Considerazioni sull'indagine del Parlamento verso la troika

Considerazioni sull'indagine del Parlamento verso la troika

La troika non è una creatura divina. E' stata creata dagli Stati.

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di Chris Richmond-Nzi
 
Le perplessità espresse dal Parlamento europeo sul ruolo e sulle attività della troika sono sicuramente legittime. Ciò che non può essere legittimo, è il tentativo di approfittare della densa foschia per lanciare il sasso, nascondere la mano, e defilarsi ‘on the cool’. La legislatura parlamentare giunge al termine, la propaganda politica sale di tono e mentre si avvicinano le elezioni, gli europarlamentari approvano un’indagine che è senza precedenti, che potrebbe sollecitare il ‘punto G’ dell’Unione europea, il suo acquis. Purtroppo – o per fortuna, a dipendenza della dottrina professata – la relazione approvata “non tenta di trarre conclusioni definitive o raccomandazioni da formulare”. Gli unici rappresentanti votati universalmente dai cittadini europei si sono accorti che vi è probabilmente stata un’infrazione nella gestione della crisi finanziaria, hanno indagato sull’accaduto, riconosciuto e indicato i presunti o effettivi colpevoli. Ma non intendono trarre conclusioni definitive.
 
La troika non è una creatura divina. È frutto di una decisione dei capi di Stato dell’area euro – su suggerimento del Consiglio Ecofin – risalente al 25 marzo 2010, rinforzata dal regolamento 472/2013 del Parlamento che ne definì il ruolo. La sua legittimata invece, risale alla ratifica dei capi di Stato dell’ESM, quel trattato che alla troika diede vita. È legittimo pensare – o sperare – che la proposta del Parlamento di smantellare l’attuale troika comporti anche lo smantellamento del meccanismo europeo di stabilità, ma così non sarà. La troika è composta da 3 organizzazioni internazionali con ruoli e scopi diversi, che mediante l’ESM cooperano per gestire un problema comune in una regione ben precisa della società internazionale: la zona euro. Prima dell’istituzione dell’ESM, ogni organizzazione parte della troika – Commissione europea, BCE e FMI – aveva una sua ‘ragione’ sociale, che ha mantenuto anche durante le attività svolte in nome della troika – e per conto dell’ESM –. Ragione sociale che, a meno di una modifica dei loro Statuti istitutivi, manterranno anche dopo un’eventuale smantellamento dell’ESM.
 
Nella relazione, il Parlamento addita pesantemente le altre istituzioni dell’Unione europea: accusa sia la Commissione che la BCE di conflitto d’interessi e scarica tutta la responsabilità politica delle azioni della troika sull’Eurogruppo, ma tace in merito alle effettive o presunte colpe del Fondo Monetario Internazionale. La BCE e la Commissione possono essere colpevoli di conflitto d’interesse soltanto se mediante la troika le loro competenze sono state illegittimamente ampliate, questo perché le istituzioni dell’Unione sono obbligate ad agire nei limiti del principio di attribuzione, e nei limiti delle loro competenze. L’ESM è stato istituito a seguito di una modifica dei trattati, mediante la procedura di revisione semplificata. Procedura che può addirittura modificare tutta la terza parte del trattato, ma che “non può estendere le competenze dell’Unione” e delle sue istituzioni. E con la sentenza Pringle, la Corte di giustizia europea ha evidenziato che entrambe le istituzioni “possono svolgere i compiti che sono stati loro conferiti mediante il trattato ESM” per il semplice fatto che entrambe erano già in possesso di tali competenze, ben prima dell’istituzione di quel trattato. A differenza del patto di stabilità – che in parte vincola anche i paesi che non adottano l’euro come moneta – l’ESM è specificatamente rivolto ai 18 Stati che sono membri dell’Eurozona, pertanto, non riguarda i paesi con deroga. Se però si prende in considerazione l’approccio dell’Unione europea nei confronti di quei paesi che non adottano la moneta euro, ma che si trovano in difficoltà nella bilancia dei pagamenti, appare evidente perché l’ESM non estende in alcun modo né le competenze della BCE, né quelle della Commissione.
 
Nella primavera 2009 la Romania ha inoltrato alle istituzioni internazionali (Unione europea e Fondo Monetario Internazionale) una richiesta di assistenza finanziaria multilaterale. Dopo alcuni mesi di trattative, le parti hanno raggiunto un accordo sull’ammontare dell’assistenza: 5 miliardi € provenienti dall’Unione europea, 13 miliardi (11,44 miliardi di DSP, ovvero 1’110.77 % delle quote detenute dalla Romania) dal Fondo Monetario Internazionale, 1 miliardo dalla Banca Mondiale e un altro miliardo dalla Banca per lo Sviluppo. Il programma di assistenza sarebbe dovuto durare due anni, ma nel febbraio 2011, per rilanciare la crescita economica e consolidare la stabilità finanziaria, la Romania è stata sottoposta ad un secondo programma di assistenza, denominata precauzionale: 1,4 miliardi € dall’Unione europea, 3,5 miliardi (3,090 miliardi di DSP, ovvero il 300% delle quote detenute dalla Romania) dal Fondo Monetario e 1,1 miliardi dalla Banca Mondiale. Nel luglio 2013, dopo ben due programmi di assistenza finanziaria, e a seguito di un ulteriore rischio nella bilancia dei pagamenti, le autorità rumene hanno dovuto richiedere alle istituzioni internazionali un terzo programma di assistenza finanziaria che terminerà a fine settembre 2015, proprio quando la Romania dovrà iniziare a rimborsare i debiti contratti con il primo programma di assistenza datato 2009. La ratifica dei Memorandum d’intesa contenente i vincoli imposti hanno anticipato tutte le rate di assistenza: spending review, riforma sanitaria, riforme istituzionali, consolidamento del settore bancario, riduzione del rapporto deficit-PIL, riforma del lavoro e riforma delle pensioni. Questa è la peculiarità di essere con due piedi fuori dall’euro, e con due mani dentro l’Unione europea.
L’intenzione del Parlamento europeo di avviare “una graduale cessazione della partecipazione del FMI nella risoluzione dei problemi dell’area euro” – oltre ad essere tecnicamente complicato – è di fatto una soluzione parziale, anche perché non prende in considerazione le competenze del FMI all’interno del sistema economico finanziario internazionale. Il Fondo, oltre ad essere il centro di raccolta e di scambio di informazioni sui problemi monetari e finanziari, è il consulente tecnico per eccellenza “nell’elaborazione delle politiche – nazionali – volte a promuovere il conseguimento degli scopi del Fondo” stesso. Secondo il Fondo Monetario, ogni Stato membro – 188 – deve rendere i diritti speciali di prelievo (DSP) lo strumento principale di riserva del sistema monetario internazionale, ed ogni Stato membro “deve impegnarsi a non effettuare transazioni con uno Stato che non è membro del FMI, oppure che è contrario agli scopi del Fondo”. 
 
Un Fondo monetario europeo, istituito con il diritto primario dovrà comunque avvalersi delle prestazioni e della peculiarità del FMI: grazie ai prestiti erogati dagli Stati membri non ha limiti di erogare prestiti. In ogni caso, il futuro Fondo monetario europeo sarà ampiamente strutturato come l’originale. Sarà finanziato dagli Stati membri dell’Unione europea e avrà anch’esso una peculiarità: a differenza dell’ESM, non sarà specificatamente destinato ai paesi dell’Eurozona, ma sarà dedicato a tutti i paesi membri dell’Unione europea, senza deroga alcuna. 

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