Chi ha voluto lo Stato Islamico? Chi lo protegge? A chi fa ancora comodo?

Chi ha voluto lo Stato Islamico? Chi lo protegge? A chi fa ancora comodo?

Negli ultimi venti giorni l’IS ha colpito a Beirut, nel Sinai e a Parigi. Sono morte 422 persone. Nessuna di queste era un militare, un agente dell’intelligence, un politico o un magistrato o un qualsiasi nemico dichiarato dell’IS. Erano appena civili!

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di Achille Lollo - Contropiano
 

Questo show di barbarie e di violenza, voluto appositamente dal califfo Abu Bakr al-Baghdadi, segna la fine di una fase in cui molti dicevano che l’insorgenza dello Stato Islamico era un male necessario per sconfiggere l’esercito del presidente siriano, Bashar al-Assad ed anche per porre un freno nella regione all’espansionismo dell’Iran. Una tesi molto in voga, soprattutto in Israele giacché la graduale distruzione del regime siriano, la balcanizzazione dell’Iraq con la creazione di uno stato curdo, un altro sunnita e uno sciita, il dissanguamento economico dell’Iran per sostenere Hamas, i ribelli youti in Yemen e l’Hezbollah impegnato sempre più sulle montagne del Golan siriano, erano la soluzione ideale per garantire la sicurezza delle frontiere di Israele. Oltre che a isolare, sempre più, lo storico nemico interno, cioè l’ANP palestinese e nuovi i gruppi della resistenza palestinese desiderosi di far scoppiare una terza Intifada.
 
Per questo motivo i principali servizi d’intelligenza dell’Occidente e del Medio Oriente - CIA (EUA), Mossad (Israel), DGSM (Francia), M65 (Inghilterra), AISE (Italia), BND (Germania) CNI (Spagna). MIT (Turchia), AMaA (Arabia Saudita) e SII (Qatar) - hanno fatto a gara per garantire all’organizzazione di Abu Bakr al-Baghdadi una rapida crescita e un’insospettabile affermazione militare. Basti pensare ai 1500 “foreign fighters” francesi che quando si sono arruolati nelle file dell’IS erano considerati dalla stampa francese “combattenti per la libertà”. I governi europei hanno fatto di tutto pur di far cadere il governo del presidente, Bashar al-Assad. Perché, quindi, non ricordare il contributo del governo italiano che - piuttosto di ascoltare le intercettazioni effettuate dai ROS - ha subito pagato una decina di milioni di euro agli intermediari del gruppo jihadista Jabal Al Nustra per il finto sequestro di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo. Uno pseudo-sequestro che la Magistratura o la Finanza non hanno mai investigato “a fondo”!
 
 
Dall’escalation terrorista all’organizzazione della guerra totale
 
In realtà in Siria e, quindi, anche in Iraq, i servizi segreti occidentali hanno ripetuto lo stesso errore commesso in Libia dalla CIA e che costò la vita all’ambasciatore americano, Christopher Stevens, semplicemente perché credeva di poter manipolare i gruppi politici sorti dopo la morte di Gheddafi, oltre a non dare importanza ai progetti geopolitici delle monarchie arabe, anche loro corse in Libia per occupare uno spazio geopolitico nella regione del Sahel, ricca di petrolio, gas, oro e soprattutto uranio.
 
Il Qatar e la Turchia sono i principali artefici del successo dell’IS e del suo immediato arricchimento, grazie anche alla complicità dei presidenti dei conglomerati finanziari, che hanno permesso alla Turchia di “comprare a prezzo di banana” il gas della Siria e il petrolio dell’Iraq che l’IS aveva requisito, dopo aver conquistato i principali pozzi di estrazione e le stazioni di pompaggio degli oleodotti e dei gasdotti.  Un’operazione che messa a punto grazie alle informazioni ricevute dai servizi segreti occidentali oltre a denaro, armi e lettere di garanzia per poter comprare sofisticati mezzi di comunicazione, jeep e autovetture 4x4 giapponesi e sudcoreane, assieme ad una logistica necessaria per movimentare un esercito di 80.000 persone durante quattro anni.
 
E’ innegabile che lo Stato Islamico senza l’apporto dei servizi segreti occidentali e, soprattutto, senza i petrodollari del Qatar, non sarebbe mai nato e il millimetrico gruppo di attentatori guidato da Abu Bakr al-Baghdadi starebbe ancora facendo piccoli attentati e rapine nella periferia di Bagdad!
 

Chi vuole lo Stato Islamico?
 
