La Cina è in grossi guai

La Cina è in grossi guai

L'economia raggiunge il suo limite strutturale nel momento peggiore per l'economia globale

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Con un governo che censura la stampa ed una popolazione di proporzioni immense non è mai facile dare un giudizio obiettivo sui dati economici che riguardano la Cina. Ma, in Hitting China's wall, Paul Krugman sottolinea come alcuni segni sono ormai inequivocabili nel testimoniare che l'economia deve affrontare un problema economico strutturale che segnerà il suo futuro. Dopo aver prodotto tre decenni di incredibile ascesa, Pechino ha raggiunto il suo limite e si sta avvicinando a "scontrarsi con la Grande muraglia". 
Krugman parte dai dati nella sua analisi. L'elemento più importante che colpisce quando si analizza quelli cinesi è sicuramente la discrepanza enorme che esiste tra consumi ed investimenti. Tutte le economie di successo convertono una parte del reddito disponibile agli investimenti per espandere l'abilità di futuro di consumare. Ma la Cina sembra spendere i suoi soldi solo per incrementare la sua futura abilità di investire ancora di più: gli Usa, chiaramente esagerando al contrario, spendono il 70% del loro Pil in consumo, la Cina meno della metà di quella cifra ed oltre il 50% in investimenti. 
Cosa tiene i consumi così bassi e perché i cinesi sono in grado di investire così tanto? La risposta di Krugman è articolata partendo dall'analisi di un economista del passato, W. Arthur Lewis, che sosteneva come i paesi nella prima fase del loro sviluppo hanno necessariamente un settore moderno piccolo rispetto a quello tradizionale dove confluisce un'immensa quantità di “lavoro in surplus” - contadini disoccupati danno un contributo molto marginale al prodotto economico complessivo. Per un periodo di tempo limitato questi paesi possono investire in nuove aziende, costruzioni e così via con il fattore lavoro stabile. La competizione da questa riserva di lavoro in eccesso tiene i salari bassi anche se l'economia cresce a ritmi sostenuti.
Quindi, il principale fattore a tenere bassi i consumi dei cinesi sembra essere che le famiglie non hanno mai conosciuto un grande aumento del proprio reddito a disposizione rispetto a quello prodotto a livello nazionale. La maggior parte dei flussi di reddito confluisce ad una ristretta élite politica ed economica, all'interno delle aziende statali.  
Si tratta di un'analisi nota che ha funzionato per alcuni decenni, ma ora la Cina ha raggiunto il suo “punto di Lewis” - ha finito cioè i contadini in eccedenza per mantenere bassi i salari – e dovrebbe essere un evento positivo: i salari stanno già iniziando a salire e le famiglie a condividere il frutto della crescita. Ma significa anche che l'economia cinese si trova di fronte ad un necessario ribalanciamento con gli investimenti che stanno diminuendo bruscamente. E la questione è comprendere se il processo potrà avvenire in modo da evitare una brusca recessione.
Il bisogno di un bilanciamento era evidente da anni, ma la Cina ha evitato di affrontare i necessari cambiamenti ed ha invece preferito spingere l'economia tenendo svalutato la moneta ed inondarla attraverso il facile accesso al credito. Queste misure hanno posticipato il “giorno del riconoscimento”, ma lo hanno anche reso più duro. E quel giorno è ora arrivato. 
Secondo i mercati finanziari, la consistenza economica della Cina è ancora leggermente superiore al Giappone ma la metà più o meno di Usa e Ue. Grande, ma non immensa, quindi, ed in tempi ordinari gestibile. Sfortunatamente la Cina ha raggiunto il punto di Lewis in una fase in cui le economie occidentali sono nel “momento di Minsky” - vale a dire quando i prestatori privati cercano tutti di ritirarsi allo stesso tempo e nel farlo creano una immensa recessione – ed i guai cinesi, conclude il premio Nobel per l'economia, sono l'ultima cosa di cui l'economia globale aveva bisogno. 

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