La crisi ucraina

La crisi ucraina

Gli eventi che hanno rivoluzionato l’ordine internazionale del dopo Guerra Fredda

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di Mara Carro

“Ukraine, a new and important space on the Eurasian chessboard, is a geopolitical pivot because its very existence as an independent country helps to transform Russia. Without Ukraine, Russia ceases to be a Eurasian empire….However, if Moscow regains control over Ukraine, with its 52 million people and major resources as well as access to the Black Sea, Russia automatically again regains the wherewithal to become a powerful imperial state, spanning Europe and Asia.”
 
Zbigniew Brzezinski in ‘The Grand Chessboard’ 


 
La crisi in atto in Ucraina negli ultimi mesi ha tutti gli ingredienti della geopolitica classica: politica delle grandi potenze, esercizio di influenza regionale, manovre militari e proteste nelle piazze. La terminologia realista sembra adattarsi perfettamente allo scenario ucraino. Questioni come equilibrio di potere, potere militare e anarchia internazionale, dove non esiste una governance al di sopra del livello dello stato-nazione, vengono utilizzate per comprendere il comportamento dei principali attori.
 
Con la ricostruzione dell'Europa occidentale dopo il 1945 e la riunificazione del continente dopo il 1989, gli europei pensavano di aver superato questo tipo di politica di potenza. Incastonati nella NATO e nell'UE, gli Stati europei erano convinti di essere entrati in una nuova era "postmoderna", dove il soft power ha sostituito l’hard power e il diritto internazionale ha creato un ordine reciprocamente vantaggioso almeno nel “vecchio continente”. Ora, tutte queste ipotesi sono rimesse in discussione. 
 
Quando si analizzano crisi internazionale come quella in Ucraina, gli Stati sono visti come gli attori principali, mossi dai loro interessi nazionali definiti secondo un’equazione costi-benefici. Tuttavia ci sono anche buone ragioni per considerare altre dinamiche importanti che influenzano il corso degli eventi e potrebbe svolgere un ruolo importante nella ricerca di una soluzione permanente per il conflitto tra Kiev e Mosca.
 
 In particolare, ci si riferisce al modo in cui due organizzazioni internazionali occidentali si sono comportate durante la crisi ucraina: NATO e Unione Europea (UE). Questo permette una migliore comprensione di quanto è avvenuto 
 
 
IL RUOLO DELL’UNIONE EUROPEA
 
L’Unione europea e il Trattato di Associazione con l’Ucraina sono stati il fattore scatenante di questa crisi.  
 
La volontà di stabilire le condizioni per il potenziamento delle relazioni economiche e commerciali che avrebbero portato l'Ucraina verso la graduale integrazione nel mercato interno dell'UE, mediante l'istituzione di un’area di libero scambio e il graduale ravvicinamento della legislazione nazionale a quella comunitaria si è scontrata con la posizione filorussa dell'ex presidente Viktor Yanukovich. La propensione del presidente ucraino era dettata anche da necessità: la dipendenza energetica ucraina dal gas russo, il timore di ritorsioni commerciali da parte di Mosca, i forti legami identitari, ma anche sociali ed economici, tra la Russia e le regioni orientali del Paese. Il malcontento popolare per gli alti livelli di corruzione del governo ucraino era in crescita da mesi. E quando il gabinetto di Kiev ha deciso il 21 novembre 2013 di sospendere la firma dell'accordo di associazione con Bruxelles, gli ucraini hanno invaso le strade per protestare contro l'ombra dell’influenza di Mosca, temendo un futuro meno ancorato in Occidente e più in Russia.
 
Proprio nel mezzo delle manifestazioni, lo scorso 17 dicembre, il governo ha siglato un accordo con il Cremlino. L'intesa comprendeva uno sconto cospicuo sulle forniture di gas e l'acquisto, da parte della Russia, di 15 milioni di euro di bond ucraini. L’accordo ha di fatto evitato il default per il paese.
 
Da un punto di vista meramente economico, come sottolineano diversi economisti tra i quali Jacques Sapir, considerando che l'Unione europea è in stagnazione e che la sua domanda interna si sta addirittura contraendo in molti paesi, con l’eccezione della Germania, è chiaro che il potenziale di sviluppo più importante si trova dalla parte dell’Unione Doganale, progetto di integrazione sovranazionale, a cui già appartengono Russia, Bielorussia e Kazakhstan, voluto dal presidente russo Vladimir Putin per ristabilire l’egemonia economica e politica del Cremlino sullo spazio ex-sovietico. Se l'Ucraina decidesse di firmare un accordo con Bruxelles con l'esclusione di relazioni economiche con la Russia, l'UE dovrebbe compensare le industrie ucraine per una considerevole perdita di reddito. Questo porterebbe a un flusso di trasferimenti dai 15 ai 20 miliardi di euro annuali (in realtà 20 miliardi nel 2011). Detto in maniera brutale, l'UE non ha più i mezzi per versare una somma del genere e la promessa di una rapida integrazione dell'Ucraina nell'Unione Europea non è possibile senza mandare in bancarotta l’intero sistema.
 
