"Morti Covid". Perché l'Italia non fa come i paesi dove il tasso di letalità è vicino allo 0?

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di Francesco Santoianni


200.000 tamponi al giorno! Che ci costano 210 milioni di euro al mese. Si, ma a cosa servono questi tamponi? A scovare presunti “positivi” asintomatici (cioè non manifestano né manifesteranno, nel 95% dei casi, alcun sintomo) e chiuderli a casa per almeno dieci giorni. Intanto si cercheranno (ad esempio, tramite la scheda che il “positivo” ha dovuto compilare alla tavola calda dove mangia ogni giorno) suoi “contatti”; i quali sarà sottoposti anch’essi a tampone ed, eventualmente, chiusi in quarantena. E così via a macchia d’olio in una parossistica caccia all’untore mentre il bilancio ufficiale di questa nuova fase dell’epidemia diventa sempre più drammatico.


A proposito. Ma com’è che in Italia si registrano ogni giorno migliaia di “contagiati” e centinaia di “morti per Covid”? In Giappone, ad esempio, oggi sono meno di 700 i casi e 5 i morti; 61 contagi e zero morti in Corea del sud, 5 i casi nell’intera Australia e uno solo in Nuova Zelanda. Ma davvero è il risultato delle “ferree misure di tracciamento” come dichiara qualcuno? O perché lì si utilizzano affidabili tamponi e non si spacciano tutti i morti, risultati - prima o dopo il decesso – “positivi” al tampone, come “morti per Covid”?


Sulla faccenda “morti per Covid” la mistificazione ha raggiunto livelli inimmaginabili mentre sulla affidabilità dei tamponi oggi usati in Italia ci risponde questo studio che documenta come oggi l’”infezione” da virus Sars-Cov-2 viene attestata non già dalla presenza di tre sequenze genetiche (gene E, gene RdRp e gene N) come avveniva a marzo ma bensì da una sola di questi. Si direbbe che sia un mero escamotage per tenere alta la paura in Italia (ma la stessa cosa può dirsi per paesi come la Francia, Spagna, Gran Bretagna…) e scansare così rivolte di chi vuole la testa del governo per la sua fallimentare gestione dell’emergenza. 


Intanto, sulla stampa, vengono travisati modelli di gestione dell’epidemia, ad esempio, quelli adottati in Svezia dove, invece di un indiscriminato lockdown, si è preferito proteggere persone a rischio (iper-anziani e immunodepressi) ad esempio, fornendo a queste efficaci dispositivi provvisti di filtri (non le inutili mascherine), un servizio gratuito di consegna a casa della spesa e della pensione, percorsi preferenziali negli uffici pubblici, bonus taxi per evitare che si affollino nei mezzi pubblici….


Proposte che, ovviamente, sono state tradotte dai nostrani media come una sorta di chiusura in gabbia per queste persone. E questo per imporre la convinzione (purtroppo sposata anche da tante organizzazioni “comuniste”) che non ci sarebbero alternative al perenne lockdown e alla erogazione di sussidi (che, ovviamente tra un po’ saranno finanziati tagliando stipendi e pensioni). Ma è proprio così? Leggete qui.
 

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