La fine dell'euro: un'opzione inevitabile

Secondo Sapir la migliore soluzione è una dissoluzione controllata e la riproposizione dello Sme

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La fine dell'euro: un'opzione inevitabile

Nella sua ultima analisi sul suo blog Russeurope, Dissoudre l’Euro : une idée qui s’imposera, Jaque Sapir confuta i dati di chi sostiene ormai alle spalle la crisi dell'eurozona e si domanda se sia proprio questo il momento di uscire dalla moneta unica.
Portando a testimonianza soprattutto il caso dell'Italia e mostrando come il riequilibrio della bilancia delle importazioni sia dovuto al crollo delle importazioni e non all'aumento delle esportazioni, l'economista francese sostiene come i segnali mostrati ad evidenza della fine della crisi siano fuorvianti. La contrazione del credito ed il crollo degli investimenti in Italia ed in Francia dimostrano infatti come la situazione dell'Europa del sud sia tutt'altro che risolta.
Nella migliore delle ipotesi, sostiene Sapir, la crisi durerà per lo stesso livello anche nel 2014. Già oggi è infatti chiaro come la Grecia avrà bisogno di un nuovo programma di salvataggio da qui alla fine del 2013 ed in questo contesto la manipolazione dei media sugli indicatori della ripresa resta inquietante per il dibattito politico in corso.
La zona euro soffre di diversi mali ben noti dalla letteratura economica: l'assenza di flussi finanziari massivi per bilanciare le strutture economiche dei paesi membri, una Banca centrale indipendente, una politica di deflazione salariale iniziata per la Germania che ha prodotto una corsa al ribasso di salari e produttività per gli altri paesi membri. In questo contesto di moneta unica, un certo numero di paesi hanno dovuto avere un'inflazione inferiore al loro livello strutturale e questo ha condotto ad avere un tasso di crescita inferiore al tasso di crescita ottimale e spiega perché certo il paese come l'Italia o il Portogallo hanno conosciuto una crescita molto debole ed hanno di fatto perduto in termini di produttività e di crescita.
Se l'economia europea è in recessione, la causa va riscontrata nell'euro, che condanna la maggior parte dei paesi che l'hanno adottato alla recessione o alla crisi. La Germania ha esportato verso gli altri paesi tra i 4 ed i 5 milioni di disoccupati. L'opzione di un federalismo europeo si scontra con l'ampiezza dei flussi di trasferimenti che Berlino dovrebbe consentire in termini di sussidi ai paesi dell'Europa del Sud: la Germania dovrebbe supportare il 90% dei finanziamenti della somma di questi trasferimenti netti, tra i 220 ed i 232 miliardi di euro l'anno circa l'8-9% del suo Pil. Il federalismo non appare quindi come un'opzione realista per i paesi dell'Europa del Nord.
In questo contesto, sostiene Sapir, la disoluzione dell'euro appare la sola possibilità realistica per la situazione attuale. L'ampiezza della recessione in corso in diversi paesi rende infatti non garantita la solvibilità di molti debiti. Una dissoluzione della zona euro non sarebbe una “catastrofe” come si dichiara spesso nei media, ma al contrario una soluzione salvatrice per l'Europa del sud. Lo studio « Les Scénarii de Dissolution de l’Euro », pubblicato all'inizio di settembre, mostra l'effetto benefico del ritorno alle monete uniche con possibilità di svalutazioni ad un tasso medio nella peggiore delle ipotesi dell'8% il terzo anno dopo la fine dell'euro e nella migliore del 20% - con una media del 6% in Spagna, l'11% in Portogallo, e del 15% in Grecia. La dissoluzione, prosegue l'economista francese, rilancerebe la crescita in tutti i paesi con un numero di disoccupati tra 1-2,5 milioni in tre anni e darebbe all'Europa del sud la sua vitalità economica, ma sarebbe altrettanto benefica alla Germania, perché rilancerebbe il suo principale sbocco commerciale delle esportazioni.
Gli inconvenienti sarebbero limitati: tentuto conto dei tassi, l'impatto di una svalutazione del 25% rispetto al dollaro sui prezzi dei carburanti non provocherebbe che un aumento del 6-8% della benzina. Con la fine dell'euro, i debiti dei diversi paesi sarebbero riconvertiti alle monete nazionali, con una serie di controlli di capitali in ogni paese, esattamente come è già avvenuto ed in corso a Cipro. Questi controlli, oltre che contrbuire a definanziare queste economie, limiterebbero considerevolmente la speculazione e permetterebbero alle banche centrali di visionare degli obiettivi di parità. Una volta ottenute queste parità, potrebbe essere attuato un sistema di fluttuazioni coordinate delle monete, come ai tempi dell'ECU. 
La dissoluzione della zona euro, prosegue Sapir, deve risultare da un atto condiviso dei paesi membri e dovrebbe dare nascita ad un sistema europeo (SME) incaricato di garantire che la flessibilità necessaria dei cambi non si trasformi in caos. Un tale sistema dovrebbe avere correttamente le seguenti caratteristiche: 
1) le parità tra le monete dei paesi membri dovrebbero essere fisse, riadattabili in maniera regolare per evitare la formazione di squilibri presenti oggi con l'euro. Questo implica la costruzione di un'unità di conto europea e la regolamentazione dei movimenti di capitali europei all'interno della zona.
2) La fissazione di parità deve avvenire in modo coordinata nel quadro di un consiglio finanziario europeo che tenga conto della produttività e dell'inflazione di ogni paese. 
3) La legislazione bancaria, in particolare per le banche al dettaglio, deve essere armonizzata e a Bce dovrà avere la gestione dell'unità di conto dei paesi al di fuori della zona. 
4) Il debito dei paesi deve essere progressivamente rinazionalizzato. Le emissioni dei debiti non potrebbero essere fatte se non con le monete nazionali. L'unità di conto dovrà funzionare come un paniere di monete dove le porzioni di ogni moneta possono essere modificabili in ogni momento.
Questo sistema creerà una moneta concepita come un'unità di conto che si aggiungerà alle monete nazionali esistenti. In questo contesto, conclude Sapir, la dissoluzione dell'euro attuale non segnerebbe la fine dell'Europa ma al contrario il suo ritorno nell'economia mondiale potendo divenire un potente strumento di riserva, in corrispondenza del desiderio avanzato più volte dai Brics.

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