Oggi l'export ucraino si rivolge in primis ai paesi CSI (Comunità degli Stati Indipendenti, composta da Bielorussia, Russia e Kazakhstan), poi all’Ue e infine al resto del mondo. Visto che il mercato ucraino è fermo, che il paese è in crisi e che l'unico vero sbocco per l'export, ad oggi, è rappresentato dalla Russia, la possibile diminuzione delle esportazioni verso Mosca rischia di avere dei risvolti drammatici per Kiev.
 
L'accordo di Associazione tra l'Ue e l'Ucraina, negoziato tra il 2007 e il 2011, e che avrebbe dovuto essere firmato durante il Vertice Ue di Vilnius del 29 novembre sul partenariato orientale è andato al di là delle aree di indirizzo quali l'energia, i trasporti e la tutela dell'ambiente, la cooperazione industriale, lo sviluppo sociale, la parità di diritti, la tutela dei consumatori, l'educazione, la gioventù, e la cooperazione culturale. Come in tutti gli accordi dell'UE con i partner vicini, l'accordo si focalizzata su valori e principi che si trovano nel trattato di Lisbona: l'Ucraina dovrebbe osservare il rispetto della democrazia e dello Stato di diritto, rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, principi di buon governo, di libero mercato e sviluppo sostenibile. L'accordo comprende anche disposizioni in materia di cooperazione rafforzata in settori quali la politica estera, l’energia e la sicurezza.
 
Dopo la deposizione di Yanukovic e l’insediamento del nuovo governo a Kiev, il 21 marzo i leader europei e il primo ministro del governo ad interim ucraino Arseniy Yatsenyuk hanno firmato a Bruxelles i capitoli politici dell'Accordo di Associazione che definisce nel dettaglio la cooperazione più stretta tra l'Unione Europea e l'Ucraina. La firma dei capitoli economici dell'Accordo è stata, invece, rinviata al novembre 2014. 
 
L’Accordo di associazione mira ad avvicinare Kiev e Bruxelles, allontanando l’ex repubblica sovietica dall’orbita di Mosca e dalle mire di reintegrazione del Cremlino nello spazio euroasiatico e nell’Unione doganale con Russia, Bielorussia e Kazakhstan.
 
Putin, come sottolinea anche il Professore emerito di Storia delle Relazioni Internazionali, Ennio Di Nolfo, mira a ricostituire quel ruolo di superpotenza mondiale che la Russia ha perduto con l’implosione dell’Unione Sovietica, avviando il progetto noto come Unione doganale eurasiatica alla base del quale vi è una serie di accordi con i paesi dell’ex-Urss non sono ancora entrati nel sistema occidentale. Così l’intesa con la Bielorussia e con il Kazakhstan; così l’azione militare contro la Georgia e la pressione sull’Armenia.
 
In questo mosaico, il recupero di un solido controllo sull’Ucraina rappresentava la tessera principale per molte ragioni. Innanzitutto il dato storico. Kiev fu eletta “Madre delle Città Russe” da Oleg di Novgorod. L’Ucraina rappresenta la parte più fertile e climaticamente più accessibile di tutta la regione; la produzione agricola dell’Ucraina è necessaria a tutta la Russia (“granaio di Russia e d’Europa”), ma soprattutto per le ragioni, ormai ben note, derivanti dall’importanza strategica dell’Ucraina ai fini del controllo del Mar Nero e della possibilità di proiettarsi nel Mediterraneo, come emerso, ad esempio, nelle fasi più acute della crisi siriana. Un assillo, questo, che condiziona tutta la storia dell’Impero russo dalla fine del XVIII secolo in poi.
 
Il 17 aprile Putin ha introdotto un nuovo concetto pericolosamente espansivo nella crisi Ucraina citando la Novorossiya, una grande fetta di territorio sottratto dalla Russia imperiale nel corso del 18° secolo ad un Impero ottomano in declino. La Novorossiya copriva circa un terzo di quella che oggi è l'Ucraina (Crimea compresa). La 'riscoperta' Novorossiya di Putin sembra includere le seguenti province in aggiunta alla Crimea: Donetsk, Lughansk, Kharkiv, Dnepropetrovsk, Zaporizhia, Kherson, Mikolaiv e Odessa. Se Mosca dovesse trasformare questa visione in realtà dominerebbe l'intero litorale settentrionale del Mar Nero e controllerebbe una vasta fascia di territorio contiguo che si estende dagli attuali confini occidentali della Russia ai confini della Romania e della Moldavia e includendo l’autoproclamata Repubblica della Transnistria. Finora, né sanzioni, né una condanna internazionale delle azioni della Russia in Ucraina hanno avuto il minimo effetto deterrente contro la strategia di Putin.
 
