Uscire dai petrodollari, uscire dalle guerre

Uscire dai petrodollari, uscire dalle guerre

Non solo la dittatura del dollaro si mantiene a suon di bombe, ma a loro volta i petrodollari alimentano la violenza.

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di Marinella Correggia
 
Per quale sortilegio la maggioranza delle nazioni è tuttora succube del dollaro, imposto da un ristretto gruppo di Stati privilegiati, onnipotenti, abituati a fare terra bruciata e guerre impunite pur di mantenerlo come moneta di riserva internazionale? Come mai questa dittatura finanziaria non è ancora stata vinta, nemmeno in un mondo sempre più – per fortuna – multipolare? Come mai se il Bhutan deve commerciare con il Vietnam – per dire -, gli tocca sempre passare per il biglietto verde?  
 
Il sortilegio si chiama: mancanza di unione. Chi negli ultimi decenni ha provato a sottrarsi a dollari e petrodollari lo ha fatto da solo e in ordine sparso, pagando dunque con la distruzione bellica, o pesanti sanzioni, o forti destabilizzazioni o tutto questo insieme. Proprio come successe al presidente rivoluzionario del Burkina Faso Thomas Sankara il quale poco prima di essere assassinato, nel 1987, aveva invano esortato gli altri capi di Stato africani: «Dobbiamo dirlo tutti insieme, che non possiamo pagare il debito. Se il Burkina Faso rifiuta da solo di pagare, io non sarò più qui alla prossima conferenza!» Infatti non ci fu.
 
Ma torniamo al dollaro, anzi al petrodollaro e al suo rapporto con le guerre di aggressione e perfino con il terrorismo. L’analista di sistemi energetici William Clark (da non confondersi con il generale Wesley Clark) scrisse nel 2005 un prezioso libro in materia: Petrodollar Warfare, ovvero La guerra dei petrodollari (http://www.petrodollarwarfare.com/). 
Ma ecco qualche reminiscenza storica, partendo da un principio: denominare in dollari le materie prime e gli scambi è strategico, è la base economica dell’imperialismo d’oggidì.
 
Nel 1973 con un patto «segreto», vero matrimonio di convenienza fra Stati uniti e Arabia saudita (http://www.atimes.com/atimes/Global_Economy/ME06Dj02.html), i monarchi wahabiti si impegnano a vendere in dollari il petrolio e a riciclare i petrodollari nell’economia del Grande fratello d’oltreoceano, ottenendo in cambio da quest’ultimo la protezione manu militari, con esagerate vendite di armi e se occorre spietati interventi con i bombardieri dal cielo.
Nel 1975 tutte le nazioni Opec (Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio) decidono di denominare in dollari le vendite del cosiddetto «oro nero» (da altri chiamato «sterco del demonio»).
 
Ma nel 2000, l’Iraq, stremato dalla prima guerra del Golfo e da un embargo che dura dal 1990, decide che il petrolio sarà venduto in euro. Una sfida che non sarà estranea alla guerra di Bush del 2003 e alla conseguente rovina del paese mediorientale, ora stretto nella morsa del califfato terrorista.

Poi anche l’Iran annuncia l’apertura di una borsa petrolifera basata su un sistema di scambi interamente in euro; un progetto al quale il Venezuela di Hugo Chavez  dà il suo appoggio…Ed ecco fatto: altri due paesi petroliferi e non ribelli nel mirino. Come nel mirino sono del resto tutte le nazioni dell’Alleanza Alba (Venezuela, Cuba, Bolivia, Ecuador, Nicaragua) che non solo si sottraggono ai diktat del Fondo monetario internazionale ma cercano anche di sviluppare un proprio sistema finanziario basato sulla moneta virtuale sucre e perfino sul baratto.
 
E la Libia, che nel 2011 le bombe della Nato hanno trasformato in Stato fallito? Da tempo il governo libico proponeva al mondo arabo e all’Africa la creazione di una moneta propria, il dinaro aureo. Ottenendo molti consensi. Ovviamente la guerra «a protezione dei civili libici» ha archiviato tutto.
 
