L’elezione del Ruanda come membro del Consiglio di Sicurezza: una doccia fredda per la Repubblica democratica del Congo

 L’elezione del Ruanda come membro del Consiglio di Sicurezza: una doccia fredda per la Repubblica democratica del Congo

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La recente elezione del Ruanda in qualità di membro non permanente del Consiglio di Sicurezza avvenuta il 18 ottobre dalla maggioranza di 2/3 dell’Assemblea generale delle Nazioni unite (148 voti a favore su 193) ha scatenato varie perplessità, proteste ed indignazioni sull’opportunità in un momento in cui pende sul tavolo del Consiglio di sicurezza il dossier o meglio il Rapporto stilato dal gruppo di esperti delle Nazioni Unite, che verrà reso pubblico il mese prossimo, inchiodando non soltanto il Ruanda ma anche l’Uganda per il notevole sostegno militare e logistico fornito al Movimento M23, in lotta con le forze regolari dell’esercito congolese da aprile scorso. La situazione rimane tutt’ora in stallo e le varie iniziative condotte nella regione non sembrano offrire migliori prospettive di pace. Già da giugno era stato messo in evidenza il coinvolgimento del Ruanda al fianco del Movimento M23 da un Rapporto preliminare delle Nazioni unite. 
     Nonostante le smentite del governo ruandese messo sul banco degli imputati, alcuni paesi hanno adottato, a cominciare dagli Stati Uniti, misure unilaterali di congelamento o di sospensione di aiuti in direzione del Ruanda. Questo primo segnale sembrava un messaggio inequivocabile per scoraggiare il paese a sostenere gli insorti. Invece le misure adottate non hanno inciso sull’atteggiamento del Ruanda: lo sfruttamento delle ricchezze nelle zone dell’Est sottratte al controllo del governo ed in mano agli insorti ed ai fiancheggiatori genera un gettito in grado di compensare le perdite dovute alle misure adottate. Le proposte di sanzioni concertate e mirate avanzate nell’ambito delle Nazioni unite, finora hanno prodotto un nulla di fatto. Il Comitato delle sanzioni delle Nazioni unite si appresta ad adottare misure contro il movimento M23 e aspetta le osservazioni del Ruanda e dell’Uganda in merito al Rapporto che verrà pubblicato il mese prossimo per adottare ulteriori passi. 
     Se dovessero essere confermate le indiscrezioni trapelate sul contenuto del Rapporto ne esce male anche la figura del Presidente dell’Uganda MUSEVENI, prezioso alleato del Ruanda, nonché Presidente in carica della Conferenza internazionale sulla Regione dei grandi laghi, ruolo che gli consente di offrire la sua mediazione nella ricerca della soluzione assai complicata nell’ennesima crisi scoppiata nella parte Est del Congo. La sua credibilità, messa già in dubbio per la sua vicinanza con le tesi del Ruanda, ne esce ancora minata in quanto il mediatore “di pace” svolge allo stesso tempo anche il ruolo del piromane! Nei nostri precedenti commenti abbiamo espresso dei dubbi sulla costituente forza d’interposizione ai confini tra il Ruanda e la RDC e sulla sua capacità di riuscire dove hanno fallito in tanti a cominciare dalle Nazioni unite. Il Ruanda milita ovviamente per il fallimento di questa proposta che risulta favorevole agli interessi della RDC, ma allo stesso tempo sfavorevole al Ruanda che sarebbe così privato di alibi per sostenere gruppi armati ed influenzare le vicende politiche del Congo come lo sta facendo o tenta di farlo per più di 15 anni.
