Il destino economico dell’Ucraina è nelle mani di Putin
Se entro dicembre l’Ucraina non troverà un accordo con la Russia e non rimborserà il prestito, verrà dichiarata insolvente
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di Eugenio Cipolla
«Io non mi fido. Non mi fido di Vladimir Putin e non mi fido delle sue marionette. Dobbiamo essere pronti al peggio ogni minuto che passa». L’attacco, l’ennesimo arrivato nel corso di una giornata tranquilla sul fronte della crisi ucraina, porta la firma di Petro Poroshenko. Il presidente ucraino, durante un incontro con i comandanti dei battaglioni dell’esercito nazionale è tornato dunque a suonare la carica, nonostante in Donbass, da qualche settimana a questa parte, si respiri un clima di vera tregua, con le due fazioni che hanno abbassato le armi e stanno rispettando gli accordi di Minsk.
La mossa di Poroshenko, secondo diversi analisti internazionali, è chiaramente una boutade tesa a dare fiducia ai propri militari (egli è anche il capo dell’esercito) e a mostrarsi sempre attento e concentrato agli occhi di un opinione pubblica che non lo vede più benevolmente. Il punto, però, è un altro. E cioè che nei corridoi del Cremlino si è passati da una fase di irritazione perenne per le dichiarazioni belligeranti di Poroshenko a una di irrisione totale, con le uscite del presidente ucraino non considerate più di tanto dagli uomini del cerchio magico di Putin.
“Di giorno Poroshenko lancia proclami e attacchi contro di noi, di notte manda i suoi uomini a trattare quasi in ginocchio per sbrogliare le situazioni più delicate tra i nostri paesi”, è il ragionamento che fanno al Cremlino. Due su tutti sono la questione del gas e quella del debito di tre miliardi che Kiev ha nei confronti di Mosca. Oggi Gazprom, dopo una lunga e serrata trattativa e dopo aver ricevuto un pagamento anticipato di 234 milioni di dollari da parte di Naftogaz, ha ripreso le forniture di gas verso l’Ucraina. «Abbiamo iniziato a pompare gas russo. Abbiamo bisogno del loro gas, altrimenti non sarebbe possibile superare l’inverno», ha detto uno sconsolato Volodymir Demchshin, ministro dell’Energia di Kiev, ammettendo implicitamente l’obiettivo che l’amministrazione Poroshenko si era data qualche mese fa: la totale indipendenza energetica dalla Russia.
Ma c’è un’altra grana che attanaglia la leadership di Kiev ed è il debito di 3 miliardi di dollari che l’Ucraina ha verso Mosca. Da qui, dalla decisione che prenderà Vladimir Putin, passa il destino economico dell’ex repubblica sovietica. Perché se l’Ucraina entro dicembre non troverà un accordo con la Russia e non rimborserà il prestito, verrà dichiarata insolvente, rischiando di perdere i 17,5 miliardi di dollari previsti dal piano di salvataggio messo a punto qualche mese fa dal Fondo Monetario Internazionale, le quali regole vietano di prestare denaro a paesi che abbiano in corso controversie sul rimborso del debito.
Nei giorni scorsi Poroshenko ha mandato avanti il suo fidato ministro delle Finanze Natalia Jaresko. L’incontro con il suo omologo russo Anton Siluanov, avvenuto a Lima, in Perù, è stato lungo e non riuscito a risolvere la situazione di stallo. «La parte russa è pronta a prendere in considerazione l’opzione di un accordo solo in cambio di un alleggerimento delle sanzioni occidentali», ha detto all’AFP una fonte del governo ucraino. «Noi – ha continuato – siamo fiduciosi che la comunità internazionale non permetta alla Russia di tenere in ostaggio il pacchetto di salvataggio del FMI del quale abbiamo bisogno per evitare il default». Lo scorso mese Kiev aveva trovato un accordo con i suoi creditori privati sulla ristrutturazione del debito che porterà ad un risparmio complessivo di 18 miliardi di dollari per le casse ucraine. Ora all’appello mancano solo Putin e la Russia, ma la faccenda sembra tutt’altro che risolvibile. A meno che l’Europa non ceda sulle sanzioni, consegnando al presidente russo l’ennesima vittoria.