Il futuro politico del Medio Oriente

La guerra interetnica in Siria potrebbe modificare i confini regionali creati dalle potenze coloniali

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Il futuro politico del Medio Oriente

In Iron empiers, Iron fists, Iron domes, Friedman si interroga sulla storia del Medio Oriente e si chiede se la regione possa offrire solo tre modelli politici: Imperi di ferro, pugni di ferro o Iron Domes, in riferimento al sistema anti missilistico israeliano.
Le varie etnie presenti nella regione hanno convissuto in modo armonioso per oltre 400 anni nell'era ottomana, che ha imposto Istanbul capitale sunnita dell'Impero di ferro. Le minoranze come Alawiti, Sciiti, cristiani ed ebrei, anche se cittadini di seconda classe, non dovevano preoccuparsi di persecuzioni o eccidi. I problemi sono sorti alla fine della prima guerra mondiale, quando inglesi e francesi hanno determinato la decomposizione dell'impero e trasformato le diverse province ottomane in tanti stati – come Iraq, Giordania e Siria — che non corrispondevano alla mappa etnica della regione ed in questo modo sunniti, sciiti, alawiti, cristiani, drusi, curdi ed ebrei  si sono trovati a vivere insieme in confini che rispecchiavano gli interessi strategici dei due paesi europei. Quando Francia e Regno Unito sono poi stati costretti a lasciare i paesi ed hanno concesso l'indipendenza alle loro creature, la lotta per il potere tra le varie etnie è iniziato e le minoranze sono divenute soggette dei sorprusi delle maggioranze.
Negli anni '60 e '70  abbiano assistito, continua il Columnist del Nyt la sua analisi, all'emergere di dittatori dal  “pugno di ferro”, che hanno costruito regimi con lo scopo di far conservare tutto il potere politico ed economico alla ristretta cerchia della loro tribù, comunità o etnia. In Siria, sotto la dinastia della famiglia Assad,  la minoranza alawita è riuscita a governare sulla maggioranza sunnita ed in Iraq, sotto la scure di Saddam, la minoranza sunnita sulla maggioranza sciita. Tutti questi paesi non hanno mai cercato di costruire cittadini reali che potessero condividere pacificamente il potere. Quello che si sta assistendo ora con la primavera araba, continua Friedman nella sua analisi, è quello che capita quando il popolo si solleva contro autocrati clientelari: una lotta per la spartizione del potere, data l'assenza di un contratto sociale tra le diverse comunità. 
Israele ha risposta al collasso dei dittatori limitrofi con un terzo modello, simboleggiato dal muro costruito intorno a sé per separare West Bank ed il suo sistema anti missilistico Iron Dome, che hanno avuto successo da un punto di vista della sicurezza del paese, ma ad un grave prezzo, fornendo ai leader politici del paese il pretesto per limitare la propria responsabilità su un trattato di pace costruttivo con i palestinesi su West Bank e Gerusalemme Est. La destra estrema che governa oggi in Israele è così arrogante ed indifferente alle preoccupazioni americane, che ha annunciato nuovi piani per costruire insediamenti nel cuore di West Bank — come segno di protesta del voto dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite che hanno riconosciuto lo stutus di stato osservatore alla Palestina — anche se gli Stati Uniti hanno fatto di tutto per bloccare quel voto ed i nuovi insediamenti impediranno un nuovo processo di pace. Nel frattempo nessun partito candidato alle elezioni del 22 gennaio — incluso gli eredi di Rabin del partito Laburista — non stanno offrendo nuove visioni di pace ma dibattono solo su economia e prezzi delle case. Il muro e l'Iron Dome stanno proteggendo Israele dai nemici che la vogliono annientare, ma, conclude Friedman, stanno anche proteggendo i leader politici dalle responsabilità che evitano di prendere.

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