AL QiQ VINCE LA SUA BATTAGLIA: ISRAELE SI ARRENDE AL GIORNALISTA IN SCIOPERO DELLA FAME


di Paola di Lullo

Si conclude oggi lo sciopero della fame di Muhammad al-QiQ. Dopo 94 giorni che lo hanno portato vicino alla morte, i suoi avvocati hanno stretto un accordo dell'ultima ora con le autorità israeliane.

Qadura Fares, il presidente della Società del Prigioniero Palestinese, ha dichiarato che, mentre Israele non aveva
accettato di rilasciare al-QiQ immediatamente, era stato raggiunto un "compromesso".

Sei mesi di detenzione amministrativa in Israele, non rinnovabili, e rilascio il 21 maggio, il giorno in cui scadono i sei mesi dal suo arresto nella sua casa di Ramallah.

Ad al-QiQ saranno consentite le visite della famiglia, mentre non sarà trasferito in un ospedale della Cisgiordania. Potrebbe essere, invece, trasferito in qualunque ospedale israeliano.
Al QiQ, 33 anni, nato a Dura, giornalista corrispondente dalla Palestina per il canale saudita al-Majd, non ha violato nessuna legge, non ha accoltellato o tentato di accoltellare nessuno, e non ha mai tirato pietre.

La sua arma è sempre stata la sua penna.

Ma lo Shin Bet, il servizio di sicurezza israeliano, accusa il giornalista di far parte di Hamas e di cooperare ad atti di terrorismo. È in un carcere, e poi in un ospedale, israeliano dal 24 novembre 2015, in detenzione amministrativa, vale a dire, incarcerato senza accuse né processo. E senza diritto di visite da parte della sua famiglia.

Il suo sciopero iniziato all'indomani dell'arresto, lo aveva portato ad essere ricoverato nel Centro Medico Emek di Afula dove, il 14 gennaio scorso, i medici avevano acconsentito ad alimentarlo forzosamente, legandolo al letto, ed iniettandogli per via endovenosa, non cibo, ma vitamine. dimagrito di oltre 30 chili, avrebbe udito e vista compromessi ed avrebbe subito un attacco cardiaco.

Il responsabile del Comitato dei Detenuti ed Ex-Detenuti dell'Autorità Palestinese, Issa Qaraqe, aveva dichiarato che il giornalista è il primo prigioniero in sciopero della fame su cui è stata applicata la legge dell' "alimentazione forzata", approvata dal governo israeliano nel luglio 2015, al fine di spezzare la volontà degli scioperanti della fame.
Qaraqe aveva sottolineato che, nonostante l' alimentazione forzata sia considerata illegale secondo tutte le convenzioni internazionali e contraria al codice etico e deontologico dei medici, della World Medical Association (WMA) e della Israeli Medical Association (IMA), il governo israeliano non ha tenuto conto della posizione legale internazionale

Al Qiq dimagrito di oltre 30 chili, avrebbe udito e vista compromessi ed avrebbe subito un attacco cardiaco.
Il 4 febbraio scorso, la Corte Suprema israeliana aveva sospeso la sua detenzione amministrativa , pur senza annullarla, con l'obiettivo di ripristinarla quando le sue condizioni di salute fossero migliorate.
Al-QiQ aveva rifiutato la decisione, scegliendo di continuare il suo sciopero fame fino a "il martirio o la libertà." Il giornalista vedeva la sentenza del tribunale come un tentativo di minare la sua resistenza contro la "detenzione amministrativa, immorale e disumana".

Aveva inoltre rifiutato di ricevere cure mediche, se non in un ospedale palestinese della Cisgiordania

A questo scopo, lo scorso 12 febbraio , la Palestinian Prisoner's Society aveva presentato ricorso presso la Corte Suprema israeliana per richiedere il trasferimento di al-QiQ dall'HaEmek Medical Center di Afula, Israele, in un ospedale di Ramallah, Cisgiordania. Il 15 febbraio la richiesta era stata respinta. Il 16, era arrivata la sentenza definitiva : no al trasferimento in un ospedale palestinese di Ramallah, sì al trasferimento al Makassed Hospital di Gerusalemme Est. Il giornalista aveva rifiutato l'offerta, dal momento che, sebbene il Makassed Hospital sia palestinese, le sue condizioni non sarebbero cambiate, essendo Gerusalemme Est, ILLEGALMENTE occupata ed annessa da Israele. "Non voglio soldati israeliani ai piedi del mio letto", era stata la risposta.
Sua moglie Fayhaa aveva dichiarato a Haaretz: “Ci opponiamo alla decisione dell’Alta Corte che ci consente di fargli visita. Non parteciperemo a questo gioco di ‘bacia i tuoi figli e resta un detenuto sospeso’. Lo vogliamo fuori. Non sappiamo su che cosa si basi lo stato se pensa di poter reggere alle conseguenze del suo sciopero. Noi, la famiglia, sappiamo di essere in grado di sopportare le conseguenze.” “Le sue condizioni sono molto gravi; i bambini sanno che il loro padre è detenuto dall’esercito e che sta male”, aveva aggiunto. “Non capiscono bene il significato di uno sciopero della fame. Io dico loro che il loro padre è un eroe e cerco di dir loro che se, Dio non voglia, dovesse succedergli qualcosa egli sarà in paradiso”.

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