Inceneritori e trivellazioni: la “modernità” e il “cambiamento” impresso da Renzi.


Inceneritori e trivellazioni: la “modernità” e il “cambiamento” impresso da Renzi. Il decreto sblocca Italia, messo a punto dal ministro Gian Luca Galletti, prevede infatti una “rete nazionale integrata e adeguata di impianti di incenerimento e coincenerimento di rifiuti”. La redazione del cambiamento.it scrive come questo di fatto produce un mercato libero non più solo per i rifiuti speciali (quelli già girano da sud a nord e viceversa facendo girare tanti soldi e non sempre puliti), ma anche per i rifiuti solidi urbani che verranno bruciati non solo negli inceneritori già esistenti, ma anche in nuovi impianti che, per far tornare i conti, dovranno continuare a bruciare senza sosta e sempre di più.
Questa rete nazionale, prosegue il sito, determina la circolazione dei rifiuti da una regione all’altra senza più bisogno di procedure particolari. E tra gli obiettivi ci sarebbe anche quello della costruzione di nuovi impianti “di termo-trattamento”, definiti “infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale”. I movimenti e i cittadini della Lombardia hanno già fatto sentire la loro voce, con la Regione che ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale.
Intanto il governo Renzi si prepara anche alle trivellazioni, denunciano WWF, Legambiente e Greenpeace che chiedono ai membri della Commissione Ambiente della Camera dei deputati di decidere per l’abrogazione dell’articolo 38 del decreto legge Sblocca Italia n. 133/2014. “L’accelerazione indiscriminata impressa dal Governo metta a rischio la Basilicata che è interessata in terra ferma da 18 istanze di permessi di ricerca, 11 permessi di ricerca e 20 concessioni di coltivazione di idrocarburi per circa i 3/4 del territorio. E non è esonerato dalla corsa all’oro nero neanche il mare italiano. In totale le aree richieste o già interessate dalle attività di ricerca di petrolio si estendono per circa 29.209,6 kmq di aree marine, 5000 chilometri quadrati in più rispetto allo scorso anno. Attività che vanno a mettere a rischio il bacino del Mediterraneo dove si concentra più del 25% di tutto il traffico petrolifero marittimo mondiale provocando un inquinamento da idrocarburi che non ha paragoni al mondo».
Ci sono 7 buoni motivi, conclude il cambiamento.it, per chiedere l’abrogazione dell’articolo 38 del decreto legge 133/2014, perché le disposizioni in esso contenute:
1) consentono di applicare le procedure semplificate e accelerate sulle infrastrutture strategiche ad una intera categoria di interventi senza individuare alcuna priorità;
2) trasferiscono d’autorità le VIA sulle attività a terra dalle Regioni al Ministero dell’Ambiente;
3) compiono una forzatura rispetto alle competenze concorrenti tra Stato e Regioni cui al vigente Titolo V della Costituzione;
4) prevedono una concessione unica per ricerca e coltivazione in contrasto con la distinzione tra le autorizzazioni per prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi del diritto comunitario;
5) applicano impropriamente e erroneamente la Valutazione Ambientale Strategica e la Valutazione di Impatto Ambientale;
6) trasformano forzosamente gli studi del Ministero dell’Ambiente sul rischio subsidenza in Alto Adriatico legato alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in “progetti sperimentali di coltivazione”;
7) costituiscono una distorsione rispetto alla tutela estesa dell’ambiente e della biodiversità rispetto a quanto disposto dalla Direttiva Offshore 2013/13/UE e dalla nuova Direttiva 2014/52/UE sulla Valutazione di Impatto Ambientale.

Fonte: il cambiamento.it

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