Palestina. Il fallimento di Mahmoud Abbas e la sua politica di cooperazione (collaborazionismo)

Palestina. Il fallimento di Mahmoud Abbas e la sua politica di cooperazione (collaborazionismo)

È terza Intifada? Difficile affermarlo, ma anche smentirlo. Le foto, i report, le testimonianze che arrivano dalla Cisgiordania e da Gaza, Palestina Occupata, porterebbero ad affermare che l'ora è arrivata.

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Di Paola Di Lullo

Di sicuro stiamo assistendo al fallimento della politica "degli accordi" interminabili, voluta ed imposta al popolo Palestinese per vent'anni dall'Autorità Palestinese. Colloqui che non hanno portato a nulla di concreto, se non alla crescita di potere del governo israeliano. Di sicuro, stiamo assistendo al fallimento di Mahmoud Abbas, in queste ore "noto" assente sulla scena politica internazionale. Rinchiuso nel suo ufficio, pressato da Israele e dagli Usa che vorrebbero sedasse il suo popolo, e dal suo popolo in rivolta, stufo di essere piegato ad e da un'occupazione sempre più feroce, un popolo che sembra aver perso ogni fiducia in questo Presidente Abbas tace. Forse per la prima volta da quando è stato eletto presidente, nel 2005, carica decaduta nel 2013, Abbas non riesce a metterci la faccia. Ogni sua scelta, in questo momento, è e sarebbe sbagliata. Delegittimato da Israele, per la sua stessa condotta, il Presidente non ha il potere né la forza di opporsi, ma forse, mi piace pensare, nemmeno quella di contribuire ancora allo sterminio del suo popolo.

La sua politica di cooperazione, soprattutto in tema di sicurezza, diventata negli anni collaborazionismo, con Israele gli ha inimicato i palestinesi e non gli ha portato, in cambio, la sperata considerazione da parte della comunità internazionale. Abbas è sempre più solo ed isolato, in queste ore. Il 22 agosto si era dimesso da presidente del comitato esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, insieme a più della metà dei 18 membri che lo compongono. Le dimissioni dalla presidenza dell'OLP non avevano direttamente a che fare con il suo ruolo di capo dell’Autorità Palestinese, sebbene fosse stata convocata per settembre una riunione del Consiglio Nazionale Palestinese, il parlamento dell’OLP, che non si riuniva dal 1996, per eleggere un nuovo comitato esecutivo ed indire le elezioni presidenziali.

Il Consiglio Nazionale Palestinese, composto da quasi 740 membri divisi tra i territori occupati e quelli della diaspora, comprendente tutti i movimenti palestinesi, ad eccezione di Hamas e di altre piccole formazioni (la Jihad e' un osservatore) è infatti  l’unico organo autorizzato a prendere decisioni che coinvolgono i palestinesi, in particolare per quanto riguarda il processo di pace con Israele (è il comitato, che per esempio, ha firmato l’accordo di Oslo del 1993). La riunione non si è mai tenuta.

E mentre Ismail Haniyeh, numero 2 di Hamas, ha parlato di Intifada riferendosi alle violenze di questi giorni nei Territori occupati palestinesi e a Gerusalemme, affermando che è “l’unica strada per la liberazione” e che “Gaza farà la sua parte nell’Intifada di Gerusalemme ed è più che pronta al confronto” e che "i pale­sti­nesi di Gaza non faranno man­care il loro appog­gio ai fra­telli della Cisgior­da­nia e faranno la loro parte", ed il Jihad Islamico ed il PFLP stanno rilasciando comunicati più o meno chiari, in supporto di questa nuova Intifada, chiamata l'Intifada dei coltelli da Israele e l'Intifada di Gerusalemme dai Palestinesi, anche Fatah tace.

Già, Fatah, il partito di Abu Mazen, il partito della borghesia Palestinese, che lavora e vive grazie agli stipendi dell'AP, il partito da sempre rivale di Hamas. Ma non solo. Esiste un'altra Fatah, quella dei giovani, o quella delle origini, il che può sembrare un controsenso, ma non lo è. È una Fatah che respinge il collaborazionismo, la logica degli interessi economici, la corruzione ormai insita nell'AP. È la Fatah del popolo Palestinese, che con il popolo vuole schierarsi, che rivendica il riconoscimento di diritti a lungo negati. È la Fatah entusiasta per una rivoluzione e un'unione affettiva crescente tra i Palestinesi. Tutto ciò che resta da fare per le forze di sicurezza ed i loro uomini è unirsi al loro popolo e difenderlo con le armi e l'esperienza.

Anche gli arabi d'Israele, cioè i Palestinesi che risiedono nei territori del 48 e che hanno cittadinanza e passaporto israeliano, stanchi di essere considerati cittadini di serie B e di essere continuamente discriminati, sono scesi in piazza a protestare, scontrandosi con la polizia.

Parla invece Netanyahu  «Abbiamo vis­suto periodi più dif­fi­cili di que­sti. Supe­re­remo que­sta ondata di ter­ro­ri­smo gra­zie alla nostra deter­mi­na­zione, alla respon­sa­bi­lità e alla coe­sione nazio­nale», e gli fa eco Obama, definendo "terrorismo" gli attacchi dei Palestinesi. Parlano i media mainstream occidentali, perfettamente allineati alle posizioni di Israele ed USA.

