La Corea del Sud e i crimini dimenticati

La Corea del Sud e i crimini dimenticati

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Della Corea, in Italia, come nel resto del mondo, si sanno solo i “crimini” del “Dittatore della Corea del Nord, Kim Jong-un”, ultimo dei quali la gigantesca bufala del gas nervino VX usato per uccidere il suo fratellastro e che ha dato la stura a nuove farneticazioni sulle Armi di Distruzioni di Massa (si veda, ad esempio, questo sbalorditivo video di Repubblica) Quasi nulla, invece, viene detto sui crimini della Corea del Sud mentre sulla Guerra di Corea - che da dato origine ai due stati e che è stata la prima guerra persa dagli USA – è calato da decenni un silenzio tombale.
Cerchiamo di rimediare a questa situazione con questi due brevi articoli, di taglio prevalentemente storico,  tratti dal sito Il Simplicissimus: “Guerra di Coree” e “Corea, la guerra dimenticata”. Buona lettura.

F.S.

 
Guerra di Coree

Non passa settimana o forse giorno fin dal dal 1950 che qualcuno non accenni alla Corea del Nord come la sentina di ogni vizio antidemocratico e antiumanitario, come una sorta di metro di antigiudizio, anche se poi a questo grano fisso del rosario occidentale non viene apposta alcuna informazione concreta che vada oltre il mitico Kim Il Sung o il lancio di missili ufficialmente deprecato da Washington, ma in realtà benvenuto perché fornisce l’occasione di missilificare l’area in funzione anticinese.

Un gioco perverso nel quale chi rimarrà col cerino in mano sarà tentato di dare fuoco alle polveri. Ora io non credo affatto che la Corea del Nord sia il migliore dei mondi possibili, semmai un miglior inferno, ma mi sorprende la continua citazione negativa, l’atto di fede a cui nessuno si sottrae, mentre nulla si conosce della Corea del Sud salvo che produce auto, telefonini ed elettrodomestici: la parte meridionale della penisola coreana da settant’anni colonia americana è forse il paradiso?

Affatto, anzi somiglia parecchio alla gemella del nord come si può arguire dalla decisione della Corte suprema del Paese che qualche giorno fa si è espressa per la destituzione immediata della presidenta Park Geun-hye per estorsione e abuso di potere.

Non si tratta solo di una mela marcia che si faceva dettare le decisioni e i discorsi da una sciamana, tale Choi Soon-sil e che in quattro anni è riuscita ad incamerare la bellezza di quasi 70 milioni di dollari in mazzette: è stata solo poco prudente e mal consigliata nel mungere il vasto sistema di corruzione che governa il Paese e di cui tirano le fila i grandi gruppi industriali. Basti dire che  anche il capo del più importante complesso del Paese, la Samsung, la marca più gettonata dalla Cia, come sappiamo da Wikileaks,  è sotto blanda inchiesta per aver foraggiato la presidenta con somme stratosferiche al fine di ottenere i provvedimenti che voleva. E la medesima cosa hanno fatto anche gli altri gruppi produttivi di rilievo.

Questi fatti cadono in un periodo di particolare tensione ed è forse per questo che abbiamo potuto vedere qualche pensoso articolo sulla faccenda e non solo qualche trafiletto, ma la vicenda di Park Geun-hye non è che l’ultimo capitolo di una storia del Sud Corea dove la democrazia è sempre è solo stata una formalità pura e semplice: dal 1948 al 1960  il Paese è stato retto con poteri dittatoriali da Syngman Rhee che, a parte il vizio di far sbattere in galera a vita i parlamentari che votavano contro di lui, non si è risparmiato in stragi e massacri per reprimere le sommosse popolari dei “comunisti” ancor prima della guerra. Impossibile fare la conta delle vittime complessive, ma conosciamo quelle del singolo eccidio dell’isola di Jeju dove furono massacrate 14 mila persone. Il fatto era che la popolazione coreana voleva andare alle urne per eleggere un solo presidente per l’intero Paese, ma gli Usa e Rhee che del resto era vissuto per quarant’anni negli States, prima di diventare l’amerikano di Seoul, preferivano la divisione per una semplice evidenza: una Corea unita sarebbe stata fatalmente sotto l’influenza della Cina, al contrario di un ridotto separato dal continente e tenuto dal potere navale Usa.

