PERCHE' IL VIAGGIO DI TAYYP ERDOGAN IN ITALIA?


Ha fatto un certo clamore il viaggio in Italia del presidente turco Tayyp Erdogan il 5 febbraio 2018 a Roma, con un primo colloquio con papa Francesco. Durante il dialogo, avvenuto dopo un cerimoniale di ingresso molto solenne - erano 59 anni che un presidente turco non faceva visita in Vaticano - sono stati affrontati numerosi temi in agenda nel dialogo tra Santa Sede e Turchia, prima tra tutte l'annosa questione del riconoscimento storico, da parte del governo di Ankara, dell'esistenza del "genocidio armeno", il primo grande pogrom a sfondo razziale-culturale-religioso che ha avuto luogo nel Novecento, dimenticato o meglio attutito sia nell'esistenza che negli effetti da parte della pubblicistica politica e storica. Si è trattato di una gigantesca "caccia all'uomo" di natura religiosa che si è avuta a danno dei cristiani armeni presenti all'epoca in Turchia e nel Caucaso meridionale, con cifre che raccontano di 1-1,2 milioni di morti, quasi completamente silenziati nell'Europa dell'epoca e insistentemente negati - nell'esistenza e nella cifra - dai vari governi turchi.


Quel genocidio fu probabilmente l'inizio della "nuova identità europea" della Turchia, che con Ataturk si diede un volto "laico ed illuminista", mantenendo anzi aumentando la presenza religiosa islamica nel Paese e rafforzando in chiave laica le istituzioni repubblicane. E' probabile quindi che la coesione interna e l'identità stessa del Paese del Bosforo abbiano come punto di riferimento identitario proprio quel genocidio negato. Successivamente la Turchia - che, come sappiamo storicamente, ha rappresentato un enorme problema per l'Europa, poiché l'Impero Ottomano - nato sulle ceneri di quello bizantino-cristiano/ortodosso che era sopravvissuto al crollo dell'Impero romano per più di un millennio, venendo a cadere proprio a causa dell'islamizzazione del Paese, ha rappresentato un cuneo molto problematico per l'Europa cristiana, che - con la battaglia di Lepanto del 1571 - riuscì a respingere fortunosamente le truppe turche che altrimenti avrebbero imperversato, con danni enormi, in tutto il continente (si pensi alla prima conquista arabo-islamica del VI secolo o alle numerose incursioni saracene sulle coste europee o adriatiche durante tutto il Medioevo).





L'incontro di oggi, abbastanza inusuale e avvenuto in un clima molto fraterno, potrebbe rappresentare un inedito riavvicinamento della Turchia con i principali dossier che la coinvolgono nei rapporti con l'Europa. Sappiamo che la guerra in Siria, in corso dal 2011, ha prodotto un numero enorme di profughi, e proprio il governo di Ankara ne ospita, all'interno dei propri confini, moltissimi. Questa presenza è stata oggetto di un accordo con i Paesi e le istituzioni europee, mediante un rimborso che evitasse che molti di questi profughi, bloccati in Turchia ed impossibilitati a tornare nel proprio Paese perché distrutto dai bombardamenti e privo delle minime infrastrutture di sussistenza, fuggissero in massa nei Paesi europei.



Sappiamo inoltre delle forti frizioni tra il governo di Ankara e quello di Damasco; quest'ultimo è impegnato a mantenere l'integrità dei confini del proprio Paese al di fuori di accordi formali voluti dal governo (sono presenti diverse basi militari russe ed iraniane a difesa e su invito del governo siriano), mentre ci sono altre componenti non autorizzate sul territorio della Siria, come truppe nord-americane, talora di altri Paesi e saltuariamente turche, che sono impegnate in combattimenti tra e con i vari gruppi di terroristi. In particolare, nelle scorse settimane la Turchia ha violato la sovranità della Siria per iniziare uno scontro armato contro i gruppi curdi che abitano nella provincia di Afrin.



L'obiettivo di Ankara è fermare i curdi, che rappresentano una minaccia all'integrità dei suoi confini, e forse appunto impedire il radicamento di uno "Stato curdo" autonomo nel nord della Siria, appoggiato formalmente e militarmente dagli Stati Uniti. Negli ultimi mesi, i ribelli curdi - ribelli soprattutto al governo siriano, di cui quei territori fanno parte e che informalmente sarebbero amministrati dai curdi in chiave anti-Isis - hanno beneficiato dell'aiuto militare degli Stati Uniti, che li ha riforniti di ben 5.000 camion carichi di armi. Se scopo dei curdi - in nord Siria come in nord Iraq - è la formazione di un proprio Stato autonomo ed indipendente, a valenza etnica più che politica (potrebbero ottenere lo stesso risultato contrattando un certo grado di autonomia all'interno dei rispettivi Stati nazionali di cui fanno parte), da parte di molti osservatori l'azione dei curdi viene vista come un avamposto perché si rafforzi nella regione la presenza militare degli Stati Uniti, che gli fanno da sostegno logistico e militare, e per prima impostazione di Israele, che mal vede sia un rafforzamento o difesa della Siria, unico regime della zona nemico di Tel Aviv o comunque avversario. Dunque il piano di autonomia dei curdi farebbe parte del disegno di disarticolazione generale di quella parte di Medio Oriente per poter dar vita ad un'eventuale "Grande Israele" la cui presenza sarebbe possibile solo a seguito della disarticolazione delle realtà statali che a questo disegno si oppongono.



Le richieste di Erdogan, oltre alla ricerca di un ampliamento della sfera economica e vitale del proprio Paese, che finora gestisce per conto dell'Europa la scottante questione dei profughi, potrebbe rispondere in parte a queste esigenze. E' forte in Vaticano il veto dell'allora papa Benedetto XVI, che nel 2004, a proposito della richiesta di ingresso della Turchia nell'Unione Europea, ricordò la chiara ispirazione islamica del Paese di Ankara e appunto il pericolo di un ulteriore annacquamento dell'identità cristiana già flebile dell'allora Europa. La visita odierna potrebbe dunque rappresentare un nuovo capitolo nella storia. Staremo a vedere gli sviluppi.


G.D.

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