Giorgio Cremaschi: "Austerità e guerra si alimentano a vicenda. Il lavoro si protegge combattendo Ue, euro e Nato insieme"

Giorgio Cremaschi: "Austerità e guerra si alimentano a vicenda. Il lavoro si protegge combattendo Ue, euro e Nato insieme"

"I sindacati non sono solo responsabili per non aver agito, sono complici. Con Maastricht e l'euro sono divenuti parti del problema, non della soluzione"

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di Alessandro Bianchi

Giorgio Cremaschi, ex presidente del Comitato Centrale della Fiom, ha spiegato le ragioni per cui ha deciso di abbandonare per sempre la CGIL con un articolo di successo sull'Huffington Post. L'Antidiplomatico l'ha intervistato questa mattina telefonicamente per approfondire insieme le responsabiltà del sindacato nella deriva attuale del mondo del lavoro e nella latitanza assoluta rispetto alle guerre dell'occidente, in particolare a quella indistinta e generale che anche l'Europa, dopo i drammatici errori degli Stati Uniti, ha di fatto iniziato.  
 
“Al peggio non c'è mai fine” - inizia Cremaschi - “ma le ultime scelte del governo Renzi in materia di lavoro sono solo il suggello di un disegno che nasce molti anni prima. Con il pacchetto Treu del 1995 i governi di centro sinistra hanno di fatto aperto la via alla precarietà e alla flessibilità, alias perdita di diritti del mondo del lavoro. Come non ricordare poi la ferita mortale all'art.18 della Legge Fornero? L'attuale governo ha portato a compimento il tutto con la precarizzazione come regola, con l'abolizione dell'art.18, con misure liberticide come la licenza di spionaggio a distanza e il degrado continuo dell'ambiente lavorativo come normalità."
 
La narrativa ufficiale ci racconta che queste “riforme” sono l'unico modo per combattere la disoccupazione in un sistema globalizzato che richiede la flessibilità come dogma. "Sta proprio qui la truffa: hanno sempre venduto tutto come il modo per sconfiggere la disoccupazione e questa è aumentata sempre ad ogni  riforma distruttiva successiva. Come giustificano sempre quelle che chiamano riforme? Con il dover dare un lavoro ai giovani e qual è la disoccupazione giovanile nel nostro paese? I minori salari e minori diritti dei lavoratori erano e restano gli obiettivi di questo disegno, di questa operazione in malafede".
 
Un percorso di distruzione del lavoro iniziato negli anni '90, vale a dire nel periodo in cui il nostro paese ha iniziato a delegare la sua sovranità al percorso di integrazione monetaria e finanziaria voluta in Europa. E sulle relazioni tra i due processi, Cremaschi non ha dubbi che si sia trattato di un unico disegno. "In questa operazione in malafede, si è compiuto uno scambio di merci. Il Trattato di Maastricht, apologia del liberismo più spinto, ha annullato principi sanciti dalle Costituzioni post fasciste e il lavoro è divenuto una merce di scambio da sacrificare nell'altare della finanza per i due nuovi dogmi: la flessibilità e l'abbattimento delle pensioni. Proprio oggi l'Osce in un nuovo rapporto ci ricorda come le pensioni italiane siano ancora troppo alte. La Bestia non è mai sazia".
 
Da Maastricht e con l'ingresso nella zona euro, il lavoro ha perso la centralità che invece aveva conquistato nelle Costituzioni sorte dopo la seconda guerra mondiale, senza che il sindacato abbia saputo reagire con la necessaria fermezza. "Non solo il lavoro ha perso la centralità, i governi di centro sinistra e di centro destra, Prodi o Berlusconi per intenderci, si vantavano proprio su quanta flessibilità e quante pensioni riuscivano a tagliare. Era la merce che si scambiava in Europa. Le responsablità del sindacato non sono solo enormi, non mi limito a dire questo. Io parlerei di vera e propria complicità. L'autoritarismo che si è imposto, come quello dell'Osce di oggi che chiede ulteriore tagli alle pensioni, non è mai sazio. E la narrativa ufficiale è che ci sono troppi diritti ed è per questo che l'Italia va male. E' esattamente il contrario. Nel 1992 appena entrato nella dirigenza della CGIL votai contro un documento che accettava, seppur con critiche velate, Maastricht. Da allora i grandi sindacati sono stati parte del problema, non della soluzione".
 