Caduto nel 1960 a causa dell’insurrezione popolare chiamata rivoluzione d’aprile e guidata dagli studenti, fu sostituito dopo un breve interregno e con un colpo di stato militare da un altro autocrate, il generale Park Chung – Hee, un personaggio che aveva iniziato la sua carriera militare a fianco dei giapponesi coi quali combatté, che successivamente venne arrestato da Rhee per sospetto comunismo e liberato dopo la vendita dei  nomi dei compagni, ma che cominciò una miracolosa scalata agli alti gradi solo dopo un periodo di “addestramento” a Fort Still in Oklaoma. Subito dopo l’ascesa al potere fondò un suo servizio segreto la Kcia, tanto per rendere più chiare le cose e mentre inaugurava il regime corruttivo, si dedicava alle purghe tra gli oppositori e i suoi stessi amici. Tra il 1963 e il 1973, si rivelò molto grato ai suoi burattinai mandando 320 mila soldati e 100 mila “consiglieri civili” a combattere in Vietnam a fianco degli americani  ricevendone in cambio decine di miliardi di dollari in sovvenzioni, trasferimento di tecnologie e trattati commerciali di favore dando così inizio al decollo produttivo del Paese.  Decollo che era assolutamente necessario nell’ambito della guerra fredda visto che fino ad allora la Corea del nord, sebbene a minor densità di popolazione, era molto più industrializzata del Sud avendo ricevuto in eredità gli impianti industriali e chimici giapponesi oltre all’aiuto tecnologico di Urss, Cina e Ddr.   Va detto per inciso che ancora adesso, sebbene non se ne parli per nulla l’economia della Nord Corea è abbastanza vivace: è il 9° produttore mondiale di frutta, il 15° di fluorite, il 12° di rame oltre a magnesite e grafite, ha  significative produzioni meccaniche ed elettriche e un pil che cresce fra l’1,5 e il 4% annuo. Solo che rilevazioni economiche esclusivamente fondate sui criteri del consumismo occidentale non riescono a aggregare in un insieme coerente realtà e numeri.

Comunque sia  il generale Park Chung – Hee che governava anche grazie ai decreti di emergenza risalenti alla guerra, non facendosi scrupolo di ricorrere alla tortura o all’incarcerazione senza processo, fu assassinato dal capo della Kcia e sostituito dal generale Chun Doo-hwan, anche lui addestrato in Usa e il cui unico atto di rilievo consiste nel massacro di Gwangiu dove nel 1980 furono massacrati 100o studenti. La storia prosegue con una serie di personaggi che non hanno fatto altro che perfezionare il sistema che lega le esili strutture del potere legale e politico alle grandi concentrazioni industriali le quali fanno il bello e il cattivo tempo, sostanzialmente pagando loro la tangente. E infine si arriva a Park Geun-hye, figlia dell’autocrate Park Chung – Hee, colta con le mani nella marmellata, soprattutto perché non si è accorta che il clima è cambiato, che i drastici tagli al sistema pubblico attraverso il quale il potere ha comprato un’incerta pace sociale, stanno mettendo a rischio il sistema sudcoreano dove peraltro, per chi non lo sappia, esiste ufficialmente la censura sulla stampa,  anche se questo i freedomari di ogni specie non ve lo verranno a dire, lasciando le cose nel vago.

Tratto da: https://ilsimplicissimus2.com/2017/03/13/guerra-di-coree/
 

Corea, la guerra dimenticata

La mattina del 4 novembre di 66 anni fa il decimo corpo dei marines  iniziò, assieme a tutta l’ VIII armata Usa, una precipitosa ritirata per non essere accerchiato dalla XIII armata cinese e con l’estremo valore che contraddistingue nei film questi combattenti d’elite (vedi nota),  i comandi mandarono un reggimento turco a sacrificarsi per poter far scappare i soldati dalla sacca del fiume Yalu. Non si fa fatica a comprendere perché la guerra di Corea sia quasi da subito entrata in una sorta di limbo della memoria: all’America neo imperiale non conveniva raccontare troppo la prima vera sconfitta campale contro le truppe male armate dell’appena nata Repubblica popolare cinese, né il fatto che alla fine si arrivò a un compromesso solo per evitare un conflitto nucleare visto l’impossibilità di risolvere la faccenda con i mezzi convenzionali. E con il regalo del maccartismo come conseguenza. D’altronde anche in campo comunista si preferiva glissare e minimizzare  visto il dissidio nato tra Stalin e Mao proprio in merito all’intervento di salvataggio della Corea del Nord.

