"Chi parla di pace poi fa arrivare le armi nel paese": il messaggio di pace di Papa Francesco sulla Siria

"Chi parla di pace poi fa arrivare le armi nel paese": il messaggio di pace di Papa Francesco sulla Siria

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Piccole Note

Un videomessaggio per chiedere il dono della pace per la Siria. Consegnato all’assemblea della Caritas internationalis che si è fatta promotrice di un’iniziativa in tal senso. Che conferma la sollecitudine di papa Francesco per quel conflitto per il quale, già nel settembre del 2013, ebbe a indire una giornata di preghiera e digiuno che tanti frutti ha recato.

 

Con questo messaggio papa Francesco ha voluto dare un messaggio di conforto e di speranza a un popolo, quello siriano, sul quale si è abbattuta la catastrofe della guerra. Una guerra che non accenna a finire ed è «oramai entrata nel suo quinto anno».

 

Ecco, Francesco non si rassegna a questo implacabile stallo, ché tale è la situazione in cui versano i negoziati di pace, che consegna un intero popolo a un destino oscuro. E invia un messaggio che suona di conforto e speranza. Anzitutto per il popolo siriano, «costretto a sopravvivere sotto le bombe o a trovare vie di fuga verso altri paesi o zone della Siria meno dilaniate dalla guerra: lasciare le loro case, tutto».

 

Ma anche, nello specifico, alle comunità cristiane del Paese, «a cui va tutto il mio sostegno a causa delle discriminazioni che devono sopportare».

 

Un messaggio di pace che è anche denuncia alta e forte: «Mentre il popolo soffre, incredibili quantità di denaro vengono spese per fornire le armi ai combattenti». Una denuncia non nuova da parte di Francesco, che è solito ripetere l’esecrazione della Chiesa per i costruttori di guerra che lucrano sul sangue altrui.

 

E insieme al giudizio, un dettaglio niente affatto scontato: «Alcuni dei paesi fornitori di queste armi, sono anche fra quelli che parlano di pace».

 

E anche se il messaggio del Papa (come ovvio) non accusa nessuno in particolare né di nessuno dei protagonisti del conflitto prende le parti, il pensiero va subito ai tanti leader di Paesi arabi e occidentali che mentre parlano di pace forniscono armi letali e sofisticate (più o meno sottobanco) ai tanti gruppi jihadisti che operano i Siria, difficilmente distinguibili dai gruppi terroristi, Isis compreso.

 

«Come si può credere a chi con la mano destra ti accarezza e con la sinistra ti colpisce?», si chiede papa Francesco con drammatico disincanto per le tante, troppe, ambiguità che caratterizzano questo confuso conflitto, nel quale anche le informazioni attraversano la lente deformante della propaganda.

 

Ma non si rassegna Francesco, e chiede ai fedeli «di pregare per la pace in Siria e per il suo popolo» con «veglie di preghiera», con «iniziative di sensibilizzazione nei gruppi, nelle parrocchie e nelle comunità, per diffondere un messaggio di pace […] di unità e di speranza».

 

Una preghiera alla quale Francesco suggerisce di affiancare «opere di pace», insieme all’invito a chiedere ai protagonisti dei negoziati di procedere «sul serio» sulla via intrapresa, di rispettare gli accordi e di permettere «l’accesso agli aiuti umanitari» laddove oggi è negato.

 

La pace è possibile. Questo il senso ultimo di un messaggio che, come un faro acceso nella notte, lacera il buio  nel quale è sprofondata la Siria. In attesa che sorga il sole a dissipare le tenebre. Fuor di metafora, come tutte le preghiere, anche quella del Papa, nella sua inermità, è tutta affidata al cuore e alla potenza di Dio.

Quel Dio di misericordia, che, come da citazione di Francesco, fa dire a Geremia «Io, infatti, conosco i progetti che ho fatto al vostro riguardo – dice il Signore – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza».

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