Cacciabombardieri e missili: così la Russia testa la propria potenza militare in Siria
Militari e intelligence dei paesi occidentali hanno avuto la misura della potenza dell'orso russo. Washington e la Nato sono molto preoccupati.
di Eugenio Cipolla
«Non capisco come i nostri partner americani possano criticare le azioni russe in Siria nella lotta al terrorismo internazionale se rifiutano di avere un dialogo diretto, anche in un settore così importante». L’irritazione di Vladimir Putin si è palesata quasi all’improvviso nel tardo pomeriggio di ieri, quando il leader del Cremlino ha deciso di replicare al rifiuto degli Usa di accogliere una delegazione guidata dal premier russo Dmitri Medvedev per parlare di lotta al terrorismo e cooperazione. Insomma, Washington manca di un’agenda ed è «come se non avessero nulla di cui discutere. Ma noi teniamo le porte aperte e speriamo molto nel dialogo con tutti i partecipanti di questo complicato processo».
Che Washington manchi di un programma e soprattutto di un’agenda sulla delicata questione siriana non è solo un’opinione di Mosca. Nei giorni Fox News ha diffuso un sondaggio nel quale sottolineava come il 53% degli americani ritenga che Putin abbia preso il sopravvento nella gestione internazionale della lotta allo Stato Islamico. Dalla Russia chiaramente nessuno ha commentato ufficialmente, ma soddisfazione di aver battuto ancora Barack Obama nell’inner circle putiniano è davvero alta. E lo dimostra il rilievo con il quale i media russi vicini al Cremlino hanno dato la notizia.
Ma il vero punto che interessa Putin, più che piacere ai cittadini americani, è quello di mostrare all’occidente i muscoli, la forza militare che l’orso russo è capace di sprigionare grazie ad anni di continui investimenti in un settore dove tutti hanno tagliato. Nelle ultime due settimane di attacchi in Siria, militari e intelligence dei paesi occidentali hanno avuto la misura di tutto ciò. Per la prima volta Mosca ha testato i caccia Sukhoi Su-34, dei velivoli moderni mai testati fino ad ora in nessun tipo di combattimento. Non è finita qui, perché i militari russi hanno avuto anche un’occasione per provare il missile cruise “Kalibr”, sparato da una base navale a 900 miglia dal Mar Caspio. Il risultato sarebbe stato soddisfacente, dato che, secondo diversi analisti militari, il missile supererebbe in capacità tecnologica il suo omologo in dotazione all’esercito Usa.
E’ per questo che Washington e la Nato sono molto preoccupati. Qualche giorno fa, Gustav Gressel, ex ufficiale dell’esercito austriaco, nel rapporto per l’European Council on Foreign Relations, ha sostenuto che Putin è riuscito a effettuare la più rapida trasformazione delle forze armate della Russia dal 1930. «La Russia – ha scritto - è ora una potenza militare che potrebbe travolgere qualsiasi dei suoi vicini, se isolati dal sostegno occidentale». Dello stesso parere è anche Micah Zenko, senior fellow del CFR, secondo il quale oggi «stiamo imparando più di quanto abbiamo fatto negli ultimi 10 anni. Stiamo andando a scuola su ciò che l'esercito russo è capace di fare».
Non a caso, oggi, il presidente russo, parlando a un summit della Comunità degli stati indipendenti ad Astana, in Kazakhstan, si è felicitato dei risultati raggiunto dal suo esercito in Siria. «Agendo dal cielo e dal mare contro gli obiettivi precedentemente concordati con i siriani, i nostri uomini hanno ottenuto risultati impressionanti. Decine di centri di comando e depositi di munizioni, centinaia di terroristi e grandi quantità di mezzi militari sono stati eliminati». Il leader russo ha ribadito nuovamente che gli attacchi di Mosca «sono totalmente in linea con le norme internazionali e sono assolutamente legittimi, perché sono realizzati in base a una richiesta ufficiale del presidente siriano Bashar al Assad», aggiungendo che, per quanto riguarda il coordinamento delle azioni per combattere il terrorismo, ci sono stato progressi con alcuni paesi del Medio Oriente. «Stiamo negoziando con l’Arabia Saudita, gli EAU, l’Egitto, la Giordania e Israele per trovare un’azione comune».
Praticamente quello che dalle parti di Washington non riescono o non vogliono fare.