Al di là delle considerazioni geopolitiche, parte dei timori della Russia relativi ad un accordo tra Ucraina e Unione Europea sono legati al commercio. E il presidente russo lo ha in parte spiegato durante il summit intergovernativo Italia-Russia tenuto a Trieste nel novembre 2013. 
Mosca teme che a seguito della riduzione delle barriere commerciali tra Ucraina ed Europa, le merci europee possano invadere il mercato russo attraverso l’Ucraina, senza il pagamento di alcun dazio, dato che anche tra Ucraina e Russia c’è un accordo di libero scambio.
 
IL RUOLO DELLA NATO
 
Mikhail Gorbaciov era riuscito a strappare a Ronald Reagan la promessa che la NATO non si sarebbe allargata verso est.
 
Con il passare degli anni, invece, un numero crescente di Paesi appartenenti all’Europa orientale è finito, attraverso passaggi graduali ben consolidati (associazione all’Unione Europea e successiva adesione alla NATO), per gravitare nello schieramento occidentale.
La mossa da parte della NATO di estendere l'Alleanza al confine russo è controversa e viola lo spirito, se non la sostanza, dell’accordo del febbraio 1990 tra l'allora leader sovietico Mikhail Gorbaciov, il Segretario di Stato americano, James Baker, e il cancelliere Helmut Kohl.
 
Durante il periodo della Guerra Fredda hanno aderito alla NATO: Grecia e Turchia (1952), Germania (1955), Spagna (1982). Si trattava di adesioni motivate principalmente dall’esigenza di contrastare la minaccia sovietica che gravava sull’area euro-atlantica.
Il primo allargamento post-guerra fredda della NATO si è concluso nel marzo 1999 con l’adesione di Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia. Il summit di Praga del novembre 2002 ha sancito il più grande singolo allargamento dell’Alleanza, con l’adesione di ben sette paesi: Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia. Nel 2009 si unirono Croazia e Albania. Sei altre ex-repubbliche sovietiche – Ucraina, Georgia, Moldova, Kazakhstan, Armenia e Azerbaijan – hanno ora legati i loro eserciti con quello della Nato tramite il programma “Partnership for Peace”. Tutte e cinque le ex-repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale – Kirghizistan, Tajikistan, Turkmenistan, Kazakhstan e Uzbekistan – mettono a disposizione della NATO i diritti di transito e di sorvolo dello spazio aereo nella guerra in Afghanistan.
 
Le relazioni tra Nato e Ucraina iniziarono a svilupparsi subito dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica. Dopo aver ripercorso le stesse tappe di avvicinamento intraprese dalla Russia – Consiglio per la Cooperazione del Nord Atlantico (NACC), Consiglio del Partenariato Euro-Atlantico (EAPC), Partnership for Peace (PFP) – il governo di Kiev nel 1997 ha firmato la Carta NATO – Ucraina sulla quale si fonda la partnership con l’Organizzazione Atlantica. Nel 2002 viene adottato il “Piano di azione Nato-Ucraina” e il presidente Kučma annuncia l’intenzione di aderire alla Nato. Nel 2005 viene lanciato un “dialogo intensificato sull’aspirazione dell’Ucraina a divenire membro della Nato” e nel 2008 il summit di Bucarest da parere favorevole all’ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica. Ancora, nel 2009 Kiev firma un accordo che permette il transito terrestre in Ucraina di rifornimenti per le forze Nato in Afghanistan. Ma, nel 2010, il neoeletto presidente Yanukovic annuncia che l’adesione alla Nato non è nell’agenda del suo governo.
 
Dalla fondazione dell’Alleanza Atlantica nel 1949, nata in ben altro contesto storico e alla costante ricerca di un ruolo che ne giustifichi l’esistenza in un mondo post-guerra fredda, il timore della Russia è di essere accerchiata e isolata. Ai tempi dell'Unione sovietica, infatti, gli Stati satellite avevano la funzione di fare da cuscinetto di fronte a eventuali offensive dell'Occidente. La progressiva espansione della Nato ad Est operata a partire dagli anni ’90 è stata presentata al grande pubblico come una benigna diffusione di democrazia e ricerca di stabilità. Letto con la lente del Cremlino, invece, l’allargamento della Nato altro non è che il tentativo di contenere la Russia militarmente e politicamente. L’espansione della NATO è stato un atto politico, non un impegno militare, e l’Alleanza costituisce una potenziale minaccia per gli interessi russi. A nulla ha infatti giovato l’apertura diplomatica alla Russia, come la creazione di un consiglio permanente NATO-Russia nel 1997.
 
