"L’umanità è come una famiglia. Necessaria l'unità di tutti i paesi che cercano un’economia indipendente e la libertà"

"L’umanità è come una famiglia. Necessaria l'unità di tutti i paesi che cercano un’economia indipendente e la libertà"

L'intervista di Leonardo Landi su AlbaInformazione a Hamid Shahrabi, membro della ONG House of Latin America

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dall'intervista di Leonardo Landi su AlbaInformazione a Hamid Shahrabi, membro della ONG House of Latin America (HOLA).
 
Abbiamo incontrato, circa un anno fa a Firenze, Hamid, 62 anni, ingegnere idraulico in Iran, attivista dall’età di 16 anni quando ha cominciato ad occuparsi della vita politica del suo paese e non solo. Con lui abbiamo avuto una lunga ed interessante conversazione di cui vi proponiamo di seguito una sintesi, utile per decostruire i cliché dominanti sull’Iran ben alimentati dai media in una fase in cui le minacce di aggressione militare, dopo la Libia, verso i paesi arabi, mediorientali e musulmani, da parte di Israele e degli USA, si fanno sempre più pesanti. 
 
D- Puoi raccontarci la storia della House of Latin America?
 
R- Sin da giovane ho avuto grande simpatia per la rivoluzione cubana e il suo carattere indipendente. Dopo il trionfo della rivoluzione iraniana, con i miei compagni, abbiamo cominciato a organizzare iniziative di solidarietà pubblicando giornali con articoli sulle conquiste della rivoluzione. Abbiamo fondato l’Associazione d’Amicizia Iran-Cuba 15 anni fa, ma da 6 anni abbiamo creato una ONG, la House of Latin America (HOLA), che promuove iniziative di sostegno ai paesi latinoamericani dell’area antimperialista. Mi riferisco ai membri dell’ALBA, ma non solo, perché in prospettiva molti paesi andranno in questa direzione. E’ una tendenza iniziata con il trionfo della Rivoluzione bolivariana in Venezuela nel 1998.
 
D- La vostra organizzazione ha collegamenti con le istituzioni statali iraniane?
 
R-La nostra attività è indipendente dallo stato, ma in questa fase il governo iraniano ha buone relazioni con i paesi dell’ALBA e quindi la nostra organizzazione, pur essendo completamente autonoma, ha ottimi rapporti con il governo. Dopo l’elezione di Ahmadinejad le relazioni commerciali, culturali e politiche con i paesi latinoamericani sono migliorate. Questo è ciò di cui abbiamo bisogno: l’unità di tutti i paesi che cercano un’economia indipendente e la libertà. I nostri nemici hanno paura di questa unità. Quando, nel 1979, gli studenti hanno occupato l’ambasciata USA a Teheran, hanno trovato documenti che provavano le preoccupazioni del governo nordamericano per le relazioni latinoamericane dell’Iran.
 
D- Qual è la percezione che la popolazione iraniana ha della situazione latinoamericana?
 
R-La coscienza politica in Iran è molto alta. I lavoratori, le persone comuni sono consapevoli della loro vicinanza con l’America Latina. Ogni sera la televisione dà notizie sullo sviluppo di questo continente, sui progressi del Venezuela, sull’ALBA. Io stesso ho parlato più volte alla TV dei processi politici latinoamericani. Le maggiori agenzie d’informazione pubblicano notizie e analisi sull’America Latina. Proprio in questi giorni l’Associazione degli Studenti Universitari Musulmani ha organizzato iniziative di solidarietà per i 5 eroi cubani detenuti negli USA.

 
D- Come giudichi il carattere islamico della rivoluzione iraniana?
 
R- Io sono socialista da più di 40 anni e ho sempre avuto buoni rapporti con i musulmani. I gruppi di sinistra spesso sbagliano perché pensano che la rivoluzione avvenga secondo uno schema, come è scritto nei libri. Quando vai dal gelataio, scegli e ordini una coppa al cioccolato o alla banana. Ma la rivoluzione non funziona così. Non puoi ordinare quel tipo di rivoluzione o quell’altro. Ogni popolo ha la sua cultura. In Iran le moschee erano la base della rivoluzione, il luogo dove i giovani si organizzavano. Secondo una certa mentalità di ‘sinistra’, la rivoluzione dovrebbe partire dalle fabbriche, ma le cose non vanno per forza così. Guarda cosa accade in Libano. Hezbollah non è un partito di sinistra, ma un movimento musulmano sciita con legami di solidarietà con l’America Latina e i comunisti libanesi. Anche molti cristiani lottano a fianco di Hezbollah. Questo è davvero pericoloso per il potere egemone.
Occorre avere una visone generale. L’umanità è come una famiglia. Se in una famiglia di 5 membri uno è malato, uno è disoccupato, uno è morente, uno non ha casa e uno è ricco, sempre più ricco, mentre gli altri diventano sempre più poveri, non è una famiglia sana, non c’è solidarietà. Nel mondo sta andando proprio così. La logica dell’economia globale è di fare profitti e solo una piccola minoranza ha in mano tutti i soldi. Viviamo in un mondo governato in modo irrazionale. Quando te ne rendi conto, capisci l’importanza dell’ALBA. Il mondo è una famiglia malata che va cambiata. L’idea principale dell’ALBA è di modificare le relazione tra paesi, per mettere al centro il rispetto per la sovranità e l’indipendenza politica ed economica dei popoli.
Bisogna mettere in moto un processo. Potrà essere anche molto lungo, ma non ci dobbiamo scoraggiare. Per esempio: se vivi in un luogo brutto e vedi dall’altra parte una bella isola, cerchi di raggiungerla con una barca; nel far ciò sei una persona felice, anche se sei ancora nella barca. Cercare di essere sull’isola non ha meno valore che esserci.
 
