossimi al fallimento, terrorismo, cambiamenti climatici e revisionismo russo.

Nel frattempo, gli Stati Uniti si stanno lentamente disimpegnando dall’Europa per focalizzarsi sulla Cina e l’estremo oriente. La Germania non occuperà il posto degli Stati Uniti come potenza egemone di riferimento per l’Europa: non lascerà mai che l’eurozona diventi una “unione di trasferimenti fiscali” e, nonostante le speculazioni riguardo a un deterrente nucleare tedesco, il suo passato nel ventesimo secolo dice chiaramente che né la Germania né i suoi vicini vogliono che essa diventi la potenza militare dominante dell’Europa.

La disintegrazione dell’UE scatenerebbe “i pericolosi demoni nazionalistici del passato europeo”, come teme Guy Verhofstadt, ex primo ministro belga? Gli autori del report di MacroGeo prevedono che non si avrà un’anarchica competizione tra gli stati-nazione, bensì “l’affermazione di un nucleo centrale geoeconomico intorno alla Germania”.

Questo sarebbe formato dalla Germania e dai paesi che ne costituiscono la filiera industriale, cui si addice la cultura fiscale e monetaria tedesca. In maniera disarmante, gli autori suggeriscono che, “se l’Italia dovesse dividersi”, l’Italia del Nord potrebbe unirsi al gruppo formato da Olanda, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e alcuni paesi scandinavi. Questa evoluzione presuppone la disgregazione dell’eurozona a 19 paesi.

I ministri delle finanze e i banchieri centrali europei ci ripetono che questo passo sarebbe devastante per le economie europee e per la stabilità finanziaria globale. Tuttavia, questa prospettiva è in discussione, e non solo nei circoli del partito di estrema destra francese, il Front National, o nel partito anti-estabilishment italiano M5S.

Mediobanca, una banca d’investimenti che una volta era l’emblema del capitalismo del nord Italia, a gennaio ha pubblicato un rapporto controverso  in cui suggeriva che, in termini di debito pubblico, l’Italia non soffrirebbe particolarmente lasciando l’eurozona. Il mese scorso il Parlamento olandese ha votato per l’istituzione di una commissione d’inchiesta sui pro e contro dell’appartenenza olandese all’eurozona, una mossa che riflette la frustrazione nei confronti della politica di tassi ultra-bassi e del programma QE della Banca centrale europea. Nel valutare il futuro dell’Europa, questi sviluppi vanno presi attentamente in considerazione – forse più attentamente del “libro bianco” di Juncker.

*Traduzione a cura di Vocidallestero.it

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