Dove eravamo rimasti?

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La Redazione

La crisi siriana: recenti sviluppi

Il presunto impiego  di armi chimiche da parte dell’Esercito siriano nel corso di uno scontro con i ribelli svoltosi il 21 agosto alla periferia orientale di Damasco ha indotto il presidente Barack Obama a chiedere al Congresso l’autorizzazione per un intervento militare, limitato, in Siria. Obiettivi della campagna aereo-missilistica nei confronti di Damasco potrebbero essere le strutture legate alla catena di comando e controllo del governo del presidente siriano, Bashar Assad. A muovere gli Usa nella direzione di un intervento militare, oltre al superamento della “linea rossa” identificata da Obama nell’utilizzo di armi chimiche, il progressivo rafforzamento delle posizioni dell’Esercito siriano sul terreno, sostenuto dai miliziani libanesi di Hezbollah e dall’Iran, che ha accresciuto i timori per la sicurezza di Israele. A ciò si aggiunga la volontà di Israele e delle monarchie del Golfo, capeggiate dall’Arabia Saudita, di operare un “regime change” a Damasco per spezzare l’asse sciita che lega Teheran al Partito di Dio libanese e indebolire l’Iran.
Le voci di un’operazione militare contro la Siria hanno messo nuovamente in luce la spaccatura esistente nella Comunità Internazionale in merito ad una soluzione condivisa alla crisi siriana. Spaccatura già emersa nel corso degli ultimi due anni in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu in occasione delle votazioni sulle risoluzioni sulla Siria e riemersa in occasione del G20 di San Pietroburgo del 5 e 6 settembre. 



La transizione egiziana
 
Il 14 agosto le forze di sicurezza egiziane sono intervenute a piazza Rabaa al-Adawiya e piazza Nahda, nella parte orientale del Cairo, per disperdere i sostenitori del presidente Mohamed Morsi, deposto il 3 luglio dalle Forze Armate egiziane e sostituito da Adly Mahmoud Mansour, presidente dell’Alta Corte Costituzionale. L’intervento ha innescato violenze, provocato centinaia di morti e indotto la presidenza a dichiarare lo stato d'emergenza in tutto il Paese, nonché il coprifuoco in 14 Governatorati. 
La guida suprema dei Fratelli Musulmani, Mohamed Badie, e' stata arrestata e rinviata a giudizio insieme ad altri 14 alti dirigenti della Confraternita per “omicidio volontario, incitamento alla violenza e terrorismo”. Il deposto presidente Morsi è stato invece incriminato per “atti di violenza e istigazione all’omicidio”  in relazione alle vittime delle manifestazioni dello scorso dicembre davanti al palazzo presidenziale a Il Cairo.
In accordo con le altre forze politiche, la road map stilata dai militari  per il ripristino dell'ordine democratico prevede la modifica della Costituzione, adottata con il referendum costituzionale del dicembre 2012 e sospesa subito dopo la deposizione di Morsi, e nuove elezioni legislative e presidenziali da tenersi entro la fine del 2014. A tal fine, il governo egiziano ha nominato i 50 membri di una Commissione Costituente che lavoreranno sulla bozza di Costituzione trasmessa da un comitato di 10 membri, anche questi nominati direttamente dalle autorità de Il Cairo. Nella prima riunione tenuta l’8 settembre, i costituenti hanno eletto come  presidente della Commissione Amr Moussa, ex ministro degli Esteri durante il regime di Mubarak.


L'Iran di Rowhani alle prese con la crisi siriana
 
Il 4 agosto ha avuto ufficialmente inizio il mandato del nuovo presidente iraniano,  Hassan Rowhani, eletto il 14 giugno scorso, al primo turno, con il 50,70% di consensi. Il settimo presidente della Repubblica Islamica ha prima giurato davanti alla Guida Suprema Ali Khamenei e poi dinanzi al Parlamento iraniano al quale ha presentato la lista dei ministri del nuovo esecutivo.   
Ripresa economica, alleggerimento del peso delle sanzioni che gravano su Teheran a causa del suo controverso programma nucleare e rilancio del negoziato con Washington gli obiettivi dichiarati del nuovo governo. È però la crisi siriana a dominare l’inizio del mandato del presidente dell’Iran, principale alleato regionale della Siria di Assad. Siria che è divenuta il terreno di scontro tra Arabia Saudita e Teheran per lo status di potenza regionale e tra Israele e l’asse Teheran-Damasco-Hezbollah, con Israele che considera una minaccia diretta alla propria sicurezza l’azione dei miliziani libanesi in Siria.
 
 

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