Repubblica che si indigna sulla legge polacca sull'Istituto per la memoria storica

Repubblica che si indigna sulla legge polacca sull'Istituto per la memoria storica

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di Fabrizio Poggi

 

Vibrate proteste si sono levate da più parti contro l'approvazione, da parte del Sejm polacco, della legge riguardante l'Istituto per la memoria storica. Washington esorta il presidente polacco Andrzej Duda a non firmare la legge. Israele minaccia di accusare Varsavia della negazione dell'olocausto. Il rappresentante dell'OSCE per la libertà dei media, Harlem Désir, ha dichiarato che la legge polacca “deve esser rigettata quale limitazione non proporzionale della libertà di parola”. La Repubblica scopre solo in questi casi che la Polonia ha una “maggioranza di governo nazionalconservatrice”.
 

La legge proibisce – e prevede fino a tre anni di reclusione - di definire “campi della morte polacchi”, i lager nazisti in Polonia e di parlare di complicità nell'olocausto da parte di cittadini polacchi.
 

Nonostante le proteste, scrive Repubblica, Varsavia intende “ignorare le dure proteste espresse sia dal governo israeliano, sia dalle comunità ebraiche internazionali, sia da molti ambienti politici dell'Unione europea e del resto del mondo libero”.




 

Evidentemente, parlando delle “dure proteste” espresse dal “resto del mondo libero” e dando, altrettanto evidentemente, per scontato, che USA e Israele ne siano parte integrante, secondo Repubblica si deve annoverare anche chi si è sentito tirato apertamente in ballo dalla legge polacca e che Repubblica si guarda bene dal nominare. Ma, di questo, più avanti.
 

Tralasciando per un momento la valutazione storica e politica data da Repubblica sul “legittimo governo in esilio a Londra”, formato da quei polacchi che fino a pochissimi anni prima avevano stipulato patti con la Germania hitleriana, sia in funzione antisovietica, sia per spartirsi territori altrui e che nel corso della guerra fecero di tutto (fino a fomentare un'insurrezione destinata al fallimento) per ostacolare l'avanzata sovietica, è chiaro che la legge in questione risponde alle vedute ultranazionaliste di Varsavia. Ed è altrettanto chiaro (e in quale paese europeo occupato dai nazisti non ci furono Komplizen, più o meno organizzati e inquadrati nelle strutture militari di Wehrmacht e SS?) che solo “per legge” possa negarsi l'evidenza storica della complicità di singoli o gruppi di cittadini polacchi nel denunciare alla Gestapo interi gruppi di ebrei polacchi. Sarebbe sufficiente citare anche solo il caso della partecipazione polacca al pogrom nazista contro gli ebrei di Jedwabne, nella regione di Belostok, la cui negazione per poco non era costata il posto al direttore dell'Istituto per la memoria storica, Jaroslav Sharek, già al momento della sua nomina.
 

Il lato curioso della questione non è però la scoperta delle vedute nazional-conservatrici polacche da parte di Repubblica, ma che lo si faccia a fasi alterne. Washington e Repubblica non hanno nulla a che ridire su tali vedute, quando servono obiettivi, da una parte antirussi e, dall'altra antitedeschi. Nell'espansione a est di USA e NATO, la Polonia costituisce forse la punta di diamante nell'accerchiamento militare della Russia e Washington è ben lieta di innalzare la Polonia a nuovo bastione europeo, in grado di arginare la concorrenza di Berlino ai piani USA in Europa. USA e Israele (e con loro Repubblica) hanno forse protestato per le rinnovate ambizioni di Varsavia di rievocare e portare a concretezza il vecchio sogno del maresciallo Józef Pi?sudski, di una Polonia “da mare a mare”: dal mar del Nord al mar Nero all'Adriatico?
 

Quante voci dal “mondo libero” si sono levate a contestare l'appoggio dell'estrema destra e del fondamentalismo cattolico alla legge, voluta dal nuovo premier Mateusz Morawiecki che, col pretesto della proibizione delle “organizzazioni che glorifichino il nazismo tedesco o un qualsiasi altro regime totalitario” ha di fatto messo fuori legge il Partito comunista polacco, accusandolo dell'uso di “simboli proibiti” e “glorificazione del comunismo”?
 

Ma, tra le voci del “mondo libero” che, stranamente, Repubblica dimentica di citare, c'è anche quella di altri soggetti direttamente coinvolti nella legge: è la voce del presidente golpista dell'Ucraina neonazista Petro Pošenko. Il quale ha dichiarato che la norma viola i principi della partnership strategica tra Ucraina e Polonia. Quale sia tale “partnership strategica” e contro chi sia diretta, non è difficile da immaginare. Pošenko si è detto “profondamente preoccupato dalla decisione del parlamento polacco. La memoria storica richiede un dialogo franco e aperto e non dei divieti”, ha detto. E il suo Ministro degli esteri, Pavel Klimkin, ha dichiarato che il passo polacco è “diretto non alla discussione sulla verità storica, bensì alla costruzione di una mitologia storica”.
 

Quale è la “verità storica” rivendicata da Kiev? La legge approvata dal Sejm, insieme alla responsabilità penale (fino a tre anni di reclusione) per chi parli di complicità polacche nell'olocausto, la prevede anche per la propaganda dei banderisti ucraini che collaborarono con le SS e per quanti neghino le loro responsabilità nei massacri in Volinija e Polesia. Quei banderisti di OUN-UPA oggi innalzati a eroi nell'Ucraina golpista e così cari, non da oggi, alle cronache di Repubblica, per i cui redattori, evidentemente, quella levatasi da Kiev è una delle voci del “mondo libero”. Un “mondo libero” in cui, al pari di quello polacco, si distruggono i monumenti ai soldati sovietici che liberarono l'Europa dal giogo nazista; in cui, al pari di quello polacco, si “decomunistizzano” strade, piazze e istituti e in cui si prendono a bastonate, si rinchiudono e si assassinano comunisti e altri oppositori. Per la cronaca, i “nazional-conservatori” ucraini delle bande neonaziste, dopo l'approvazione della legge polacca, hanno già chiesto la testa del Ministro Klimkin, per il “fallimento della sua diplomazia”. Ha evidentemente fallito nel difendere adeguatamente gli “eroi” nazisti dell'Ucraina golpista.
 

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