D- Cosa ne pensi delle recenti rivolte nel mondo arabo?
 
R- Oggi sono in atto grandi cambiamenti in Medio Oriente. Per decenni molti paesi sono stati governati da dittatori asserviti agli USA. Ora in Egitto, Tunisia, Barhein, Yemen, il popolo sta dicendo che ne ha abbastanza: «Non vogliamo continuare così! Vogliamo governi indipendenti, vite decenti e il rispetto della nostra sovranità».
Le rivolte hanno cambiato le relazioni di Israele con Egitto e Tunisia, spostando i rapporti di forza regionali a favore di Hezbollah e del movimento palestinese.
 
D- Ritieni  possibile che si sviluppi in Medio Oriente un processo di integrazione come in America Latina?
 
R-Questo processo potrebbe portare ad un percorso di integrazione economica e politica simile a quello latinoamericano, ma ciò non è automatico. E’ una sfida sia per i leader di questi movimenti sia per quelli della rivoluzione iraniana. L’integrazione non viene dal cielo. Ad esempio, l’interesse di Turchia e Iran richiede che le loro economie si avvicinino. La Turchia ha svolto un ruolo molto positivo rispetto alle sanzioni economiche all’Iran, ma ci sono aspetti contraddittori. L’establishment militare turco è al servizio dell’Occidente, ma Erdogan ne ha limitato il potere e questa è una novità positiva. Prima la Turchia era alleata di Israele, ora appoggia le iniziative per Gaza. Tuttavia c’è ancora una parte della classe dominante che è legata all’occidente e agli USA. L’occidente vorrebbe che la Turchia costituisse un’opzione moderata alternativa al movimento islamico radicale.
Ecco perché il ruolo del governo turco è contraddittorio. Per certi aspetti è molto positivo e progressivo, per altri no, specie verso la Siria dove appoggia le manovre della NATO, offrendo così una copertura ai gruppi che vogliono rovesciare il governo di Asad.
I governi non sono tutti uguali: prima della rivoluzione il governo egiziano era amico di quello israeliano, mentre il governo siriano è sempre stato nemico del sionismo. Le potenze egemoniche minacciano i paesi politicamente indipendenti.
Ci sono certamente dei problemi in Siria, Libia o Iran, ma devono essere risolti dai popoli di quei paesi. Gli USA sostengono che in Iran dovremmo cambiare il nostro governo, ma il nostro governo è stato eletto dal popolo, dalla stragrande maggioranza della popolazione. Sono i più ricchi che vorrebbero una società simile a quella occidentale, mentre i poveri sono orgogliosi della loro storia e hanno scelto il loro Presidente. Sono passati 33 anni dalla rivoluzione. Prima non avevamo acqua, elettricità, strade, accesso alla sanità o all’educazione, ora ogni villaggio dispone di tutti i servizi essenziali. I media europei dicono solo che le donne in Iran sono oppresse, intanto in Francia vietano di portare il velo.
 
D- Quale idea ti sei fatto del modo in cui i media occidentali parlano del Medio Oriente?
 
R- C’è un blackout informativo. Le persone in occidente sono confuse. Non possiamo biasimarle, perché viene negato loro l’accesso ai fatti, alle informazioni sulla vita dei loro fratelli e sorelle nel mondo. Sono convinto che l’arma principale dell’imperialismo non è l’esercito né la bomba atomica, ma i media e il controllo sulle notizie. I cittadini occidentali hanno una rappresentazione distorta dell’Iran. Quando sono arrivato in Italia mi hanno detto: «Speriamo che succeda in Iran quello che è successo in Tunisia». Ho risposto: «Amico, non ti preoccupare, quello che è successo in Tunisia è successo 33 anni fa in Iran».
E’ importante costruire media alternativi per accrescere la coscienza delle persone. In Iran abbiamo PRESS TV che trasmette in inglese e in arabo, ora avremo anche un canale in spagnolo per l’America Latina.
Anche Al Jazeera diffonde informazioni distorte svolgendo un ruolo pericoloso, specie verso la Siria e la Libia. Tutto ciò ci impone di non sottovalutare i nostri nemici e la loro capacità di manipolare le coscienze: ti fanno credere quello che vogliono, ti fanno credere che sia meglio vendere il tuo paese. Quello che stanno facendo in Libia, vogliono farlo in Siria e in Iran. Vogliono mettere un governo di marionette per avere il controllo sul petrolio.
La guerra all’Iran sarebbe per loro rischiosa. Negli ultimi anni l’Iran si è rafforzato militarmente, ma non è questo il punto: la cosa più importante è la volontà di difendersi. Ci sono milioni di persone disposte a sacrificare la loro vita per la rivoluzione. Questo mentalità affonda le sue origini nella storia. Il martirio dell’Imam Hussein [nipote del Profeta Muhammad, figura religiosa estremamente importante per i musulmani sciiti e anche per molti sunniti, ucciso nella lotta contro l’usurpatore Yazid nel 680]: perché è così popolare? Il suo slogan era: «Non ti sottomettere all’oppressione», queste non sono solo parole, è un modo di essere: meglio morire piuttosto che accettare l’oppressione. Nell’anniversario della morte di Hussein in Iran si vedono milioni di persone in strada. Di recente, in un articolo di un analista israeliano ho letto: «Cosa si può fare con una simile mentalità? Non ci sono armi per combatterla». Questa è la rappresentazione reale dell’Iran.

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