Il fallimento del "modello Yemen"

Il fallimento del "modello Yemen"

Il "quasi colpo di Stato" nel Paese e le sue ripercussioni sull'equilibrio interno e regionale

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di Mara Carro

Dopo essere balzato agli onori della cronaca internazionale come il paese che ospita la frangia qaedista (Aqap) che ha rivendicato l’attacco alla redazione parigina del settimanale satirico Charlie Hebdo, lo Yemen torna sotto i riflettori della politica internazionale per un "quasi colpo di stato" ad opera della ribellione sciita zaydita degli Houthi, con legami con l’Iran, che ha le sue roccaforti nel nord del Paese e dal 2004 rivendica una maggiore autonomia dal governo centrale. 
 
Il 19 gennaio i combattenti sciiti si sono scontrati con l'esercito nei pressi del palazzo presidenziale, hanno circondato la residenza del primo ministro e hanno occupato la sede dell'agenzia di stampa Saba e della televisione di stato, inducendo il ministro dell'Informazione dello Yemen, Nadia Sakkaf, a denunciare "un primo passo verso un colpo di stato". 
 
Del 20 gennaio è la notizia che i miliziani sciiti Houthi hanno fatto irruzione all'interno del palazzo Presidenziale di San'a', capitale dello Yemen, sancendo di fatto il fallimento dell’accordo di cessate il fuoco siglato il giorno prima tra il presidente Abel Rabbo Mansour Hadi e i rappresentanti degli Houthi.
 
In un discorso trasmesso in diretta dalla televisione locale, il leader dei ribelli, Abdul-Malik al-Houthi, ha denunciato la corruzione del paese, accusato il governo di essersi rifiutato di mandare l’esercito a combattere contro al-Qaida e elencato quattro condizioni per porre fine alla persistente crisi nel Paese. Abdul-Malik al-Houthi ha invocato una rapida riforma del comitato nazionale incaricato di sovrintendere agli esiti della Conferenza di Dialogo Nazionale, che si è conclusa nel mese di gennaio del 2014, accelerare la modifica del progetto di Costituzione del Paese e l’attuazione del Peace and National Partnership Agreement (Accordo nazionale di pace) siglato a Sana’a' lo scorso 21 settembre. Infine, il leader sciita ha chiesto una riforma globale della sicurezza. 
 
La situazione è degenerata il 17 gennaio quando le milizie Houthi hanno rapito del capo di gabinetto del presidente Hadi, Ahmed Awad bin Mubarak, responsabile del dialogo nazionale tra le forze politiche e i gruppi etnici del Paese, evidentemente nella speranza di usare il suo rilascio come leva nei difficili negoziati sul progetto di riforma costituzionale proposta da Hadi ma invisa ai ribelli sciiti. Oggetto della contesa è l’assetto federale del Paese. Il progetto di riforma di Hadi prevede la divisione del paese in sei stati federali. Un'ipotesi non gradita ai ribelli che invece vorrebbero suddividere lo Yemen in un nord sciita e un sud sunnita. Gli Houthi chiedono inoltre che le proprie milizie vengano integrate nell'esercito nazionale, un'opzione non contenuta nell’Accordo nazionale di pace che – almeno fino a due giorni fa – ha arginato le violenze sotto il manto di un precario status quo.
 
Le violenze degli ultimi giorni sono le peggiori che hanno riguardato San'a da quando gli Houthi, guidati da Abdul-Malik al-Houthi, sono entrati nella capitale lo scorso settembre, capitalizzando le proteste e la rabbia diffusa dopo l'annuncio del governo di un forte aumento dei prezzi del carburante, accrescendo il loro sostegno anche in aree non sciite grazie all’aver fatto propri i temi che avevano animato le rivolte contro Saleh nel 2011 – lotta alla corruzione delle vecchie élite di regime e ad al-Qaeda - e costringendo il Primo Ministro Salem Basindwa alle dimissioni. Il rafforzamento degli Houthi nel nord del Paese e la rapida presa della capitale sono state possibili anche grazie all’allineamento tattico con tribù, comandanti militari e alcune unità d'elite della Guardia Repubblicana rimaste fedeli all’ex presidente Saleh e contro nemici comuni, come il partito islamista sunnita Islah, i salafiti e la potente famiglia tribale degli Al-Ahmar.
 
