Il segreto meglio conservato dell’America Latina: la transizione del Venezuela alla democrazia

Il segreto meglio conservato dell’America Latina: la transizione del Venezuela alla democrazia

Le ragioni del rifiuto del paese della “democrazia rappresentativa” e la sua ricerca di un modello di democrazia partecipativa

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Di Rachael Boothroyd (Venezuelananalyses.com)
Traduzione di Maria Chiara Starace su Znetitaly
 
Umberto Vargas Medina  mi fissa da sotto il suo berretto. Ha un sorriso che, sebbene sia molto controllato, illumina la sua faccia con freschezza, malgrado le sopracciglia folte e la voce leggermente incrinata. Parla con energia, umiltà e una certa trepidazione tipica dei rivoluzionari venezuelani anziani che per la maggior dell’ultima parte del 20° secolo hanno dovuto passare la vita in totale clandestinità.
 
Durante la sua giovinezza, Medina ha avuto motivi particolari di essere reticente, anche se presumibilmente non è riuscito a essere sufficientemente riservato. Come giovane militante del Partito Comunista messo fuorilegge, e poi del Partito Rivoluzionario del Venezuela, è stato giudicato da un tribunale militare e condannato a 16 anni di prigione per il suo operato politico.
 
Ora, nell’Ufficio del Pubblico Ministero dove si sta svolgendo l’intervista, l’unica cosa che interrompe la severa continuità dei muri spogli dietro di lui, sono le parole: “Commissione per la Verità e la Giustizia.”
 
Formatasi nel febbraio 2013, la commissione è stata costituita da e per persone come Medina: giovani uomini e donne che, in base al giudizio stesso di Medina, avevano sofferto a causa del doppio crimine di essere stati repressi e poi resi “invisibili” da governi successivi durante il periodo 1958-1998, noto ora come Quarta Repubblica.
 
Parlandomi del suo lavoro nella commissione, Medina mi spiega che ci sono tre o quattro elementi fondamentali che orientano il suo operato. La lotta per la “verità, giustizia, memoria e risarcimenti,” a favore di tutti coloro che hanno perso la vita, i membri delle loro famiglie, gli arti e la salute mentale a causa  delle azioni brutali e repressive della Quarta Repubblica.
 
Mentre Medina parla appassionatamente del lavoro della commissione, si irrigidisce quando gli chiedo della sua esperienza personale. Forse ha scontato soltanto 4 anni della sua condanna al carcere, ma è chiaro che questa ha avuto un impatto profondo. E’ una di quelle persone che sembra vivano la loro vita navigando sul confine appannato tra passato e presente, ma anche felice di vivere nel limbo che è stato negato a molti dei suoi compagni caduti.
 
“Forse….gli studenti messicani alla fine dimenticheranno che 43 di loro sono stati fatti sparire, o forse dimenticheranno il massacro di Tlatelolco. Non possiamo però dimenticare il massacro di Amparo (1988) oppure quello enorme che è stato il Caracazo,” sottolinea Medina.
 
Sembra quasi assurdo suggerire che le persone potrebbero dimenticare la brutalità spudorata dello stato che appena un mese fa ha provocato la scomparsa di 43 studenti che facevano il tirocinio per diventare insegnanti, anche in una cosiddetta democrazia. Ma è esattamente quello che è successo in Venezuela fino a poco tempo fa.
 
Di recente, fino al 1998, per la precisione, lo stato venezuelano faceva sparire abitualmente studenti, attivisti comunisti, sindacalisti e anche soltanto chiunque si dichiarava contrario ad esso.
 
“Era un’abitudine permanente, costante e sistematica che lo stato usava in precedenza contro chiunque osasse protestare,” spiega Ignacio Ramirez, direttore della Federazione Nazionale Venezuelana per la Difesa dei Diritti Umani e pubblico ministero che attualmente conduce le indagini sul torbido passato del Venezuela.
 
Le stime attualmente valutano che il numero delle morti per mano della repressione durante la Quarta Repubblica siano ben oltre le 6.000. Infatti, le indagini indicano che 3000 persone sono state uccise soltanto nell’ondata di repressioni che ha scosso la capitale in seguito alle sommosse note come il Caracazo, nel 1989.  (http://it.wikipedia.org/wiki/Caracazo).
 
Al momento le cifre stanno proprio iniziando a inserirsi quello che è ancora un quadro incompleto.  L’esatto numero di assassinii, sparizioni e torture è ancora in gran parte ignoto, proprio perché, finora, nessuno si è preoccupato di condurre indagini sui danni collaterali lasciati, non da un regime militare, ma dalla “democrazia” contrattata che fa parte del silenzio strutturale postumo riguardo alle massi di cadaveri che giacciono ancora in posti segreti in tutto il Venezuela.
 
“Nella commissione stiamo scoprendo cose nuove tutto il tempo,”, mi dice il ricercatore Aldemaro Barrios. Il suo lavoro comprende il frugare nella massa di documenti militari  precedentemente segreti.
 
