La situazione del Mali arriva davanti alla Corte Penale Internazionale
Il governo maliano ha deferito la situazione del Mali dinanzi alla Corte Penale internazionale per crimini di guerra e crimini contro l’immunità commessi nel paese dal 12 gennaio 2012. Il deferimento fa seguito alla decisione adottata in seno al Consiglio di Ministri del 30 maggio 2012 nonché alla richiesta espressa dal Gruppo di contatto sul Mali dalla CEDEAO del 7 luglio 2012 di deferire la situazione del Mali dinanzi alla CPI. Già il primo luglio 2012 la Procuratrice della CPI aveva reso una dichiarazione in cui alludeva alla possibilità di aprire un’inchiesta a proposito della profanazione delle tombe musulmane, atto ascrivibile nei crimini di guerra previsti all’articolo 8 dello Statuto della CPI. Con la lettera del 13 luglio 2012 del Ministro maliano della Giustizia indirizzata alla Procuratrice della CPI, Fatou BENSOUDA, un passo avanti è stato compiuto e la Procuratrice ha istruito il suo ufficio di procedere ad un esame preliminare della situazione ai fini dell’apertura dell’inchiesta. Bisogna sottolineare che con il deferimento della situazione del Mali dinanzi alla CPI ammontano a 4 situazioni portate all’iniziativa dei paesi africani (Uganda, R.D.Congo, Repubblica africana del centro).
Nella sua lettera il Ministro maliano della giustizia giustifica il deferimento della situazione dall’impossibilità dei tribunali maliani di indagare e di giudicare gli autori dei crimini commessi soprattutto nel Nord del paese. Questa giustificazione è stata avanzata in tutti quei paesi africani sopra citati che hanno deferito la situazione dinanzi alla CPI e, facendo leva sul principio della complementarità della CPI, auspicano che quest’ultima con la loro cooperazione nonché quella degli stati membri possa svolgere la sua attività e determinare la responsabilità nella commissione dei suddetti crimini internazionali. Se questa mossa del governo maliano appoggiata anche dalla CEDEAO è assai apprezzabile per la finalità, quella di combattere l’impunità, bisogna anche registrare un dato di fatto che il principio di complementarità della CPI di fronte ai tribunali nazionali assume un rilievo principale e forse imprescindibile in un contesto della paralisi o dell’inesistenza dei mezzi idonei per rendere giustizia.
Registriamo un dato contrastante: se da una parte gli Stati africani, nel loro insieme, appaiono ostili all’attivismo della CPI soprattutto quando quest’ultima indaga o intende perseguire i capi di Stato, l’atteggiamento cambia quando i potenziali responsabili dei crimini sono esponenti dei gruppi armati. Nei casi deferiti dagli Stati africani sopra citati, i crimini commessi hanno riguardato esponenti dei gruppi armati. Questa giustizia a “macchia di leopardo” ha già dimostrato i suoi limiti in quanto tende ad indagare in una direzione più o meno favorevole alle truppe governative e fa venir meno l’imparzialità che deve e dovrebbe accompagnare tutta l’azione della giustizia internazionale. Ora che la Procuratrice della CPI proviene dall’Africa (Gambia) dopo aver assunto la carica di vice del Procuratore Moreno O CAMPO per tanti anni, c’è speranza che possa svolgere il delicato compito facendo anche tesoro degli errori commessi dal suo predecessore nelle investigazioni senza apparire “malleabile” né dagli Stati africani né tanto meno dalle potenze che hanno consentito la sua elezione.
KAZADI MPIANA Joseph. Dottore di Ricerca in Diritto internazionale e dell’Unione europea presso l’università di Roma “ l sapienza”. E-mail. kazadimpiana@