Accordo Iran-USA: chi vince? Chi perde? Quali prospettive?

Accordo Iran-USA: chi vince? Chi perde? Quali prospettive?

"In questo gioco agiscono molti attori che hanno interessi e strategie diverse per cui nulla può essere dato per scontato"

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di Vincenzo Brandi

L’accordo firmato il 14 luglio scorso tra l’Iran e i 5 + 1 (USA, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina, più la Germania) è stato accolto con toni entusiastici da buona parte della stampa e dei commentatori politici che in genere lo hanno definito un accordo “storico”. Si tratta in realtà di un passo importante che segna un parziale disgelo tra i due principali competitori (USA ed Iran), favorito dalla mediazione russa, ma le prospettive per il futuro non sono affatto chiare.

L’accordo appare come un momento significativo, ma non definitivo, di una complicata partita a scacchi che si gioca per l’egemonia nel Vicino Oriente, e per gli stessi equilibri mondiali, vista l’importanza strategica della regione, dove si trovano anche le più ingenti riserve energetiche del pianeta.  Ma in questo gioco agiscono molti attori che hanno interessi e strategie diverse per cui nulla può essere dato per scontato.
 
Fino a poco tempo fa le sanzioni all’Iran, considerato uno stato “canaglia” , erano state mantenute da una vasta coalizione guidata dagli Stati Uniti, dall’Arabia Saudita e da Israele. I paesi europei della NATO si erano accodati, come al solito, anche contro i propri interessi. Ingenti fondi iraniani all’estero, per centinaia di miliardi di dollari, erano stati sequestrati (come accaduto anche nel caso della Libia di Gheddafi). All’Iran era stato impedito di vendere ad un gran numero di stati aderenti alle sanzioni il petrolio ed il gas, di cui il paese è ricchissimo, mentre era impedita l’importazione di gran parte dei prodotti tecnologici.
 
La scusa per questi provvedimenti, che tendevano obiettivamente a soffocare l’economia del paese, erano le presunte finalità militari del programma nucleare iraniano. In realtà l’Iran non ha mai violato alcun trattato internazionale sul nucleare (a differenza del suo principale accusatore, Israele, che non ha mai voluto firmare il Trattato di Non Proliferazione Nucleare  e si è dotato, con l’aiuto di vari paesi occidentali, di centinaia di bombe atomiche e relativi vettori); si è sempre sottoposto alle ispezioni dell’IAEA, ente preposto al controllo nel campo nucleare; non ha mai costituito una reale minaccia nucleare a breve-medio termine (si veda in proposito l’ottimo libro di Giorgio Frankel: “l’Iran e la bomba”)(1).
 
Il vero motivo delle sanzioni era il ruolo strategico dell’Iran che è il capofila nella regione del cosiddetto “Fronte della Resistenza” o del “Rifiuto” che comprende i suoi alleati regionali come il movimento sciita di resistenza Hezbollah in Libano (protagonista di una clamorosa vittoria nell’ultima guerra del 2006 contro Israele), il governo laico di Assad in Siria, il governo a base sciita di Bagdad (che si barcamena tra Iran e USA), l’attuale governo yemenita di Sanaa, vari movimenti sciiti come quello attivo nel Bahrein, frange della stessa Resistenza Palestinese. L’Iran ha goduto inoltre dell’appoggio della Russia (oltre che di Cuba e del Venezuela), e di quello più sfumato della Cina e degli altri BRICS, che comunque gli ha permesso di sopravvivere e crescere.
 
Per frenare il pericolo dell’egemonia iraniana, l’Arabia Saudita – questa orribile dittatura confessionale, ispirata al Wahabismo, la corrente più oscurantista e repressiva di tutto il mondo islamico, e protettrice di tutti i movimenti integralisti più feroci ed aggressivi, da Al Queda allo Stato Islamico – ha scatenato una serie di guerre per procura contro gli alleati dell’Iran, ed anche una guerra diretta contro lo Yemen. La Siria, in particolare, affronta da oltre 4 anni, le azioni armate e terroristiche di vari gruppi integralisti e oscurantisti in gran parte formati da mercenari provenienti da ben 80 paesi e sostenuti anche da altri paesi del Golfo, dalla Turchia di Erdogan, dalla Giordania, e più discretamente da Israele. Altri paesi dell’area, come il Qatar e in parte la stessa Turchia, appoggiano anche altre fazioni armate legate ai Fratelli Musulmani, organizzazione integralista più politica e duttile, rivale e concorrente del Wahabismo di marca saudita.
 
