Non voglio offendere nessuno ma chi vota Sì al referendum imparasse a vergognarsi

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di Paolo Desogus
 

Ho ricevuto diverse proteste per il post in cui associavo la stupidità alle ragioni del sì al referendum proposte da Marco Travaglio. Qualcuno mi ha scritto che con quelle argomentazioni risulto essere offensivo. Può darsi, ma il mio intento in realtà era un altro: quello di suscitare un sentimento che si è smarrito, ovvero il sentimento della vergogna.


È forse stato Berlusconi il primo politico a riscattare tutta quella parte di italiani che per vergogna non riusciva ad esprimere pubblicamente il proprio individualismo, la propria insofferenza verso lo stato, il desiderio di accumulare ricchezza, usarla per godere la vita e per rendere tutto monetizzabile. Berlusconi ha levato la vergogna a quella parte di italiani vittime di un materialismo becero, di un maschilismo strisciante e della volgarità tipica delle sue televisioni. Con lui si poteva essere orgogliosi di pagare le donne per possederle, di evadere le tasse e di disprezzare tutto ciò che è cultura e pensiero.


Poi è stata la volta della Lega, che con la sua campagna martellante sui migranti ha levato la vergogna a quella parte di italiani che non poteva esprimere politicamente il proprio razzismo, il proprio disprezzo per chi veniva dall’Africa, per i più poveri. Bossi e Salvini hanno trasformato il razzismo, di cui bisognava e bisogna vergognarsi, in un tema dell’agenda politica da rivendicare.


Anche i 5 stelle (e in parte il Pd di Renzi) hanno avuto una funzione simile con l’antipolitica. Stupidaggini vergognose sui parlamentari, il disprezzo verso i corpi intermedi e la politica organizzata sono stati sdoganati dai grillini. Chi chiede il taglio dei parlamentari non si vergogna di dire una sciocchezza. Anzi crede addirittura di avere “un’opinione”, di possedere “un pensiero critico autonomo”, di “pensare con la propria testa”.


Inutile dire a questa gente che col taglio dei parlamentari ci si gioca in realtà un pezzo di libertà. In politica le opinioni, i pensieri e le riflessioni non contano nulla se non partecipano al processo politico. Il parlamento ha la funzione di mediare, trasformare e centralizzare i pensieri dispersi, e di per sé deboli e fragili, in volontà politica, in decisione, in azione di governo. Svolge un lavoro lungo, complesso che richiede un personale politico all’altezza che non può essere sostituito dalla tecnica o dalla governance. È un lavoro che qualche volta produce a errori, fallimenti, insuccessi. Ma è un lavoro che va difeso e protetto. Non è colpa delle regole se qualche volta i nostri rappresentanti sono al di sotto delle aspettative. La responsabilità è di chi vota. La responsabilità è dell’assenza di partiti e della falsa credenza secondo cui basti “avere un’opinione personale”.


Ecco che allora il sentimento della vergogna non è solo qualcosa di prepolitico. Ma è una forma di autodifesa, una protezione in vista della politica. Arriva e suona come un campanello di allarme. Ci avverte che forse le nostre miserie personali necessiterebbero di maggiore riflessione, di meno egoismo. La vergogna ci invita a fermarci un attimo a pensare, a confrontarci più responsabilmente col mondo esterno e dunque a pensare collettivamente (non ci si vergogna mai da soli). Ci rende insomma meno impulsivi. E anche meno imbecilli quando si tratta di votare per scegliere i nostri rappresentanti.


Non volevo offendere nessuno dando dello stupido a chi vota sì. Vorrei però che chi è favorevole allo sciagurato taglio dei parlamentari si vergognasse. Vorrei che imparasse a vergognarsi e a essere meno bestia in balia dei prorpri impulsi per essere umano.

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