Oltre il ridicolo: il populista numero uno Berlusconi.... all'attacco dei populismi!


di Carlo Amirante*


Anche se in questa campagna elettorale abbiamo già letto e sentito di tutto e ne sentiremo ancora delle belle (o meglio, balle) Berlusconi ancora una volta si è superato attribuendo, con la sua ineffabile improntitudine, ai suoi avversari – in questo caso i Cinque Stelle, perché gli altri più accreditati competitors sono ben disposti a una alleanza con Forza Italia e i suoi satelliti – caratteri e vizi che gli sono propri e che ne hanno fatto le fortune non solo politiche.


Partiamo allora dalle accuse di populismo: studi, ricerche sociologiche, interviste, analisi del voto, hanno da anni dimostrato senza ombra di dubbio il carattere decisamente populista di una formazione politica che, tanto per cominciare, si è scelta come strumento per attirare gli strati più qualunquisti e incolti del Paese il nome di Forza Italia che alludeva ai suoi successi e alla sua popolarità come presidente del Milan.


La sua propaganda politica, fondata sull’anticomunismo in un paese senza più comunisti dal momento che già il 3 febbraio del 1991 il Partito Comunista più forte d’Europa aveva optato per un suicidio politico, oltre che strumentale e anacronistica, si proponeva in realtà l’obiettivo di demolire ogni fiducia dei cittadini elettori nelle istituzioni repubblicane e dalle macerie dei partiti dell’arco costituzionale ridare legittimità e agibilità politica ai neofascisti accogliendoli così nei suoi governi.


Il nuovo approccio spregiudicato di Berlusconi a una politica spettacolo che concentrava sulla sua persona tutta l’attenzione degli elettori , sostituiva alla tradizionale struttura organizzativa politica di partiti presenti sull’intero territorio nazionale un uso sempre più spregiudicato e pervasivo del medium televisivo di cui era divenuto di fatto monopolista, fruendo sia delle sue televisioni commerciali che delle reti nazionali.


Questa autentica rivoluzione della comunicazione e dell’informazione contribuiva progressivamente a cambiare radicalmente il modo di fare politica in un paese in cui – con una efficace allusione al carattere d’impresa ( un’impresa ben più che chiaccherata! ) della nuova formazione politica alla guida del Paese – un arguto costituzionalista poté parlare a proposito del governo Berlusconi del ‘94, di “primo governo Fininvest”.





Se dunque vogliamo parlare delle origini del populismo in Italia è impossibile non far capo al fenomeno del berlusconismo, portatore di nuove tecniche di produzione del consenso politico ( o, se si vuole, di nuove “armi di distrazione di massa” dai reali problemi del Paese ). Un populismo e una sempre più radicale personalizzazione della leadership politica che ha finito per stravolgere anche quello che restava dei vecchi partiti e in particolare gli eredi del partito socialista e ancor più del partito comunista, che hanno perduto col tempo ogni reale rapporto con la loro base.


Nello scenario nel quale dagli anni novanta in poi le nuove forme di governance globale e comunitaria hanno spostato dallo Stato e dalle istituzioni al mercato, alle agenzie di rating e ai comitati di tecnici una parte cospicua di quel decision making che un tempo rientrava nel circuito partiti – parlamenti - governi, il contributo di nuovi leader rampanti e spregiudicati è stato decisivo nell’accantonare principi e valori che avevano contribuito in modo determinante negli anni ’70 ad attuare quelle riforme politiche, economiche e sociali che avevano trasformato in senso democratico e solidaristico non solo le istituzioni del welfare state, ma anche ampi e fondamentali settori della società, della famiglia, e dei diritti della persona.


Anche per chi come noi nutre forti dubbi sull’efficacia democratica che le nuove forme di “democrazia della rete” realizzerebbero, favorendo nuove forme di partecipazione dei cittadini elettori alle scelte politiche fondamentali, è più che evidente che la crociata contro i Cinque Stelle di cui, con l’improntitudine e il tempismo che l’hanno sempre contraddistinto, si è reso protagonista Berlusconi, è ancora una volta, come già nel ’94, un tentativo di riciclare un progetto politico che nell’ultimo ventennio ha contribuito non poco ad aggravare una crisi politica e istituzionale che ha ridotto il nostro paese ad anello debole dell’Unione Europea.


Ma ciò che forse è ancora più preoccupante, anche per il ruolo del paese a livello europeo e internazionale, è la prospettiva di nuovo governo guidato da un leader come Berlusconi, che per gli alleati di un suo ipotetico governo (Lega, Fratelli d’Italia e altre formazioni minori) e per il carattere populista e smaccatamente elettoralista del suo programma non può che destare sospetti e preoccupazioni per i governi dei paesi di cui l’Italia dovrebbe essere partner e protagonista in una fase politica ed economica che richiederà scelte complesse e responsabili.


*Già Professore di diritto costituzionale all'Università Federico II di Napoli

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