Quando affrontiamo i grandi temi di politica internazionale e in particolare le guerre dell'occidente che hanno prodotto il terrorismo - e come soluzione oggi si è trovata una nuova guerra che produrrà ancora più terrorismo - Cremaschi sottolinea come il tutto è collegato: austerità e guerra nel mondo della follia cieca della "crociata al terrorismo" sono due facce della stessa medaglia. E, ancora una volta, i grandi sindacati europei hanno mancato l'occasione storica di poter tornare ad incidere. "Anche sulla guerra non parlerei di sola latitanza. A differenza degli anni '80 - pensiamo alle mobilitazioni oceaniche contro gli euromissili, o gli anni '90 i grandi sindacati – i sindacati hanno subito una svolta negativa perché non hanno capito che l'intreccio tra austerità e guerra è l'intreccio che esiste tra Nato e Unione Europea. Più è aumentato il secondo, maggiore è divenuto il primo e minore è stata la voce del sindacato". Oggi possiamo tranquillamente parlare di silenzio assordante con questa nuova follia di guerra al terrorismo.
 
E allora come se ne esce? Si può davvero pensare di riformare questo sistema come dicono in molti che amano ancora definirsi di sinistra? “Assolutamente no, se ne esce solo rompendo con tutto questo”, Cremaschi non ha dubbi. “Con Ue, euro e Nato contemporaneamente”, ribadisce. "L'escalation di austerità e guerra si alimenta costantemente. Oggi, inoltre, manca ogni reazione per la rassegnazione delle popolazioni. Mentre nel 2003 il New York Times parlava di seconda potenza mondiale per il movimento contro la guerra d'invasione dell'Iraq, oggi le autorità governative possono decidere qualunque misura liberticida nell'indifferenza. Il fallimento di quel movimento pacifista è stato totale perché mancava della comprensione del potere contro cui combattere, alias Unione Europea e Nato contemporaneamente. Si può ripartire solo avendo bene a mente questo". La Nato, in particolare, per Cremaschi non ha alcuna giustificazione storica e serve solo come strumento armato per gli interessi economici di oligarchie occidentali, quei centri di potere che hanno interesse affinché il lavoro perda di consistenza.
 
Con la campagna Eurostop avviata con il Forum Euro/Mediterraneo svolto lo scorso 23 maggio a Napoli, l'ex presidente FIOM è una delle personalità che ha aderito ad un progetto di rottura contemporanea dalle gabbie di euro, Unione Europea e Nato che vanta importanti adesioni nel mondo politico, intellettuale e sindacale in tutta l'Europa del sud. L'obiettivo è quello di una nuova organizzazione solidale e compensativa che possa prendere in parte ispirazione dall'Alba bolivariana in America Latina. "Non c'è un modello unico di riferimento e credo sia giusto ragionare in un'ottica collettiva, ma con ognuno che abbia bene in mente gli interessi all'interno di ogni singolo paese. Molti dicono che Tsipras non avesse altra scelta lasciato da solo, ma si è arreso, in una situazione difficile, quasi impossibile è vero, ma si è arreso. Quello che è accaduto recentemente in Grecia e Portogallo è la testimonianza che il sistema UE/Nato non ammette più alcun dissenso democratico interno. Riflettete poi per un secondo al clima di caccia alle streghe e la menzogna sui manifestanti di Parigi di domenica - che avrebbero oltraggiato il memoriale delle stragi quando le foto dimostrano che era opera della polizia e anzi i manifestanti hanno cercato di arginarlo -  dimostra la deriva in cui siamo. Vivevamo in un regime con finte libertà. Ci stanno togliendo anche queste finte libertà"
 
Quando gli abbiamo chiesto, in conclusione, se il TTIP possa essere considerato lo strumento ultimo per completare questo disegno iniziato quindici anni fa, Cremaschi è chiaro come sempre. "Il Ttip, la Nato trasformata in trattato economico, sarà il suggello del potere delle multinazionali. In Germania ho assistito con piacere ad una grande mobilitazione popolare, 250 mila persone sono scese per le vie di Berlino per gridare il loro no a quest'ultima deriva del sistema. L'Italia, una volta all'avanguardia in tema di mobilitazione, ancora tace".

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