Gli Stati Uniti avevano fino a qualche tempo fa appoggiato in pieno questa strategia aggressiva. Il Presidente Obama, apparso finora come un fantoccio nelle mani del complesso militar-industriale statunitense (secondo alcune fonti non sarebbe stato nemmeno informato del “golpe” in Ucraina organizzato dalla vice-segretaria agli Esteri, Victoria Nuland, noto esponente dei super-falchi USA), a pochi mesi dalla scadenza del suo secondo mandato sembra voglioso di dare un senso alla sua scialba presidenza. Dopo aver formalmente riallacciato i rapporti con Cuba, ora cerca di svincolarsi dall’abbraccio stringente degli estremisti sauditi ed israeliani e dalle pulsioni egemoniche di Erdogan.
 
Con l’aiuto della mediazione della Russia (che – in cambio di possibili vantaggi politici -  è passata sopra anche ai suoi interessi economici, in quanto la vendita di petrolio iraniano abbasserà ulteriormente il prezzo già basso), con il consenso degli Europei che fiutano la possibilità di buoni affari con l’Iran, sfruttando la strategia dei moderati iraniani che fanno capo al Presidente Rouhanì (seguace del candidato-presidente Katamì già sconfitto dal “duro” Ahmadinejad in passato) e che sperano di rilanciare economicamente il paese con la fine delle sanzioni, Obama è riuscito infine a firmare un accordo.
 
Ma i dubbi su quello che ora può accadere restano. L’Arabia Saudita (che addirittura minaccia di dotarsi di armi nucleari) e Israele si mettono apertamente di traverso(2). Hanno sicuramente per alleati molti esponenti dello stesso establishment statunitense, dove i Repubblicani minacciano di votare contro l’accordo, per non parlare del Senatore McCain che ha incontrato  nei suoi viaggi nel Vicino Oriente i capi di Al Queda, dell’ISIS e dei Fratelli Musulmani. La stessa candidata democratica Hilary Clinton in politica estera è un falco, fanatica sostenitrice di quei “diritti umani” che spesso servono da paravento per aggressioni colonialiste (come in Libia o nell’ex-Yugoslavia), e in buoni rapporti con i Fratelli Musulmani (che hanno una loro “lobby” anche negli USA).
 
Sull’altro fronte, i “moderati” iraniani hanno il sostegno della gioventù dorata cresciuta nelle pieghe della “rivoluzione” Komeinista, che vuole vivere “come in  Occidente”. Naturalmente tutti auspichiamo un allentamento delle regole della rigida morale sciita ( che comunque sono poca cosa rispetto alle spietate ed obbrobriose regole vigenti contro le donne e gli “infedeli” nell’Arabia Saudita e nelle “zone liberate” della Siria e dell’Iraq), ma alcuni punti dell’accordo sono veramente umilianti per l’Iran e sono un affronto alla sua sovranità: come l’obbligo, arbitrariamente imposto, di rinunciare al 98% del proprio uranio arricchito ed a gran parte delle centrifughe per l’arricchimento; le ispezioni “a sorpresa” ai siti militari (contro cui comunque l’Iran potrebbe appellarsi); soprattutto la moratoria per 5 anni all’acquisto di armi e di 8 anni all’acquisto di missili (fatti che hanno poco a che fare col nucleare e servono solo a soddisfare i nemici dell’Iran).

Bisognerà vedere come reagirà l’Iran “profondo” se le sanzioni non saranno tolte subito e non si vedranno i risultati economici attesi. Per ora i “duri” stanno in posizione di attesa e non c’è in Iran una lotta aperta tra due linee, ma induce a riflettere l’avvertimento della “guida spirituale” Kamenei che – dopo l’accordo – continua a condannare l’arroganza imperiale degli USA.
 
Soprattutto influirà sugli sviluppi futuri ciò che accadrà sul terreno: se il popolo e l’esercito siriano, con gli alleati Hezbollah, continueranno nella loro strenua resistenza contro le bande armate foraggiate dall’esterno; se il governo iracheno riuscirà a riconquistare il terreno perduto ad opera dello Stato Islamico; se gli Yemeniti resisteranno ai bombardamenti e ai massacri dell’aviazione saudita e alle infiltrazioni di Al Queda; se i democratici turchi riusciranno a frenare l’azione del “sultano” islamico Erdogan; se i Kurdi del PKK e quelli della Siria (ma non quelli iracheni di Barzani alleati di USA, Turchia e Israele) riusciranno a resistere ai fanatici estremisti dell’ISIS; se la Russia e l’Iran stesso continueranno ad appoggiare i loro alleati regionali; se i Palestinesi riusciranno a rilanciare la loro resistenza contro il colonialismo sionista; se nel mondo arabo risorgeranno dei movimenti laici e socialisti (non come quelli fasulli visti nelle troppo decantate “primavere arabe”). Sicuramente nei prossimi mesi ed anni assisteremo a novità per ora imprevedibili.
 
 
(1) Giorgio S. Frankel, “L’Iran e la Bomba”, Ed. Derive/Approdi
(2) Salvo Ardizzone, Il Faro sul Mondo, “Servivano 36 anni di crimini contro il poplo iraniano per raggiungere questo accordo?”

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