“Per esempio, durante la guerriglia, i militari usavano i bombardamenti aerei sulla catena dei monti Falcon. Il metodo che adottavano era di bombardare il sito, e bombardare qualsiasi cosa che si muovesse.”
 
Aggiunge: “Non abbiamo idea di quante persone siano morte in quel modo.”
 
E’ un contesto troppo spesso trascurato quando si analizza il significato della Rivoluzione Bolivariana  che è emersa da questa storia  cruenta e clandestina e che molti ex guerriglieri e rivoluzionari come Medina, considerano essere un seguito della lotta che hanno iniziato.
 
E’ anche un contesto che spiega il rifiuto del paese della “democrazia rappresentativa” e la sua ricerca di un modello di democrazia partecipativa dove il potere sia direttamente nelle mani della gente, e non semplicemente affidato a “rappresentanti eletti” inaffidabili.
 
Nel 1999 il presidente Hugo Chavez ha preso le redini del governo, non ha ereditato una democrazia funzionante nella sostanza, ma piuttosto una democrazia soltanto di nome con una capacità affilata come un rasoio e perfettamente affinata per operare la repressione, che spesso viene esercitata contro la popolazione.
 
Smantellare questo stato ha costituito uno dei più importanti obiettivi e trionfi della rivoluzione bolivariana, anche se,  è, naturalmente, un processo incompleto. Come Barrios ha osservato: “Non stiamo più parlando di uno stato la cui esistenza si basa su una politica di repressione.”  E’ piuttosto uno stato che ha riconosciuto che non può esserci una democrazia significativa se la gente viene estraniata dalla memoria storica e che posto il potere legislativo  direttamente nelle mani proprio della gente che ha sofferto la repressione della Quarta Repubblica.
 
Nell’ottobre 2011, la legge del paese per la Punizione dei Crimini, le Sparizioni, le Torture e le altre Violazioni dei diritti Umani che è stata attuata per motivi politici dal 1958 al 1998, è stata approvata anche dall’Assemblea Nazionale del paese. E’ un altro potente strumento legale che ha preparato la strada perché queste storie precedentemente nascoste venissero alla luce, così come anche ai tribunali del paese.
 
Finora Commissione per la Verità e la Giustizia può vantare diverse vittorie. Ha portato in giudizio vari ex funzionari della sicurezza che sono stati giudicati colpevoli di violazioni dei diritti umani e di omicidio; tra questi un ex agente di polizia, Romero Sanchez Araujo, cui è stata inflitta una condanna a 30 anni di carcere, e Remberto Uzcategui Bruzual, ex capo dei Servizi segreti nazionali, (DISIP –Direzione dei Servizi di Intelligence e di Prevenzione), che sta per essere condannato.
 
Tuttavia, Medina è svelto ha far notare che l’obiettivo principale della commissione è di assicurare un “giudizio morale” per quelli che hanno portato avanti la repressione, e di rendere visibile la vera storia del paese. C’è molto da fare. La settimana scorsa la commissione ha annunciato che condurrà un’inchiesta specialistica nella storia specifica degli studenti attivisti che sono stati uccisi e torturati tra il 1958 e il 1998 e che, per il ruolo primario di appoggio alla lotta di guerriglia urbana degli anni ’60 e ’70, erano spesso dalla parte sbagliata della repressione di stato.
 
“Il movimento studentesco in Venezuela ha sempre svolto un ruolo attivo nei cambiamenti fondamentali che  ha sperimentato il paese,” afferma Ramirez.
 
Tuttavia le indagini sulle violenze contro di loro “o non hanno portato a nulla, o non sono o non sono state affatto oggetto di indagine”, malgrado l’enormità delle violazioni.
 
Anche il caso a cui sta attualmente lavorando Ramirez, il caso Tazon,  è stato precedentemente  etichettato come risolto e lasciato a ingiallire nel cassetto di un funzionario, malgrado il fatto che il 19 settembre 1984, le forze armate del paese avessero fatto fuoco su un gruppo di studenti che andavano a una manifestazione, ferendone gravemente 35 e lasciandone molti sfregiati per il resto della vita.
 
Terminando la nostra conversazione, ho chiesto ingenuamente a Ramirez se il caso Tazon è una scoperta recente, conseguenza delle indagini in corso della commissione.
 
“Questo è accaduto nel 1984. Il fatto è che, a quel tempo, non abbiamo avuto l’opportunità che abbiamo adesso, di parlare con un giornalista di un canale televisivo internazionale. Infatti abbiamo portato queste testimonianze alla televisione e alla stampa, ma nessuno vi ha prestato attenzione.”
 
E’ soltanto adesso, con la democrazia diretta, che i venezuelani stanno cominciando a ad avere il potere e l’influenza di domandare giustizia e una storia scritta in base all’immagine che se ne sono fatta. Se tutto andrà bene, un giorno anche gli studenti messicani avranno quel diritto.

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