     L’elezione del Ruanda nel quadro appena delineato desta molte perplessità in quanto quest’ultimo può approfittare della sua posizione favorevole in seno al Consiglio per impedire l’adozione delle sanzioni nei suoi confronti. La prassi dimostra in effetti che è assai difficile o improponibile che il Consiglio di sicurezza giunga ad una decisione di condanna di un suo membro. Di fronte a questa situazione sarebbe stato più opportuno congelare o sospendere l’elezione del Ruanda prorogando il mandato del Sudafrica fino al compimento dell’iter del Rapporto. Il rischio è che quest'ultimo partorisca un topolino, adottando una linea più morbida o generica. Invece una  condanna senza mezzi termini e l’adozione di sanzioni mirate costituirebbero un forte segnale politico in grado di scuotere i dirigenti ruandesi. Temiamo purtroppo che ciò non avverrà. Basti ricordare che nel corso degli anni il Consiglio di sicurezza ha sempre adottato una linea molto morbida ed ambigua nei confronti del Ruanda, astenendosi dal condannare prima l’aggressione nel 1998 di cui è stata vittima la Repubblica democratica del Congo; poi limitandosi, dinanzi ai combattimenti di grande intensità avvenuti proprio sul territorio congolese nel maggio del 2000, a condannare formalmente le truppe ruandesi e quelle ugandesi per le tante perdite umane e gravi danni alle popolazioni civili congolesi, ma senza mai esigere riparazioni o indennizzi. 
     L’ambiguità nella gestione della situazione attuale è figlia di un atteggiamento già vissuto che costituisce una vera doccia fredda per la Repubblica democratica del Congo, per il suo popolo che ha ingiustamente pagato il prezzo di una Regione dei Grandi laghi al centro di tanti interessi politici, strategici ed economici. La mancanza di “autorevolezza” da parte del Consiglio di sicurezza nei confronti del Ruanda si spiega anche dalla posizione del suo alleato, gli Stati Uniti, non disposti ad adottare misure contro di lei. È assai emblematico l’annunzio nel mese di agosto, da parte degli Usa, della sospensione dell’aiuto rivolto alla cooperazione militare con il Ruanda pari a 200.000 dollari, una modica somma che incide in maniera irrisoria sul bilancio del paese. 
     Alcuni osservano ragionevolmente che le Nazioni Unite, per sanare la loro impotenza dinanzi al genocidio avvenuto in Ruanda nel 1994, genocidio che si poteva evitare, avrebbero adottato un atteggiamento di mansuetudine nei confronti del paese, chiudendo gli occhi sugli eccessi dei suoi dirigenti, sulla deriva dittatoriale del regime, sugli abusi, sulla violazione dell’embargo sulle armi a destinazione dei gruppi armati e coprendo il paese di tanti aiuti per la sua ricostruzione. Al contrario del Ruanda, la Repubblica democratica del Congo è stata più volte bacchettata per deficit di democrazia, cattiva gestione, nonostante passi compiuti, anche se modesti, su questa strada. La comunità internazionale è stata più esigente nei confronti della RDC su questo fronte e non lo è mai stata nei confronti del Ruanda o dell’Uganda, dove i dirigenti si mantengono al potere a seguito di elezioni che si trasformano in un plebiscito con risultati dalle proporzioni bulgare senza competizione, lontano dagli occhi degli osservatori neutrali, senza spazio adeguato per gli oppositori.
     L’elezione del Ruanda era prevedibile ed agevolata in quanto nessun altro paese africano aveva manifestato l’interesse a presentare la candidatura. Il Ruanda si è mosso sfruttando anche questo disinteresse, trasformando la sua elezione in un trionfo. È vero che le truppe ruandesi partecipano alle missioni di pace sotto la guida delle Nazioni unite o dell’Unione africana. Ma questo non basta per ambire ad un posto così importante, come membro del Consiglio di sicurezza e soprattutto nell’attuale situazione in cui l’operato del Ruanda nella RDC non contribuisce al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, principale missione delle Nazioni Unite tramite il Consiglio di sicurezza. La destabilizzazione del Congo rischia di scatenare effetti collaterali e contagio nel resto della Regione dei Grandi Laghi. 

KAZADI MPIANA Joseph. Dottore di ricerca in Diritto internazionale e dell’Unione europea presso l’Università di Roma “ La Sapienza”.

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