 
Oggi, davanti alle migliaia di candele accese in Place de la Republique e dopo la durissima presa di posizione del presidente Hollande - grazie alla quale è riuscito a silenziare la retorica di Sarkozy e Marine Le Pen – nessun giornale francese ha voluto ricordare il controverso ruolo del Qatar. Cioè, quel paese arabo che realizza favolosi investimenti in Francia nei differenti settori industriali e nello stesso tempo finanzia i gruppi armati jihadisti della Siria, della Libia ed anche quelli del Maghreb (Ansar Dime, Aqmi e Mujao), gli stessi che hanno trasformato il nord del Mali in un inferno per le truppe francesi. Infatti, quando il primo-ministro del Qatar, Hamad bin Jassen, venne a Parigi per esprimere solidarietà e condannare la violenta sparatoria nella redazione di Charlie Hebdo, attaccata da due sostenitori dell’IS, il governo francese fece finta di niente per non mettere in pericolo il flusso d’investimenti che le banche di Doha hanno fatto nel settore aerospaziale francese, nell’edilizia, nel settore idrico, nell’agro-alimentare e soprattutto in quello energetico.
 
In realtà il problema è definire fino a che punto paesi come il Qatar, la Turchia, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, sono pienamente responsabili delle azioni che Abu Bakr al-Baghdadi e il suo braccio destro, Abu Muhammad al-Aduani hanno realizzato fino ad oggi e se i responsabili dell’Intelligence di questi paesi hanno commesso lo stesso errore dei servizi occidentali, che pur di avere a disposizione una “Task Force Sunnita” per distruggere il regime siriano di Bashar al-Assad e bloccare le trattative del presidente iraniano, il moderato Hassan Rouhani, chiudono gli occhi davanti alle efferate barbarie dei combattenti dell’IS.
 
Se gli Stati Uniti e la stessa Francia sbarazzarsi di Bashar al-Assad, appoggiando la Coalizione Nazionale Siriana e l’Esercito Libero Siriano, prima di tutto non avrebbero permesso che il governo della Turchia legittimasse un’azione di pirateria internazionale comprando il gas e il petrolio che l’IS rubava alla Siria e all’Iraq. In secondo luogo non avrebbero permesso che la società turca che gestisce i terminali petroliferi del porto di Ceyhan accettasse i documenti falsi emessi in Doha per esportare il petrolio di Kirkut da quei terminali e, quindi, ripassare il pagamento all’IS attraverso le banche della capitale del Qatar, Doha.  Ugualmente la Casa Bianca, con pochissime telefonate, avrebbe potuto bloccare l’esportazione d’ingenti i rifornimenti logistici, jeep e mezzi di comunicazione che le industrie europee e quelle asiatiche hanno poi venduto agli intermediari turchi o catariani dell’IS, grazie alla copertura delle banche del Qatar e della Turchia. Le stesse che amministravano e movimentavano i miliardi di dollari che rappresentanti delle monarchie dei paesi del Golfo avevano donato all’IS.
 
Tutti ricordano la storica decisione degli USA e dei paesi della NATO di bloccare i conti correnti dell’Iraq per punire la decisione di Saddam Hussein nell’occupare il Kuwait. Ebbene un’uguale decisione che poteva essere presa subito dopo le drammatiche decapitazioni eseguite dal boia dell’IS, Jihad John, cui fecero seguito i primi attentati nelle città europee e gli attacchi, dal 3 gennaio del 2014, agli altri gruppi dell’insorgenza siriana. L’assurdo di questa situazione è che la CIA non fece assolutamente nulla, pur sapendo che l’IS stava divenendo sempre più incontrollabile e che la pratica della violenza fisica e mediatica aveva smobilitato il principale alleato degli USA in Siria, cioè l’Esercito Libero Siriano.
 
D’altra parte bisognerebbe denunciare il silenzio dei servizi segreti, grazie al quale lo Stato Islamico ha potuto comprare nel mercato clandestino di armi ingenti quantità di munizioni e armi pesanti, eseguendo i pagamenti “cash” attraverso le banche di Doha, nel Qatar. Un silenzio che ha permesso il viaggio dei containers pieni di armi e munizioni fino ai porti di Bengaze o di Misurata in Libia, per poi essere trasferiti a sua volta con i C-130 di fantomatiche società aeree arabe negli aeroporti vicino alla frontiera con la Siria. Aerodromi che il MIT (servizio segreto militare turco) aveva adibito appositamente per le operazioni di scarico e immediato trasporto con camion in direzione dei territori della Siria controllati dell’IS.
 
Operazioni complesse, che hanno bisogno di una struttura specifica e professionale, giacché non si tratta di poche cassette di munizioni e qualche centinaio di fucili, ma di centinaia di containers e di autovetture che devono essere distribuite con una certa velocità nei differenti punti della Siria. Condizioni minime per permettere ai combattenti dell’IS di realizzare una guerra di movimento e di sfuggire all’intercettazione dei caccia siriani.
 