L’Accordo nazionale di pace patrocinato dall’Onu lo scorso settembre ha prodotto un nuovo esecutivo, con esponenti Houthi installati in posizioni chiave nel governo, nelle istituzioni finanziarie del Paese e in quelle che sorvegliano il processo decisionale, ha deciso la nascita di una commissione incaricata di presentare le misure per affrontare le profonde riforme del settore economico del Paese e individuare misure politiche in materia di anticorruzione. Teoricamente, ha anche riaperto la spinosa questione della struttura statale, in particolare sul numero delle regioni federali. E, la parte politicamente più significativa contenuta nell’allegato, ha deciso il disarmo delle milizie e l'integrazione delle armi medie e pesanti all’interno delle Forze armate nazionali. Gli Houthi, anche se con qualche titubanza legata alla possibilità di dover smantellare le milizie in un momento a loro propizio, hanno sottoscritto sia l’Accordo che l’allegato, sostenendo di non volere il potere ma di voler solo veder consolidarsi una democrazia in cui le minoranze hanno una rappresentanza politica nel governo, salvo poi stringere la presa su Sana’a'.
 
Spesso presentato come una storia di successo tra le rivolte arabe, il processo di transizione sostenuto a livello internazionale in Yemen sembra, dunque, in procinto di deragliare a pochi mesi dall’avanzata degli Houthi sulla capitale. La ribellione sciita degli Houthi nel nord del paese non è poi l’unico fattore di instabilità. A questo vanno sommati, infatti, il forte movimento secessionista del sud, che potrebbe trarre nuova linfa dalle recenti mosse degli Houthi e che comunque non vede di buon occhio il matrimonio di convenienza con Saleh per ottenere il potere, e la minaccia dei miliziani al Qaida nella Penisola Arabica, Aqap, che beneficia enormemente dell’attuale conflitto, e le pessime condizioni economiche in cui versa il Paese. Uno scontro aperto tra al-Qaeda e gli Houthi minaccia, inoltre, di far precipitare il paese in una violenta guerra settaria sunniti-sciiti che, come ricorda l’International Crisis Group, il Paese non ha mai conosciuto. Gli zaiditi, sciiti musulmani, che costituiscono la maggioranza nel nord, e gli Shafiiti, sunniti, che sono la maggioranza nel resto del paese, hanno pratiche religiose simili e hanno vissuto relativamente in pace per secoli. Già nel mese di ottobre, Aqap ha compiuto un attentato suicida contro una manifestazione Houthi che ha ucciso 50 persone e ha pubblicato un video che mostra l'esecuzione di 14 membri Houthi. Allo stesso tempo, ha intensificato gli attacchi contro la polizia e l'esercito.
 
Gli eventi delle ultime ore sembrano indirizzare il paese verso un altro sconvolgimento, un’anarchia o un vuoto di potere. Anche se un cessate il fuoco può essere concordato e il presidente Mansour Hadi conservare la sua carica, un'ulteriore destabilizzazione appare inevitabile.
 
La traiettoria politica futura dello Yemen è anche legata al contesto regionale, con l’Arabia Saudita che guarda ai ribelli Houthi attraverso la lente della lotta di influenza regionale con Teheran e come una minaccia geograficamente troppo prossima ai suoi confini. Negli ultimi mesi, la disputa tra le due potenze regionali ha assunto i tratti di una guerra petrolifera, con Ryhad che si è rifiutata di tagliare la produzione petrolifera per far risalire i prezzi del greggio e ha assestato un duro colpo all’economia iraniana che ricava il 25% del suo PIL dagli idrocarburi e l’Iran che ha promesso di farle “rimpiangere” questa decisione.
 
Di fronte all’escalation degli ultimi giorni, l’Arabia Saudita è rimasta silente ma se questa volta gli Houthi dovessero reclamare il potere, questo sarebbe inevitabilmente un progresso strategico per Teheran, con Ryhad che si ritroverebbe con due fronti aperti: le forze dell’ISIS a nord e le milizie Houthi – spalleggiate dall’Iran - a sud. 
 
Dal punto di vista degli Stati Uniti, di cui lo Yemen è partner nella lotta al terrorismo di matrice qaedista e che solo quattro mesi fa veniva presentato come un esempio di successo della strategia americana di antiterrorismo, si tratta di una battuta d'arresto per gli sforzi di mobilitare l'azione contro i gruppi di al-Qaeda che hanno trovato rifugio nello Yemen e che in più occasioni hanno dimostrato di essere capaci di colpire l’Occidente. Oltre ai recenti fatti di Parigi, si pensi infatti a Umar Farouk Abdulmutallab che ha cercato di far esplodere una bomba-al-plastico nascosta nelle sue mutande sul volo NW253 della Northwest Airlines, in rotta da Amsterdam a Detroit.
 
Una situazione di anarchia minaccia inoltre la sicurezza dello strategico Stretto di Bāb el-Mandeb che congiunge il Mar Rosso, il Golfo di Aden e quindi l'Oceano Indiano.
 
 
 
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