Il problema centrale con l’espansione della NATO non è stato tanto il primo o il secondo allargamento, ma piuttosto la politica della ‘porta aperta’ alle adesioni e l‘intenzione di estendere il proprio impegno politico ad altri partner nel mondo. Un processo sempre meno fondato sul dato geografico e militare e più orientato all’affermazione di principi e ideologie.
 
Il vero problema è venuto nel 2008, quando gli Stati Uniti di George W. Bush hanno insistito per negoziare un "Membership Action Plan" con l'Ucraina e la Georgia per iniziare il processo di adesione alla NATO. Francia e Germania hanno convinto Bush a desistere e il successivo intervento di Mosca in Georgia ha indotto l'Ucraina a ritirare la sua domanda NATO e optare per una dichiarazione formale di neutralità. 
 
Oggi, sebbene l’adesione dell’Ucraina alla Nato non sia nell’agenda dell’Alleanza da anni, la Russia ha messo in chiaro che non avrebbe tollerato un futuro nella Nato dell’Ucraina.
 
Comprendere la crisi in Ucraina oggi senza questa ricostruzione degli errori strategici e di lettura del contesto internazionale commessi negli anni dalla NATO sarebbe impossibile. Soprattutto nella narrazione russa della crisi, la NATO svolge, infatti, un ruolo vivo e attivo.
 
Le crisi Ucraina ha assunto una dimensione militare quando la protesta dalle strade di Kiev si è estesa al territorio della Crimea, che ha visto gli aeroporti e le basi militari occupate da milizie locali supportate da militari russi.
 
L'occupazione de facto del territorio ucraino è stato possibile solo perché l'Ucraina non è un membro della NATO. Parallelamente però, l’incursione russa in Crimea, la situazione nelle regioni orientali ucraine e lo spostamento delle truppe russe ai confini ucraini ha accresciuto i timori degli altri membri dell’Alleanza, Polonia e Stati baltici su tutti, che hanno chiesto all’Alleanza di corrispondere agli obblighi derivanti dall’articolo 5 della NATO.
 
Per rassicurare gli alleati a ridosso della zona di crisi, il Segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, ha reso nota l’intenzione dell’Alleanza Atlantica di rafforzare le difese aeree, navali e terrestri nell'Europa orientale.  Gli Stati Uniti, oltre a contribuire con gli aerei, hanno anche schierato 600 soldati in Polonia e negli Stati baltici per una serie di esercitazioni bilaterali. La situazione ucraina potrebbe anche indurre l’Alleanza a rivedere i piani di difesa per i paesi ai confini con la Russia e in particolare per i Paesi baltici. Alla luce delle dichiarazioni del comandante Nato in Europa, il generale Philip Breedlove, che ha parlato di “un cambio di paradigma per la NATO”, e di quelle del vice segretario della NATO, Alexander Vershbow, che ha definito la Russia “un nemico e non più un partner”, si parla di una presenza permanente di truppe da combattimento in Lettonia, Lituania ed Estonia.
 
Inoltre, i membri della NATO sono anche parte della risposta economica e politica globale che prevede l'imposizione di sanzioni contro la Russia.
 
Le opzioni future della NATO, che ha escluso un confronto militare con la Russia in Ucraina, sono ridotte. Quello che può fare è sicuramente mantenere l’unità dei suoi membri e utilizzare efficacemente gli istituti creati a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale. Quello che sicuramente non dovrebbe fare è muoversi rapidamente per portare l'Ucraina e la Georgia nella NATO. 
 
 
LA CRISI IN CRIMEA E LA SITUAZIONE DELLE REGIONI ORIENTALI
 
L’annessione della Crimea da parte di Mosca segna una nuova stagione nei rapporti tra la Russia e l’occidente e rivoluziona l’ordine internazionale del dopo guerra fredda.
 
La crisi di Crimea è la diretta conseguenza di Euromaiden - una serie di manifestazioni e disordini civili che hanno avuto inizio la notte del 21 novembre 2013, subito dopo la decisione del governo ucraino di Viktor Yanukovic di non firmare l’Accordo di associazione tra l'Ucraina e l'Unione europea.
 
A partire dal 25 febbraio la regione meridionale della Crimea, popolata in maggioranza da russi, è stata teatro di una violenta ribellione popolare contro il governo ucraino insediatosi all’indomani della destituzione e della fuga all’estero del presidente Yanukovic.
 
