Trans-Pacific Partnership: il fardello dell’Occidente

 Trans-Pacific Partnership: il fardello dell’Occidente

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di Diego Angelo Bertozzi 
 
Thomas L. Friedman lo dice senza mezzi termini in un editoriale pubblicato sul New York Times (“On Trade: Obama Right, Critics Wrong”, 29 aprile): il Trans-Pacific Partnership (TPP) avrà certo ripercussioni favorevoli sull’economia statunitense, ma è sul fronte della sicurezza nazionale che le ricadute saranno ancora più vantaggiose. L’accordo di libero scambio del Asia-Pacifico si configurerebbe, in questa prospettiva, come un fronte unico delle democrazie capitaliste. Ma per fronteggiare quale minaccia? Il noto editorialista ed esperto di politica internazionale non ha dubbi: “Il globo si sta dividendo tra mondo dell’ordine e mondo del disordine”. Del primo fanno parte “le nazioni democratiche e in via di democratizzazione, fondate sullo stato di diritto e sul mercato, che costituiscono la spina dorsale del mondo”. A queste spetta il compito di fronteggiare il caos che si sta espandendo in Africa e Medio Oriente. Questa “coalizione democratica” ha la straordinaria opportunità di scrivere le regole base per l’integrazione globale del 21° secolo. Una missione certo non nuova: all’Occidente, in epoca coloniale, era già spettato il “pesante fardello” di esportare la civiltà e, col passare del tempo, anche potenze prima estranee ad esso, come il Giappone, sono diventate stimati membri dell’esclusivo club. Per Friedman non c’è tempo da perdere perché questa missione si trova contro due ostacoli di un certo rilievo - e che pare si trovino a loro agio nel Mondo del disordine - ; la Cina popolare, che “sta cercando di riscrivere unilateralmente le regole internazionali”, e la Russia, impegnata nella “distruzione delle regole”; entrambe, insomma, vogliono portare il mondo dalla loro parte.
 
Certo, l’autore non nasconde come l’azione diplomatica e bellica delle democrazie chiamate a dare vita alla “coalition of free-market democracies” abbiano in questi anni contribuito a seminare il disordine - Libia e Siria sono solo gli ultimi esempi in ordine tempo - e diffondere fondamentalismo e estremismo che sono ora chiamate a combattere, tuttavia non c’è alternativa in campo. Certo non la rappresentano Mosca e Pechino, legate come sono a una visione che più si richiama al nazionalismo e al protezionismo. A queste non va concesso il tempo per la costruzione di una rete di alleanze o organismi internazionali alternativi a quelli influenzati dall’occidente e dalla sua potenza guida.
 
Insomma “la debacle diplomatica di Obama nel fallito sabotaggio della China Infrastrutture Asian Investment Bank (S. Harner, Forbes, 20 aprile 2015) ha lasciato senza dubbio il segno. A Pechino - più che alla Russia - non va concesso altro tempo prezioso. 
 

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