La morte di Berta Caceres: Honduras, la tomba degli ambientalisti

La morte di Berta Caceres: Honduras, la tomba degli ambientalisti

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di Geraldina Colotti*
 
La dirigente indigena Berta Caceres è stata uccisa in Honduras mercoledì scorso nella città di Esperanza, dipartimento occidentale di Intibucá, dove viveva. Due uomini armati le hanno sparato nella notte, eludendo la sorveglianza di una guardia armata, ora sotto inchiesta. Anche il fratello è rimasto ferito. Una morte annunciata, che chiama in causa le responsabilità dello stato, visto che la storica leader del Consejo Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras (Copinh) era sottoposta a misure cautelari dopo l’ennesimo processo subito per la sua attività in difesa delle risorse naturali.

Per questo, l’anno scorso ha ricevuto il premio Goldman, il massimo riconoscimento mondiale per un’ambientalista. Durante la consegna del riconoscimento ha denunciato: «Mi seguono, minacciano di uccidermi, di sequestrarmi. Minacciano la mia famiglia. A questo dobbiamo far fronte». La Commissione interamericana dei diritti umani, aveva ordinato al governo neoliberista di Juan Orlando Hernandez di garantire la sua sicurezza.
 
L’Honduras è uno dei paesi più pericolosi al mondo per gli ambientalisti. Secondo la ong Global Witness, tra il 2002 e il 2014 nel sono stati ammazzati 111. Solo nel 2014 — segnala la ong — in America latina sono stati uccisi 88 ecologisti, il 40% dei quali indigeni. Una cifra che equivale ai 3/4 degli assassinii commessi contro ambientalisti in qualunque parte del mondo. La resistenza organizzata delle popolazioni indigene contro le grandi imprese idroelettriche e minerarie — che devastano il territorio e obbligano gli indigeni ad andarsene -, ha però realizzato anche vittorie importanti, seppur pagate a caro prezzo. Caceres, il Copinh e le comunità indigene in lotta per la difesa dei propri territori ancestrali, sono riusciti a fermare la multinazionale Sinohydro: che ha deciso di ritirare la partecipazione nella costruzione del Rio Gualcarque a cui era interessata anche la Corporazione finanziaria internazionale, istituzione della Banca Mondiale. Un progetto che, oltre a privatizzare il fiume, avrebbe distrutto le attività agricole intorno per vari chilometri.
 
L’ultima lotta a cui ha partecipato Berta è stata quella contro l’attività di una impresa idroelettrica in una comunità indigena del Rio Blanco, a Santa Barbara. La settimana scorsa, aveva denunciato in una conferenza stampa che quattro dirigenti della sua comunità erano stati assassinati e altri minacciati. E nelle ultime settimane la repressione si era intensificata. Il 20 febbraio, nel rio Blanco, i nativi sono scontrati con l’impresa honduregna Desa, che gode di grandi finanziamenti internazionali e che ha preso di mira il fiume Gualcarque.
 
La coordinatrice del Copinh è stata anche in prima fila nella resistenza al colpo di stato contro l’allora presidente Manuel Zelaya, deposto dai militari il 28 giugno del 2009. Il pur moderato “Mel” aveva avuto l’ardire di volgersi alle nuove alleanze solidali dell’America latina come l’Alba, ideate da Cuba e Venezuela. Da allora, in un paese sempre più povero e ingiusto, le concessioni senza regole alle grandi multinazionali sono aumentate in modo esponenziale, distruggendo la possibilità di sopravvivenza dei popoli originari. Quasi il 30% del territorio nazionale è stato destinato a concessioni minerarie, e centinaia di progetti idroelettrici sono stati approvati, privatizzando fiumi, territori e obbligando all’esodo le comunità native.
 
Il progetto Agua Zarca, destinato a prender forma sul fiume Guarcarque, sacro per i nativi, è stato approvato senza alcuna consultazione del popolo Lenca, in palese violazione ai trattati internazionali che regolano i diritti dei popoli indigeni. Nonostante vari pronunciamenti delle organizzazioni internazionali per i diritti dei nativi, i grandi interessi economici hanno continuato a imporsi con violenza.
 
L’anno scorso, Honduras e Guatemala sono stati attraversati dalla protesta degli indignados, scoppiata a seguito di grandi scandali per corruzione che hanno interessato gli alti vertici dello stato. A maggio del 2015, il Movimiento Oposicion Indignada ha effettuato diverse marce contro l’impunità dopo l’esplosione di uno scandalo per una truffa milionaria all’Instituto Hondureno de Seguridad Social (Ihss). La principale richiesta è stata quella di una Commissione internazionale contro l’impunità in Honduras (Cicih), simile a quella che hanno creato con il Guatemala le Nazioni unite nel 2006. Il presidente Hernandez, però, ha chiesto l’appoggio dell’Osa e dell’Onu, per richiudere con un’operazione di facciata gli spiragli aperti dalle proteste. E i movimenti hanno rifiutato i palliativi. Tuttavia, a fine febbraio l’Osa e l’Onu hanno installato la missione anticorruzione in base a cinque punti, che prevedono “raccomandazioni” e la creazione di un Osservatorio sulla giustizia, composto da organizzazioni accademiche e della società civile, deputate a valutare i progressi della riforma del sistema giudiziario honduregno.
 
Una parata di alto bordo per salvare la faccia a un regime che risponde alle oligarchie e agli interessi sovranazionali, composta da rappresentanti del Dipartimento di Stato Usa e dall’Osa che da sempre ne dipende: e che contrasta per questo ogni tentativo di governare altrimenti i conflitti e le relazioni in America latina. Un tentativo di tenere a freno la polveriera centroamericana dove il vento del Socialismo del XXI secolo non si è diffuso, ma che guarda al campo progressista e ai movimenti che lo animano come a uno stimolo per resistere e per progettare. Dopo la deposizione di Zelaya, i movimenti di resistenza sono andati avanti, cercando una sponda politica anche istituzionale. Nonostante brogli e aggressioni, alle ultime elezioni Xiomara Castro, moglie di Zelaya, che ha corso per il partito Libre, ha raccolto un grande consenso.
 
Il sostegno dei paesi dell’Alba non è mai venuto meno. Zelaya, che abbiamo incontrato a dicembre in Venezuela, è stato uno degli osservatori internazionali alle ultime elezioni legislative, e ha sostenuto il chavismo. Berta Caceres ha viaggiato molto per incontrare i movimenti dell’Alba in America latina. Che ora ne piangono la scomparsa.

*Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autrice

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