Il nuovo governo di Kiev, espressione delle diverse forze di piazza Indipendenza, è entrato in carica il 27 febbraio ed è formato da 20 membri, molti dei quali provengono dal partito Unione Pan-Ucraina\Patria, il partito dell’ex primo ministro Yulia Tymoshenko. Tra questi l’attuale primo ministro, Arsenly Yatsenyuk, il presidente ad interim, Oleksandr Turchynov, il ministro degli Interni, Arsen Avakov e il ministro della Giustizia, Pavlo Petrenko.
 
All’interno del governo ci sono anche quattro membri del partito di estrema destra Unione Pan-Ucraina “Libertà”, conosciuto come Svoboda. I membri di Svoboda all’interno del governo ucraino sono i ministri della Difesa, dell’Agricoltura, delle Risorse Naturali e il vice primo ministro Oleksandr Sych. Andriy Parubiy, il Segretario del Comitato di sicurezza e difesa nazionale, è il fondatore di Svoboda. Il vice di Parubiy alla sicurezza nazionale è Dmitry Yarosh, leader di Praviy Sektor (Settore Destro), emerso per la prima volta alla fine del novembre 2013 come alleanza di estrema destra di gruppi nazionalisti ucraini.
 
Il primo decreto del nuovo esecutivo ha riguardato lo status della popolazione russofona e della comunità russa del Paese: abolizione del russo quale lingua paritaria del Paese assieme all’ucraino e revisione della struttura amministrativa dello Stato, con un possibile ridimensionamento delle autonomie locali e quindi della Repubblica autonoma di Crimea.  Questo ha scatenato le proteste in Crimea e la pronta reazione di Mosca che ha immediatamente messo in chiaro di avere il pieno diritto di tutelare i cittadini di etnia russa.
 
Gli episodi di violenza più significativi hanno riguardato le città di Sebastopoli, quartier generale della Flotta del Mar Nero, e di Simferopol, capitale della regione. In quest’ultima città, i manifestanti filo-russi hanno occupato il Parlamento locale, eletto un nuovo Premier e indetto, inizialmente per il 25 maggio, in coincidenza delle elezioni presidenziali ucraine, e poi per 16 marzo, un referendum per decidere l’annessione della penisola alla Russia,
 
L’occupazione dei palazzi istituzionali crimeani e degli aeroporti di Simferopol e Sebastopoli è stata compiuta da gruppi armati privi di qualsiasi riconoscimento, presumibilmente composti da milizie locali supportate da militari del Cremlino.
 
Nel referendum del 16 marzo, il 97 per cento dei votanti in Crimea si è espresso a favore dell’annessione alla Russia. Il 17 marzo il Parlamento locale ha approvato una mozione che proclama indipendente la Crimea e ne chiede formalmente l’annessione alla Russia. Il 17 marzo il presidente russo Putin ha firmato un ordine esecutivo che riconosce la Crimea come uno Stato sovrano e indipendente. Il 18 marzo Putin ha chiesto formalmente ai parlamentari di approvare l’annessione della Crimea e della città di Sebastopoli alla Federazione Russa con lo status di “entità federali”. Putin e i leader della delegazione della Crimea presenti hanno firmato un trattato che rende la Crimea parte della Russia. Il trattato era stato ratificato anche dalla Camera bassa, la Duma, con un solo voto contrario, e approvato dalla Corte Costituzionale di San Pietroburgo.
 
Gli eventi in Crimea hanno avuto un’eco importante nelle regioni orientali russofone ucraine di Odessa, Kharkhiv, Donetsk. Le aree orientali ucraine, in particolare Donetsk, sono state oggetto di scontri tra manifestanti filo-russi e filo-ucraini. Anche qui i separatisti filorussi hanno occupato edifici pubblici, issato la bandiera russa, proclamato la "Repubblica Popolare di Donetsk" e la "Repubblica Popolare di Lughansk” e indetto referendum sullo status delle regioni.
Nonostante il continuo sostegno della comunità internazionale, la leadership ucraina ha incontrato enormi difficoltà nel tentativo di contenere l’escalation di violenza che si sta propagando nell’est del Paese. L’avvio, il 13 aprile, di un’operazione anti-terrorismo per disarmare i gruppi ribelli filo-russi, liberare gli edifici occupati e ripristinare l'autorità di Kiev sulle regioni di Donetsk e Lugansk, proseguita anche dopo la firma e il sostanziale fallimento dell’intesa di Ginevra del 17 aprile tra i capi delle diplomazie di Russia, Ucraina, Usa e Ue, si è rivelata inefficace. Dall'inizio dell’"operazione antiterrorismo" le forze lealiste hanno dimostrato di non essere in grado di combattere efficacemente gli insorti e hanno spesso trovato l’opposizione della popolazione locale. Tre elicotteri d’attacco delle Forze Armate di Kiev sono stati abbattuti, diversi veicoli corazzati sono stati sequestrati dai separatisti e alcuni soldati ucraini si sarebbero arresi ai separatisti.
 