Se la Casa Bianca, nel 2000, mosse la CIA per evitare che Vladomiro Montesinos, il consigliere per la sicurezza dell'ex presidente peruviano Alberto Fujimori, vendesse alle FARC colombiane quattro retrogradi lanciamissili di origine russa, armati con dodici missili anti-aerei di prima generazione, e per questo montò un’operazione spettacolare che provocò l’arresto dello stesso presidente Fujmori, è impensabile ammettere che le “eccellenze” della Casa Bianca, del Pentagono e della CIA non si siano accorti che lo Stato Islamico, in termini organizzativi era pronto a passare dal terrorismo alla guerra totale.  Cioè a disputare con i propri alleati occidentali il futuro geopolitico dei territori in disputa e cioè la Siria e il centro dell’Iraq. 
 

Il ruolo della Russia e dell’Iran
 
 
Non è una semplice casualità, ma prima del triplice attacco a Parigi, furono realizzati dagli uomini dello Stato Islamico tre micidiali attentati: nella capitale del Libano, Beirut, nei cieli del Sinai e nella citta curda di Suruc in Turchia, per dare un terribile avviso all’Hezbollah libanese, al governo russo e ai curdi turchi, siriani e iracheni. Attentati che, per la prima volta non hanno ottenuto il risultato sperato, cioè la paura e la rassegnazione. Infatti, l’Hezbollah, nonostante i quaranta morti sventrati dall’esplosione del “bomb-men” di Beirut, ha intensificato gli attacchi nella regione di Aleppo, permettendo in questo modo all’esercito siriano di restringere sempre più i cerchi che attanagliano i differenti quartieri della periferia di quella città.
 
Anche la Russia di Putin non si è fatta intimidire dall’attentato all’Airbus russo.  Anzi, ne ha approfittato per ufficializzare la sua presenza militare in Siria, realizzando un numero maggior di bombardamenti contro le istallazioni dell’IS, ma anche degli altri gruppi armati che si oppongono a Bashar al-Assad. Una decisione che ha obbligato il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama a negoziare con Putin non solo il processo di transizione, ma una definitiva offensiva contro le posizioni dell’IS oltre a smascherare i suoi finanziatori.
 
In questo modo la Russia si è guadagnata il ritorno nel top della comunità internazionale, cioè il G-20, riuscendo, anche, a conservare la linea operativa del suo intervento militare, che è abbastanza differente da quello statunitense o dal francese, poiché i primi attaccano obiettivi strategici segnalati dall’intelligenza. Invece i Sukhoi-30 russi prima ricercano i distaccamenti nemici per poi attaccarli fino a provocare la dissoluzione delle posizioni in precedenza occupate.
 
Gli analisti sono convinti che se saranno congelati i conti dell’IS nelle banche del Qatar e di altri paesi arabi e se non ci saranno interruzioni nelle missioni di bombardamento da parte del contingente aereo dei paesi della NATO e quello della Russia, è possibile che nei prossimi sei mesi le truppe dell’IS sopravvissute ai bombardamenti in Siria, cercheranno di resistere nella regione centrale, notoriamente sunnita, per poi proporre la formazione di tre stati iracheni. Quello curdo a nord, lo scita a sud e centro sud e il sunnita nel centro e centro-est.
 
Un progetto che potrebbe soddisfare i paesi occidentali e Israele ma che, però, l’Iran rigetta di sana pianta. Infatti, il governo di Teheran ha fatta sapere al Califfo che non permetterà la balcanizzazione dell’Iraq e che scatenerà un’offensiva terrestre mastodontica, ripetendo quello che l’Iran di Komeiny fece ai tempi di Saddam, se i contingenti dello Stato Islamico s’installano nel centro est iracheno vicino alle frontiere iraniane o se un qualsiasi gruppo dell’IS risolve profanare le città sante sciite di Karbala e Najaf.
 
Nonostante le dichiarazioni soddisfatte e positive di Putin è difficile ammettere che tra sette o otto mesi il conflitto siriano sarà concluso. Troppi interessi ci sono ancora in gioco. Per esempio, la Turchia e tutti gli altri paesi arabi sunniti, non hanno interesse che l’Iran risulti tra i vincitori della battaglia contro l’IS. Anche perché con l’accordo contrassegnato dagli USA sulla costruzione di centrali nucleari civili e, quindi, con la fine delle sanzioni economiche, l’Iran potrà esportare tutto il petrolio e il gas che vuole e quindi trasformare l’industria iraniana nel principale polo industriale del Medio Oriente, oltre a modernizzare l’armamento del suo esercito che è il più poderoso nella regione, calcolato in 540.000 effettivi, 300.000 riservisti, oltre ai 120.000 Pasdaran (Guardie della Rivoluzione) e agli 800.000 volontari Basji, (corpi paramilitari). Una macchina da guerra in permanente stato di allerta per la quale il governo iraniano ha investito 12.000 miliardi di dollari, quasi il 3% del PIL dell’Iran.
 
  
* Achille Lollo è corrispondente in Italia del giornale “Brasil De Fato”, articolista internazionale del giornale web “Correio da Cidadania”, Editor del programma TV “Quadrante Informativo”.  

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