Nicaragua, municipi al voto e nuove sanzioni Usa

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Nicaragua, municipi al voto e nuove sanzioni Usa

Il 6 di novembre, vanno al voto i 153 municipi del Nicaragua. Verranno rinnovati 6.088 incarichi pubblici, ai quali si candidano oltre 27.000 persone, appartenenti a tutti i partiti politici o alle relative alleanze. L’autorità elettorale ha invitato tutte le formazioni a rispettare il principio della parità di genere (il Nicaragua è fra i primi paesi al mondo a garantirla), presentando nelle liste il 50% di donne. Il Consiglio Supremo Elettorale ha ricordato anche le due leggi che regolano “la presenza di agenti stranieri” e quella per la “difesa dei diritti del popolo all’indipendenza, alla sovranità e all’autodeterminazione per la pace”.

Dopo le violenze del 2018, e il ruolo giocato dalle articolazioni imperialiste, è entrata infatti in vigore una legge che impone alle varie Ong presenti di dichiarare la fonte dei propri finanziamenti. Un tasto assai dolente, data la ramificazione e la pervasività delle multinazionali dell’umanitarismo, impegnate ad agire sui territori per scardinare, per conto terzi, la valenza politica del legame sociale. E, infatti, si è scatenato il coro di proteste, ben sostenuto dai media egemonici, e moltiplicato nelle istituzioni internazionali.

Il messaggio è sempre il medesimo, il ricatto è sempre lo stesso, agito con le stesse dinamiche contro tutti quei governi che non si sottomettono al volere di Washington e dei suoi alleati: lasciateci manovrare e complottare liberamente, altrimenti vi bombardiamo con il discredito, l’occultamento, e, naturalmente, con le misure coercitive unilaterali. Così, Washington ha ampliato le “sanzioni” contro 500 funzionari del governo sandinista e ha confermato il blocco degli attivi negli Usa e delle transazioni alla Direzione generale del settore minerario, reiterando le minacce contro il presidente Daniel Ortega e la vicepresidente Rosario Murillo.

Il proposito è sempre lo stesso: aumentare le sofferenze del popolo per spingerlo a ribellarsi contro il governo che ha eletto. “Il regime – ha dichiarato il capo del Dipartimento di Stato nordamericano, Antony Blinken – quest’anno ha intensificato le azioni per togliere lo spazio alla società civile, per incrementare la cooperazione con la Russia in materia di sicurezza, e silenziare le voci indipendenti”.

Per Washington, il governo sandinista usa il guadagno ottenuto dalla produzione e dalla vendita di oro “per opprimere il popolo e per appoggiare l’invasione dell’Ucraina lanciata dalla Russia”. E, per essere ancora più esplicito, a ridosso delle municipali, Blinken ha aggiunto: “Gli Stati uniti, insieme ai loro alleati, credono sia essenziale il ritorno alla democrazia e il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali in Nicaragua”.

Il governo sandinista ha respinto l’arroganza di Washington anche in occasione del vertice della Cepal, nel cui ambito si è svolta la riunione tra la Celac e l’Unione europea, unendo la sua voce a quella degli altri paesi latinoamericani colpiti dalle misure coercitive unilaterali: a partire da Cuba e dal Venezuela bolivariano. “Qualunque governo che voglia ricevere applausi dall’impero yankee e da alcuni governi dell’Unione europea, comincia ad abbaiare, come un cagnolino al seguito, e a chiedere che si rimettano in libertà i prigionieri politici in Nicaragua, dimenticando quelli che tengono in carcere nel loro paese”.

Per tutta risposta, la campagna mediatica ha raddoppiato d’intensità: per delegittimare anche il voto del 6 novembre prossimo, così com’è accaduto per il risultato delle elezioni generali del 7 novembre scorso, e per la riconferma di Ortega alla presidenza. Si dipinge il governo sandinista come la quintessenza di tutti i mali. Il positivo non deve filtrare.

Invece, l’economia del Nicaragua è stata una di quelle che è cresciuta di più nel Centroamerica e in America latina, anche durante la pandemia, la crescita annua è stata dell’8,3%. Un altro dato in contro-tendenza, data la situazione di crisi alimentare che si prospetta a livello globale, è quello della produzione di alimenti, che praticamente garantisce al paese di essere autosufficiente.

 Tra i programmi del governo in questo ambito, vi è l’erogazione del Bonus Produttivo e del programma solidale Crissol per il rifornimento di grano basico a oltre 200.000 produttori e produttrici. Inoltre, con il programma di micro-credito per le donne, Usura Zero, sono oltre 115.000 le nicaraguensi che migliorano annualmente il proprio livello di vita e quello delle loro famiglie.

Il paese trae anche il 70% della sua energia elettrica da fonti rinnovabili, e così copre quasi la totalità del sistema elettrico nazionale. Si aggiunga che il governo continua a erogare sussidi al prezzo del petrolio e dei suoi derivati, al trasporto pubblico terrestre e acquatico e all’energia elettrica, e che garantisce la gratuità dell’educazione basica e superiore.

Un altro punto importante, riguarda il sistema di Autonomia dei popoli indigeni – uno dei più avanzati e democratici in America latina – che assegna oltre il 30% del territorio nazionale alle 23 comunità indigene e afro-discendenti. E sono circa due milioni le famiglie nicaraguensi che hanno ricevuto il titolo di proprietà da parte del governo. Mantenere attive le strutture del potere popolare, nonostante tutti gli attacchi, le defezioni e le difficoltà oggettive di un piccolo paese orgoglioso e accerchiato, erede dell’ultima rivoluzione del secolo scorso, è infatti ancora un gran punto di forza del sandinismo.

Lo si è visto, anche di recente, dopo il passaggio dell’uragano Julia, che ha colpito tutto il Centroamerica, e che in Nicaragua ha distrutto oltre 2.000 abitazioni, lasciando senza casa almeno 1.500 famiglie, per fortuna senza provocare vittime. Grazie all’azione del governo e dei municipi dove più attive sono le strutture del potere popolare, sono subito stati organizzati rifugi e alloggi temporanei, e si è messa in moto la solidarietà degli abitanti.

Quante “democrazie” capitaliste che si riempiono la bocca con “i diritti umani” possono dire altrettanto?

 
 

Geraldina Colotti

Geraldina Colotti

Giornalista e scrittrice, cura la versione italiana del mensile di politica internazionale Le Monde diplomatique. Esperta di America Latina, scrive per diversi quotidiani e riviste internazionali. È corrispondente per l’Europa di Resumen Latinoamericano e del Cuatro F, la rivista del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV). Fa parte della segreteria internazionale del Consejo Nacional y Internacional de la comunicación Popular (CONAICOP), delle Brigate Internazionali della Comunicazione Solidale (BRICS-PSUV), della Rete Europea di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana e della Rete degli Intellettuali in difesa dell’Umanità.

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