Oltre che militare, il fallimento delle operazioni “anti-terrorismo” volte a neutralizzare i gruppi secessionisti filorussi dell’est è stato anche politico. L’11 maggio, nell’intero Donbass che comprende la parte centrale e settentrionale dell'oblast di Donesk e quella meridionale dell'oblast di Lughansk i votanti hanno sostenuto l’atto di autonomia governativa della Repubblica Popolare di Donetsk e di quella di Lughansk.
 
A differenza della Crimea, dove, all’indomani del referendum, Mosca si è subito attivata per annetterla formalmente al territorio della Federazione, in occasione dei referendum di Donetsk e Lugansk, il presidente russo aveva suggerito a coloro che controllano le regioni di posporre la votazione anche in ragione delle imminenti elezioni presidenziali previste per il 25 maggio.
 
Come si è già discusso in precedenza, la strategia di Putin mirerebbe a ricreare una versione aggiornata della Novorossiya, letteralmente la Nuova Russia, per ristabilire l'egemonia russa su quanto più possibile della ex Unione Sovietica e quindi riaffermare il ruolo della Russia come grande potenza mondiale. Anche se la sua strategia in Ucraina è molto ambiziosa, Putin è evidentemente convinto che la tattica più efficace sia quella di replicare il modello Crimea in Ucraina orientale, dove di fatto Mosca controlla oltre una dozzina di luoghi chiave nella sua più importante provincia, Donetsk.Questo è l’oblast più industrializzato dell'Ucraina, con il 74,9 per cento di popolazione di lingua russa e legami industriali molto forti con Mosca. Sulla scia del referendum dell’11 maggio, Donetsk e Lughansk sono gli oblast che maggiormente rientrano nelle mire del Cremlino, seguiti da Zaporizhia e Kherson, funzionale quest’ultimo al fine di creare un "ponte di terra" tra la Russia e la Crimea.
 
Gli eventi di queste ultime settimane hanno poi accresciuto i timori circa la deriva della crisi ucraina verso uno scenario di una guerra civile. L’episodio dell’incendio alla Casa dei Sindacati di Odessa, dove 42 attivisti filorussi sono morti in seguito a un attacco sferrato dal gruppo nazionalista Settore Destro e all’incendio che ne è scaturito ne è la conferma. Il peggior episodio di violenza dall'inizio della rivolta che nel febbraio scorso ha determinato la destituzione del presidente eletto Yanuckovich conferma i timori delle popolazioni russofone circa l’ascesa e la forza dei gruppi ultranazionalisti ucraini, rispetto ai quali le nuove autorità di Kiev hanno mantenuto un comportamento ambivalente.


A CHI CONVIENE UNA GUERRA DI SANZIONI?
 
Il più grande scontro con la Russia dopo la fine della Guerra Fredda ha rivelato divergenze interne all'UE su come procedere nei confronti di Mosca e la sua atavica debolezza sullo scenario internazionale. L’Ue ha infatti fallito su tre fronti: non è stata in grado di anticipare o prevenire il deterioramento della scena politica ucraina; non è stata in grado di fermare l'escalation del conflitto; e non ha reagito in maniera risoluta alle azioni russe in Crimea. Un’incursione militare nel 2014 così vicino a confini dell'UE, e nella sua principale area di influenza, è un duro colpo alla politica europea di vicinato.
 
L’intervento russo in Crimea ha indotto l’Unione Europea a discutere l’introduzione di tre livelli di sanzioni nei confronti della Russia, sanzioni che potevano essere introdotte in caso di un’ulteriore escalation del conflitto in Crimea.La prima ha provocato la sospensione dei colloqui bilaterali con la Russia in materia di visti e un nuovo accordo che Bruxelles e Mosca stavano negoziando per aggiornare le relazioni bilaterali. Il Consiglio dell’Ue ha inoltre sostenuto la decisione dei membri UE del G8 di sospendere i preparativi per la partecipazione al vertice del G8 a Sochi che si sarebbe dovuto tenere i primi di giugno. La seconda ha fatto scattare il divieto di ingresso in Europa e il congelamento delle attività finanziarie nei paesi dell'Unione per quasi 60 persone; mentre sul terzo livello di sanzioni, l’Ue fatica a trovare una posizione comune.
 