Questa ondata di scontri, che dal 9 ottobre ormai coinvolge direttamente anche Gaza, non nasce all'improvviso e nemmeno solo a causa di 70 anni di occupazione, apartheid, promesse mancate, diritti violati, soprusi, umiliazioni, detenzioni arbitrarie, muri, checkpoint, furti di terra e di acqua, furti di dignità e di vita. Questi scontri non nascono né si acuiscono solo in ribellione alle politiche sempre più "offensive" del governo di Natenyahu che, alla Knesset, ha prima  fatto approvare una legge che condanna fino a 20 anni i Palestinesi che lanciano pietre, poi un' ennesima che consente ai soldati di sparar loro con proiettili di gomma che, dall'inizio degli scontri, son diventati proiettili veri, poi il cosiddetto "Terror act" che legalizza la detenzione amministrativa d inserisce nell'elenco dei terroristi anche coloro che sventolano la bandiera palestinese. Addirittura i coloni, in possesso del porto d'armi, sono stati invitati a girare armati.

Questi scontri sono scoppiati da e per Gerusalemme.  Al Aqsa è la "linea rossa" che i Palestinesi considerano invalicabile e per cui sono disposti al sacrificio, anche individuale.  Il divieto, a lungo imposto dai soldati israeliani a tutte le donne ed agli uomini Palestinesi al di sotto dei 50 anni di età, di recarsi a pregare in Al Aqsa, dove entravano indisturbati decine di ebrei, ha segnato il punto di non ritorno.  Terzo luogo santo dell'Islam, il complesso di Al-Aqsa è anche il luogo di culto più venerato dell'ebraismo in quanto si trova dove gli ebrei credono che sorgessero il Primo ed il Secondo Tempio.

Gli ebrei dell’Istituto del Tempio da quasi trent’anni progettano la ricostruzione del Tempio ebraico a Gerusalemme, il terzo Tempio, che dovrebbe sorgere sulle rovine della moschea di Al Aqsa e su quelle della Cupola della Roccia, in quella che sarebbe la definitiva giudaizzazione del Compound che perderebbe la sua identità islamica.  Il progetto, a lungo sottovalutato, vede oggi il supporto di 12 membri della Knesset e di aiuti e finanziamenti anche dall'estero.

Lo scorso 25 luglio coloni ed esercito sionista hanno invaso Gerusalemme, cercando di impedire ai musulmani l'accesso alla moschea di Al Aqsa, al fine di commemorare il Tisha B'Av Day, che, letteralmente, significa "il nono del mese di Av". La ricorrenza ebraica  commemora la "distruzione del tempio" ed è una giornata di lutto e di digiuno in commemorazione del tempio che gli ebrei credono sia stato distrutto nel luogo esatto in cui sorge la moschea di Al Aqsa. Pregano anche affinché il loro tempio venga ricostruito. A questo scopo, occupano la moschea di Al Aqsa, impedendo l'accesso ai fedeli musulmani e la devastano.

Dal 1967 Israele ha stretto un accordo con l'amministrazione islamica che controlla il composto di Al-Aqsa che non consente la preghiera ai non musulmani nella zona, mentre la preghiera agli Ebrei è consentita presso il vicino Muro Occidentale.
Tuttavia, le forze israeliane scortano regolarmente visitatori ebrei all'interno del complesso della moschea, il che causa rabbia nei fedeli musulmani.

Allo scopo di impadronirsi di Al Aqsa, gli ebrei israeliani hanno scavato un tunnel che dalla città vecchia di Gerusalemme Est sbuca proprio sotto la moschea.    

Gli scontri per la tutela di Al Aqsa si sono presto estesi a tutta la Cisgiordania, Palestina Occupata, sebbene in questi ultimi giorni, sia sembrato che a questa Intifada manchi un progetto unitario di azione, il che, da un lato, potrebbe renderla più facilmente sedabile, dall'altro, le conferisce quell'effetto sorpresa che gli israeliani non possono prevedere.

Intanto, ad oggi, 12 ottobre, sono 25 i Palestinesi assassinati , tutti giovani al di sotto dei trent'anni, inclusi tre bambini di 13 anni, centinaia i feriti, ancor di più gli arrestati. E, sebbene nemmeno Israele dovrebbe avere nulla da guadagnare da una nuova Intifada, è evidente che il governo stia intensificando l'escalation : l'aggressività dei soldati, i tanti omicidi che sembrano e sono, come dimostrano i video, vere e proprie esecuzioni a sangue freddo, dunque immotivati anche secondo l'assurda logica dell'autodifesa, fanno sembrare che sia Israele a spingere in direzione dell'Intifada più che i Palestinesi, che si stanno solo difendendo.

Come ha affermato Amira Hass " I palestinesi stanno lottando per la loro sopravvivenza, nel vero significato della parola. Noi israeliani ebrei stiamo lottando per i nostri privilegi in quanto nazione di padroni, nel senso peggiore del termine."

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