L'Egitto depone un altro Faraone

L'Egitto depone un altro Faraone

La fine di Morsi ed il miraggio di un sistema democratico nel mondo arabo

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di Mara Carro

Da ieri, Mohammed Morsi non è più il presidente dell’Egitto. Destituito dall’Esercito, Morsi è trattenuto nella sede del ministero della Difesa. Arrestati anche il leader del partito dei Fratelli Musulmani, Saad el Katatni, e il capo dei parlamentari del partito Libertà e Giustizia, Rached Bayoum.Adly Mahmoud Mansour, capo dell’Alta Corte Costituzionale, è stato scelto dai militari per guidare il governo di transizione che dovrebbe traghettare l’Egitto fino a nuove elezioni presidenziali e legislative.
 
Sulla scia delle imponenti manifestazioni cha dal 30 giugno hanno portato in piazza milioni di egiziani, le Forze Armate avevano concesso a Morsi un ultimatum di 48 ore per “soddisfare le richieste del popolo” scaduto il quale sarebbero state loro ad assumere la guida del paese. In risposta al comunicato dell’Esercito, la presidenza egiziana aveva denunciato l’intenzione dei militari di compiere un colpo di Stato e far ripiombare l’Egitto nel passato, ignorando la legittimità di un voto democratico, il sacrificio dei martiri della rivoluzione del 25 gennaio e degli strumenti democratici a cui si potrebbe far ricorso per gestire le divergenze.
L’ultimatum dei militari è stato accolto con entusiasmo dall’opposizione politica riunita a piazza Tahrir a Il Cairo che da mesi reclama le dimissioni di Morsi. A ridosso della scadenza dell’ultimatum, la presidenza aveva rilanciato l’opzione di una ‘road map’ per la formazione di un governo di coalizione e di un comitato per la modifica della Costituzione.
 
Il mandato di Morsi, che ha giurato come primo presidente del post-Mubarak il 30 giugno 2012, è terminato nella serata del 3 luglio con un messaggio al paese letto dal ministro della Difesa e capo delle Forze Armate, Abdel-Fattah El-Sisi. Presenti anche il patriarca copto Tawadros II, il gran imam dell’Università di al-Azhar, Ahmed Al Tayeb, il leader del Fronte di salvezza nazionale, Mohammed el-Baradei e uno dei fondatori della campagna Tamarod (ribellione) contro Morsi, Mohamed Abdel-Aziz.. Il ministro ha disposto la sospensione della Costituzione e annunciato un governo di unità che guiderà l’Egitto fino allo svolgimento di elezioni presidenziali anticipate, a cui seguiranno le legislative. Sisi ha anche comunicato l’istituzione di un collegio incaricato di esaminare le proposte di modifiche alla Costituzione e un consiglio per la “riconciliazione nazionale”. Come già sottolineato nel comunicato del 1° luglio, il ministro ha ribadito che le Forze Armate prendono le distanze dalla politica esercitando il ruolo di garanti delle conquiste rivoluzionarie. Il ministro motiva quest’ultimo intervento sulla scena politica egiziana spiegando che, dalla contestata dichiarazione costituzionale del presidente del novembre 2012, l’Esercito non ha risparmiato nessuno sforzo per contenere la situazione interna e avviare una riconciliazione nazionale tra tutte le forze politiche, puntualmente respinta dalla presidenza. Più volte, ha proseguito Sisi, le Forze Armate egiziane hanno presentato una valutazione strategica della situazione interna ed esterna, contenente le principali sfide e i rischi per la sicurezza economica, politica e sociale della nazione, ai quali la presidenza non ha mai dato risposte sufficienti.
 
L’Esercito ha governato de facto l’Egitto dal colpo di Stato 1952 che rovesciò Re Faruq I e abolì la monarchia costituzionale. Per quasi sei decenni, tutti i presidenti egiziani sono stati espressione del potere militare. Uno “Stato nello Stato” che ha segnato l’intera storia recente della Repubblica egiziana ed è stato in grado di resistere all’ondata delle proteste rivoluzionarie facendo leva su una forza economica che controlla un terzo dell’economia del paese e su un’efficace propaganda militare. Non a caso “La forza dell’Egitto e la sua difesa sono nell’unione tra l’esercito e il popolo” è il motto dell’esercito. Lo Scaf, contestato dalla piazza durante i 18 mesi alla guida della transizione dell’Egitto, ha ceduto i poteri a Morsi il 30 giugno 2012.
Gli eventi degli ultimi giorni mostrano però che, nei fatti, l’Esercito ha conservato il ruolo di ultimo arbitro della politica egiziana e che le rivolte - del 2011 e attuali - hanno sì deposto un dittatore e ora un presidente ma non hanno scalfito l’architettura su cui si fonda lo Stato egiziano.
 
Ora che l'esercito ha ripreso il controllo della transizione dovrebbe cercare di non commettere gli errori del Consiglio militare che ha governato l'Egitto tra febbraio 2011 e giugno 2012. In primo luogo, la costruzione del consenso richiede tempo. Le elezioni parlamentari e presidenziali sono state premature, tenute prima di raggiungere un effettivo consenso nazionale su una Costituzione e  hanno confermato che un’elezione democratica non garantisce di per sé un risultato democratico. Alle elezioni presidenziali di un anno fa gli egiziani sono stati costretti a scegliere tra un candidato islamista privo di esperienza politica e un ex generale incarnazione dell’ancient régime. Morsi ha vinto di poco, con il 51% del voto popolare: un margine che non fornisce un mandato sufficiente a cambiare l'identità di un paese. Decisioni importanti sulla Costituzione e l’identità nazionale di un paese richiedono un più ampio consenso.
In secondo luogo, il successo di una transizione democratica è insolubilmente legato alla performance economica del paese. La gestione degli affari economici dovrebbe perciò essere affidata a persone competenti e i militari non dovrebbero interferire con le loro decisioni.

I Fratelli Musulmani, l'opposizione e la leadership militare, le tre anime dell’Egitto, hanno ora la responsabilità storica di raggiungere un compromesso. L’opposizione e l’Esercito devono garantire che la Fratellanza sarà parte politica attiva del futuro Egitto, libera di partecipare alle elezioni e di protestare, e che i suoi membri non saranno perseguitati. Ancora vivo è il ricordo della brutale repressione di Nasser contro il movimento con conseguente divieto di circolazione, torture e islamisti che fuggono dal paese. La Fratellanza continuerà a fare parte del tessuto politico e sociale dell’Egitto e l’ideale di un Egitto pluralistaportato avanti dall’opposizione non potrà non tenerne conto.
 

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