Cosa pensano i tedeschi di Mario Draghi

16 Febbraio 2021 15:00 Edoardo Laudisi

Per ora la Germania tace su Draghi. Nel senso che i commenti sul nuovo presidente del consiglio italiano incaricato si limitano alla cronaca spicciola senza sbilanciarsi in analisi. Qualcuno come il quotidiano conservatore Die Welt puntualizza che Draghi è quello del “whatever it takes” per salvare l’Euro, e con esso en passant anche l’economia italiana impastata nell’ennesima crisi, che portò ai tassi di interesse negativi sui titoli di stato tedeschi contro i quali i risparmiatori tedeschi stanno ancora imprecando. Per il resto l’operazione Supermario è seguita con distacco, quasi con noia da Berlino. Qui infatti l’incapacità dei politici italiani a riformare il sistema Italia è un fatto acquisito da tempo ed è dato per scontato che l’unico modo per ottenere dei risultati in linea con il sistema europeo a guida franco-tedesca sia quello di eterodirigere lo stivale con l’ausilio di buoni tecnici. Quindi herzlich willkommen a Mario Draghi.

Va detto che questa cosa dei tecnici ce l’abbiamo solo noi in Italia. Quando i politici sentono puzza di bruciato, leggi prelievo forzoso sui conti correnti, patrimoniale selvaggia o distruzione della domanda interna, fanno entrare i tecnici. Il brutto è che dopo poi tornano come se nulla fosse. In tal senso Mario Draghi è l’ultimo modello evolutivo della serie che da Ciampi attraverso Dini arriva a Monti. Draghi è il più moderno, il più intelligente, sicuramente il più capace. Quello con maggior prestigio professionale e solidi contatti internazionali.

Tutto bene quindi? Niente affatto, perché l’arrivo di Mario Draghi è la conferma definitiva che il progetto della nostra Repubblica fondata nel 1946 sulle macerie della Seconda guerra mondiale è fallito. Il progetto di un paese sovrano, libero e democratico padrone del proprio destino è chiuso. Finito. Abbiamo avuto a disposizione 75 anni di pace per realizzarlo. Una piccola età dell’oro in cui nessuna guerra, nessun nemico alle porte, nessun esercito straniero pronto a saccheggiare le nostre belle città ci ha minacciato; il tutto inserito in un periodo di prosperità economica mai vista dai tempi dell’imperatore Augusto, e sono duemila anni. In un territorio benedetto dagli dei al centro del Mediterraneo, nell’ombelico del mondo, con una tradizione storico culturale millenaria e una sequenza di ingegni capaci di rivoluzionare il modo di pensare e vedere il mondo.

Il risultato? Un paese corroso dalla corruzione, assediato dalle cosche mafiose, controllato dai creditori esteri e gestito dalla classe dirigente peggiore del mondo occidentale. Possibile che le nostre università, le nostre accademie, le nostre fondazioni culturali non siano state in grado di produrre niente di meglio? O forse il meglio è stato costantemente sabotato per produrre una classe dirigente debole, corrotta, miope e tremendamente ignorante, tutte “qualità” che la rendono facilmente manipolabile.

Una classe dirigente che non è riuscita nemmeno ad abbozzare le riforme urgentissime ormai da decenni, come quella fiscale, della giustizia o della PA, ma che ha costantemente speculato sulle urgenze senza fare nulla per affrontarle. E che quando non ce la fa più chiama il tecnico di turno per farsi togliere le castagne dal fuoco. Ora, se la scelta fosse tra Draghi e Di Maio, o peggio ancora tra Draghi e Casalino, allora Draghi tutta la vita. Ma questa è solo una scelta apparente. Il vero deal è un altro. La domanda da porsi per scoprirlo è: in nome di chi, in forza di quale idea e per tutelare quali interessi agirà Draghi? L’ex presidente della Banca Centrale Europea (carica ricoperta tra 2011 al 2019), l’ex governatore della Banca d’Italia (carica ricoperta dal 2005 al 2011), l’ex managing Director di Goldman Sachs (carica ricoperta dal 2002 al 2005) giurerà sulla Costituzione, va bene, ma quali finalità perseguirà e a chi risponderà del suo operato? E’ la stessa parabola della carriera di Mario Draghi a dircelo. L’uomo appartiene in tutto e per tutto all’establishment globale che ha creato l’ordine socio-economico attualmente in crisi. Un ordine dove il potere delle lobby finanziarie e delle banche è cresciuto a tal punto da ridurre i politici a meri esecutori dei loro diktat. Un ordine che ha svuotato le nostre democrazie rappresentative, ha scollegato la volontà popolare dai centri di potere devitalizzando i parlamenti. In questo scenario i cittadini regrediscono a plebe senza alcun diritto politico se non quello di vidimare decisioni prese altrove con il rituale di elezioni che non hanno più nessuna efficacia. Uno schema in voga nei paesi del socialismo reale. Mario Draghi dovrà garantire innanzitutto quel mondo. L’unica consolazione è che per raggiungere lo scopo dovrà fare in modo che il vassallo italiano non crolli perché il suo crollo metterebbe a rischio il sistema europeo. Quindi almeno qualche riformina non troppo schifosa sarà costretto a farla e insomma alla fine alla plebe arriverà qualche briciola. E’ per questo, per raccattare le briciole, che abbiamo fondato una Repubblica democratica dove la sovranità appartiene al popolo (Articolo 1 della Costituzione italiana)?

A Berlino per ora tutto tace e mai come in questo momento il silenzio è d’oro. Perché con Herr Draghi sarà molto più facile imporre agli italiani una patrimoniale che garantisca i creditori esteri per i debiti contratti dai politici italiani. Con Herr Draghi sarà un gioco da ragazzi ottenere pezzi del patrimonio statale italiano a garanzia del Recovery fund. Con Herr Draghi ci si intenderà a meraviglia, tantopiù che l’ex governatore è in debito per via di quei tassi zero sui Bund, contro i quali i risparmiatori tedeschi stanno ancora imprecando.

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