Eppure, se il rifiuto individuale del dollaro e dei petrodollari è impensabile, un’uscita in massa di molti paesi non comporterebbe rischi di morte – Usa e amici non possono bombardare mezzo mondo in una volta -, e significherebbe anche una felice uscita dalle guerre e dalle ingerenze armate (US Dollar Egemony . The Soft Underbelly of the Empire: http://www.jstor.org/stable/4416354?seq=1#page_scan_tab_contents). 

Infatti non solo la dittatura del dollaro si mantiene a suon di bombe, ma  a loro volta i petrodollari alimentano la violenza.  Per esempio: l’Arabia saudita, come…Usa i petrodollari, a parte comprare armi da Washington (e dall’Italia) e mantenere in un lusso insolente l’élite del paese? Finanzia movimenti terroristi che adesso rischiano di incenerire il Medioriente. E bombarda lo Yemen, sua eterna vittima (http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=12048: e http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=12043). 

Ebbene finalmente un addio collettivo all’egemonia dittatoriale e bellicista del dollaro sembra possibile. Anzi di fatto sta avvenendo. Se il 15 luglio i cinque paesi del gruppo Brics (Brasile, Russia,  hanno creato la Nuova Banca per lo sviluppo (New Development Bank), l’obiettivo del gruppo fin dalla fondazione nel 2009 è stata «la creazione di un nuovo ordine mondiale che superi la dollarizzazione»! Certo il cammino è lungo, nel campo del commercio internazionale e del credito: le riserve sono tuttora denominate in dollari, per esempio (http://www.globalresearch.ca/brics-and-the-fiction-of-de-dollarization/5441301). 
 
Nell’importante convegno Il nuovo mondo con i Brics (Roma, 10 luglio 2015) con il quale la Commissione esteri del gruppo parlamentare 5 stelle ha fatto conoscere agli italiani una realtà ignorata o banalizzata dai media e che pure conta , il vicepresidente della Commissione esteri del Senato russo Andrei Klimov, sottolineando il valore della «differenza e complementarietà» fra i membri dei Brics, ha ricordato l’accordo dell’anno scorso fra Russia e Cina per commerciare con le proprie valute by-passando il dollaro (http://it.sputniknews.com/italian.ruvr.ru/2014_09_02/Si-sviluppa-il-commercio-in-valute-nazionali-6824/): «Ritorniamo alle nostre monete».  Egli ha ricordato l’incongruenza per la quale «Il Pil della Cina ha superato quello degli usa eppure l’80% dei pagamenti internazionali sono tuttora in dollari» benché essi non siano affatto una moneta garantita: «Il debito russo è niente in confronto a quello statunitense che supera il 100% del Pil». (En passant, Klimov ha anche segnalato agli italiani, dati alla mano, che le sanzioni europee alla Russia avvantaggiano gli Stati uniti). 

Ha insistito sulla de-dollarizzazione del mondo il parlamentare Carlo Sibilia sottolineando l’importanza del nuovo scenario dei Brics, dal quale il governo italiano sembra volersi isolare: «Bretton Woods è in dismissione, e così il dollaro come moneta di riferimento, anche grazie ai Brics  diventati soggetto economico. Contro le superpotenze che destabilizzano i paesi, e contro il mondo unipolare imposto dall’Occidente, è giunto il momento di una nuova struttura finanziaria globale che riduca la dipendenza dal dollaro, che permetta l’investimento nelle monete locali, che rispetti la sovranità delle nazioni e la ricchezza della diversità. (…) Sta nascendo un’alternativa al sistema finanziario che ha finora condannato i paesi poveri alle guerre e alle distruzioni». Come sottolineava il presidente Sankara, lungamente citato da Sibilia. 
 
Insomma: pianeta de-dollarizzato, pianeta mezzo salvato.
 
L’altro pezzo del cammino sarà, una volta usciti dai petrodollari, uscire anche dal petrolio (e in generale dagli idrocarburi e dall’estrattivismo). 

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