Tuttavia non è della guerra guerreggiata che mi preme parlare in questa sorta di “anniversario “, ma di come si arrivò allo scontro, perché la dinamica degli eventi rassomiglia molto a quelle attuali e la loro analisi può essere un contributo a capire cosa possa accadere domani. Dunque alla conferenza del Cairo gli alleati con aggiunta della Cina si accordarono sull’indipendenza della Corea che già da 70 anni era occupata dal Giappone. Ma già all’indomani della fine della guerra si vide che fine avrebbe fatto quell’accordo: i russi scendendo da nord e gli americani risalendo da sud si incontrarono intorno al 38° parallelo dando vita a una  spartizione di fatto che si diceva sarebbe stata superata grazie ai buoni uffici dell’Onu. Non fu così perché nel frattempo l’inizio della guerra fredda non permise l’elezione di un governo unitario, ma in realtà fin da subito, fin dal settembre 1945 il generale  John Hodge, governatore militare appena nominato, disse che la Corea doveva considerarsi un nemico degli Usa a causa della presenza di molti militanti comunisti anche al Sud e perciò come rappresentante del cosiddetto campo della libertà preparò la spartizione prima ripristinando il potere dei precedenti gerarchi giapponesi o legati strettamente al Giappone, poi mettendo in piedi una sorta di parodia democratica con l’istituzione del Korean Advisory Council del quale fu chiamata a far parte una schiacciante  maggioranza di latifondisti, affaristi, ufficiali del regime coloniale.

Da questa sorta di  mostro rimasero fuori i membri del Prk, ossia del governo provvisorio coreano, l’unico avente idealmente diritto, che del resto il governo militare accusava di sospetto comunismo.  Da questo ” Council” nacque nell’agosto del  1948 un assurdo governo coreano del Sud, guidato dal presidente dittatore Syngman Rhee, nazionalista di sangue reale allevato a Washington, (responsabile di innumerevoli torture e del  massacro di Jeju, dove vennero uccise 30 mila persone per sedare una rivolta della popolazione e che fino agli anni ’60 si faceva rieleggere uccidendo i suoi avversari) Il quale  rifiutò di fatto l’unificazione e cominciò la repressione dei comunisti. Cosa che un mese dopo portò alla dichiarazione di sovranità della Corea del Nord. Insomma la divisione del Paese era stata perseguita fin dai primi giorni in ragione degli interessi strategici e ideologici di Washington, anche a costo di ridare il potere alla stessa classe dirigente del colonialismo giapponese, dopo averlo demonizzato. Qualcosa che del resto è accaduto anche in Europa, sotto forme parzialmente diverse, dove gli Usa hanno fatto sì che la denazificazione  e la defascitiizzazione, si limitassero ai soli vertici, ma senza toccare gli apparati che erano necessari a impedire che una sovranità reale e popolare facesse fino in fondo il suo gioco con tutti i rischi per il neo impero. Su questo si potrebbe discutere per giorni se non per anni, ma tornando alla Corea troviamo lo stampo che appena rivisto, aggiornato e adattato alle nuove realtà è stato applicato e viene applicato  in Medio oriente, Sud america, Ucraina, Balcani, Africa.

Se si leggessero le cronache del dopoguerra, si vedrebbe che tutta la narrazione della vicenda coreana è interpretata alla luce di una sedicente libertà e democrazia quando in effetti si trattava semplicemente di una sostituzione di padrone. Governi militari dopo le tempeste nel deserto o nei mari, recupero sotto altra forma dei vecchi regimi, opposizioni “popolari” ad hoc, democrazia a la carte e assai spesso dissidenti “sicuri e garantiti” allevati in Usa. Lo scopo finale è sempre una qualche spartizione, con la consueta eliminazione di qualsiasi elemento unificante,  che consenta la tutela perpetua. Una filosofia che da una parte si serve del nazionalismo dall’altro ha lo scopo di negare ogni sovranità che si opponga all’aristocrazia del denaro e alle sue leggi proclamate universali: le elites si servono di una nazione e dei peggiori istinti del nazionalismo, per affermare il globalismo del pensiero unico e del potere economico.

Nota. A questo proposito va ricordato che persino la divisione Livorno, pur in gravissima carenza di armamenti, praticamente senza copertura aerea e con il morale che si può immaginare a metà luglio del ’43, stava per ributtare a mare gli americani davanti a  Gela. Fu soltanto l’intervento massiccio delle artiglierie di grosso calibro di decine di navi a scongiurare il fallimento dell’operazione.

Tratto da: https://ilsimplicissimus2.com/2016/11/04/corea-la-guerra-dimenticata/
 
 

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