La Russia è uno dei dieci partner strategici dell'UE dal punto di vista economico, commerciale, energetico e della sicurezza. Mosca e Bruxelles hanno deciso di comune accordo di sostituire il vecchio Accordo di partenariato e di cooperazione, firmato nel 1994 ed entrato in vigore nel 1997, con il Partenariato Strategico dei Quattro Spazi Comuni - l'economia e l'ambiente; libertà, sicurezza e giustizia; sicurezza esterna, compresa la gestione delle crisi e la non-proliferazione; e ricerca e istruzione, compresi gli aspetti culturali - avviato in occasione del vertice di San Pietroburgo del maggio 2003.  
Il grado di dipendenza dalla Russia varia notevolmente all'interno dell'Unione europea e impedisce un reale coordinamento tra gli Stati membri e l’allineamento della UE alla posizione degli Stati Uniti, che hanno progressivamente adottato sanzioni sempre più stringenti nei confronti di alti funzionari russi molto vicini al presidente Putin e diverse aziende russe.
I paesi dell'ex blocco orientale, che vedono nella rinascita della Russia la ricomparsa di un fantasma della guerra fredda, hanno sostenuto l’adozione di misure severe contro Mosca. Molti paesi dell'Europa occidentale, invece, temono che una reazione troppo dura finirebbe per danneggiare le relazioni economiche privilegiate e limitare l'accesso al gas russo. Germania e Francia, su tutti, hanno sviluppato forti legami con Mosca da quando la Russia è diventata un mercato molto attraente dopo la fine dell'era comunista. L'investimento massiccio di oligarchi russi in diversi settori dell'economia britannica è anche qualcosa da prendere in considerazione al momento di valutare il comportamento di Downing Street.
 
In questo senso anche il Columnist del Telegraph, Ambrose Evans Pritchard,sottolinea come ci sia una differenza enorme tra i cosiddetti "falchi", coloro che appoggiano la linea dura voluta dagli Stati Uniti in seguito all'annessione di Mosca della Crimea e l'evoluzione in Ucraina orientale - principalmente polacchi, lituani e lettoni – e le "colombe", che chiedono invece un atteggiamento che non mini le relazioni economico-finanziarie con il Cremlino e le importazioni di gas russo. Paradossalmente sono i paesi "falchi" che rischierebbero di più da una guerra economica con Mosca: la Lituania ha addirittura "esposto" il 32% del suo Pil. Ma in questo caso si tratta chiaramente di una questione di identità nazionale e di sicurezza, l'eredità dell'occupazione zarista e dei bolscevichi. Dall'altra parte dello schieramento all'interno dell'Ue, "le colombe", ci sono ad esempio Spagna e Italia, che temono che un'escalation della crisi ucraina possa aggravare la situazione finanziaria della zona euro.
 
Le due regioni economiche sono interdipendenti e una guerra di sanzioni potrebbe essere deleteria per l'Europa. In questo senso si sono espressi gli esperti della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e diversi dirigenti tedeschi, tra i quali il CEO di Siemens. L’interscambio complessivo (Dati Eurostat forniti in occasione del summit UE-Russia avvenuto a Yekaterinburg il 3-4 giugno 2013) ammonta a 267 miliardi di euro. Il peso del settore energetico nei rapporti bilaterali tra le due potenze economiche è preponderante. Il settore energetico porta con sé circa il 76% del totale import UE-Russia. Su 213 miliardi, circa 162 sono importazioni di energia dalla Federazione Russa all’ UE. Un dato strategico che fa riflettere e delinea una chiara dipendenza energetica dell’Unione Europea dalla Russia. Gazprom, da sola, fornisce il 25% del gas naturale di tutta l’Unione Europea. Non tutti gli Stati europei dipendono allo stesso modo dal gas e dal petrolio russo. Ad essere più esposti sono i Paesi dell'Europa Orientale: Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Lituania, Polonia
 
I maggiori esportatori tra i 28 Paesi aderenti all’UE verso la Federazione Russa sono Germania, Italia e Francia. La Russia è l'11° partner commerciale della Germania, con il commercio che ha raggiunto i 76.5 miliardi di euro lo scorso anno. Molte aziende sono preoccupate di perdere posti di lavoro se saranno imposte ulteriori sanzioni. Circa 300.000 posti di lavoro tedeschi sono legati al business russo e la più grande economia europea dipende dalla Russia per il 35 per cento del suo gas.
 
Un discorso a parte meritano le esposizioni in Russia di alcune delle principali banche europee. Di particolare rilievo quella della seconda banca francese Societé Générale, che aveva un'esposizione di 22.4 miliardi di euro alla fine di giugno in Russia secondo l'Autorità bancaria europea. La banca francese ha dichiarato poi di avere 13,5 miliardi di euro di prestiti in Russia e depositi di 8,5 miliardi nel paese alla fine del 2013. E l'esposizione della prima banca italiana, Unicredit, che aveva a fine giugno un'esposizione di 18,6 miliardi di euro in Russia. Unicredit ha reso noto come le sue rendite dalla Russia fossero di 372 milioni di euro nell'ultimo quarto, un 80% in più rispetto all'anno precedente. Secondo Morgan Stanley, infine, il 2,7% di tutte le equity di Unicredit riguardano affari in Russia. Ma anche l'Austria. Raiffeisen Bank International (RBI) e la Banca d'Austria hanno ingenti investimenti in Russia con crediti che superano i 13 miliardi di euro.
 
  
LE ELEZIONI PRESIDENZIALI DEL 25 MAGGIO
 
In uno scenario di secessionismo delle regioni orientali dal governo centrale di Kiev, insediatosi all’indomani delle proteste di Euromaiden e della deposizione di Victor Yanukovic, di scontri tutt'ora in corso nelle regioni orientali del Paese, di timori circa l’ascesa di gruppi ultranazionalisti, di tensioni tra Mosca e Kiev, legate sia alle dispute energetiche che alle operazioni militari di Kiev nelle regioni orientali ucraine russofone, e di tensione a livello internazionale tra Mosca e il blocco occidentale NATO/USA/UE, il 25 maggio in Ucraina si svolgeranno le elezioni presidenziali.
 
Il voto non può ritenersi una soluzione alla crisi. Innanzitutto perché la votazione non avrà sicuramente luogo nelle regioni orientali del Paese che hanno già optato per l’indipendenza nei referendum dell’11 maggio e che non riconoscono la legittimità del governo di Kiev.
 
In secondo luogo perché le elezioni non incideranno sulla composizione del Parlamento ucraino, la Rada, dove le profonde divisioni tra i partiti di governo e all'opposizione stanno paralizzando la sua attività.
Gli attuali membri della Rada sono in carica dall'ottobre 2012, ben prima che l'ex presidente Viktor Yanukovich fosse deposto, e le prossime elezioni parlamentari non sono in programma fino al 2017. Il futuro presidente eletto sarà investito dell’autorità di sciogliere parlamento e indire nuove elezione che però rischiano di avere luogo in uno scenario maggiormente polarizzato.
 
Inoltre, la ragione più evidente per cui le prossime elezioni presidenziali potrebbero non modificare di molto l’attuale scenario ucraino è che tutti i candidati in corsa per le presidenziali, in particolare il probabile vincitore, hanno profondi legami con la corruzione endemica che ha definito l'amministrazione Yanukovich e disfatto le istituzioni statali ucraine. Dei 23 originari candidati iscritti, passati a 18 dopo cinque ritiri, il più accreditato per l’elezione è Petro Poroshenko, uno degli oligarchi più ricchi del Paese, candidato come indipendente sebbene sia stato il co-fondatore del “Partito delle Regioni” di Yanukovic, abbandonato nel 2002 per il partito "Nostra Ucraina" di Viktor Yushchenko. Sotto la presidenza Yushchenko ha servito come capo del Consiglio di Sicurezza e Difesa Nazionale, e poi come ministro degli Esteri nel governo Tymoshenko 2009-2010.
Nonostante le sue forti critiche a Yanukovych, Poroshenko ha accettato la sua offerta di ricoprire la carica di Ministro del commercio e dello sviluppo economico nel 2012.
 
Poroshenko non è attualmente affiliato con nessun movimento politico, Vitaly Klitschko, il campionato dei pesi massimi, ha ritirato la sua candidatura a favore dell’oligarca e Yulia Tymoshenko, ex eroina della Rivoluzione Arancione ed ex primo ministro, rilasciata dal carcere dove scontava una condanna per abuso di potere, è al momento la sua principale avversaria, sebbene molto indietro nei sondaggi.
 
Uno degli elementi centrali della campagna di Poroshenko è stata la promessa di portare l'Ucraina lungo il sentiero della modernizzazione, attuare riforme dolorose ma necessarie, guidare l'Ucraina verso la stabilità economica e, infine, combattere il grave problema della corruzione.  Nonostante si presenti come europeista e sostenga la necessità di firmare l'Accordo di associazione con l’UE, Poroshenko ha esitato a prendere pienamente le distanze dal Cremlino, dichiarando apertamente che "senza dialogo con la Russia, sarà impossibile creare sicurezza”. La sua posizione è in parte dettata dai forti e personali interessi commerciali dal momento che il 40 per cento delle attività del “re del cioccolato”, come è stato ribattezzato Poroshenko, si svolgono in Russia.

 
 
   
 
 
  
 
 
 
 

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