Dov'è finita Gerusalemme?


di Paola Di Lullo


Dov'è finita Gerusalemme? Sulle bacheche, ma non solo, sui Tg nostrani, impazza Ahed Tamimi. Premetto che nulla ho contro questa ragazzina dal volto angelico e dallo sguardo fiero che, naturalmente, è illegalmente detenuta ed in quanto tale, deve essere liberata. Premetto anche la mia non partecipazione ad alcuna campagna personale, dal momento che la fama di Ahed non la deve mettere su una posizione privilegiata dei tanti, tantissimi, troppi suoi coetanei - nonché ragazzini ancor più piccoli - allo stesso modo detenuti. Le campagne, per essere efficaci e oneste, devono riguardare tutti i detenuti minorenni nelle carceri del regime israeliano.



E però, perché Ahed e perché adesso? Chi ha dato l'ordine ai tg nostrani di parlarne, sbagliando anche il suo nome? Sarei curiosa di chiedere ai nostri giornalisti se hanno la più pallida idea di dove sia Nabi Saleh, dove e cosa sia Halamish, cosa siano i Comitati Popolari di Resistenza non violenta e da quanti anni gli abitanti di Nabi Saleh la usino come forma di protesta contro la confisca delle loro terre ma, soprattutto, della loro sorgente d'acqua. Credo che vedrei sguardi vacui e parole monche.

Ahed picchia, col suo piccolo pugno, i soldati israeliani fin da piccolissima. A 13 anni ha ricevuto l'Handala Award for Courage in Turchia, proprio per il suo coraggio. Israele, nonostante i pugni, le ha sempre concesso i permessi per viaggiare. Io ricordo Francia, Spagna, Sudafrica e, più recentemente, Bruxelles, al Parlamento Europeo. Secondo il modo d'azione israeliano, Ahed non era un problema, un pericolo.

Poi, però, un bel giorno di dicembre, dopo un ennesimo confronto con l'IOF, nella notte tra il 19 ed il 20, Israele decide di arrestarla. Poi, saranno arrestate la madre, ancora in carcere, la cugina Nour e la zia Manal, entrambe rilasciate. Ahed ha 12 capi d'imputazione. È diventata così pericolosa tutto d'un tratto? O forse Israele attendeva pazientemente, lasciando picchiare quei poveri soldatini, che compisse 16 anni?

Metodo non usato con altri ragazzini palestinesi. Ahed, secondo me, oggi serve ad Israele come arma di distrazione di massa. E funziona. Ahed sì, Gerusalemme adiós.

Per buttare benzina sul fuoco, aggiungiamo le "rivolte" in Iran. Premesso che, in questo caso, mi auguro gli israeliani si facciano un male boia, perché giusto ora i disordini pilotati in Iran, dopo mesi di minacce?
Tutto tace anche sul Libano e sullo Yemen, tanto che abbiamo bisogno che sia il New York Times a dirci ciò che denunciamo da tempo, e cioè che parte delle armi usate dall'Arabia Saudita contro le milizie Houthi siano di fabbricazione italiana e provengano dalla Sardegna.

Invece delle foto, sotto queste righe, trovate la lettera scritta da Bassem a sua figlia. Per la prima volta da quando lo leggo, trovo un fondo di verità, di denuncia non solo dell'occupazione, ma anche della "stagnazione e il degrado politici che si sono diffusi tra noi. Deve diventare [ Ahed ] l’arteria pulsante che farà rivivere la nostra rivoluzione e che uscirà dalla morte trascinata da una cultura crescente della passività legata a decenni di inattività politica."
Scrive contro la sua Fatah, Bassem, quella Fatah con cui andava a braccetto fino al giorno dell'arresto della giovane figlia. Quella Fatah che in tanti denunciamo come corrotta e connivente.

Ancora Bassem Tamimi : "Ahed...non è il prodotto di uno dei vecchi partiti o movimenti e, con le sue azioni, invia un messaggio: per sopravvivere dobbiamo affrontare francamente la nostra debolezza e vincere le nostre paure. In questa situazione il nostro più grande dovere, per me e per la mia generazione, è di sostenerla e lasciare il posto; controllarci e non cercare di alterare e imprigionare questa nuova generazione nella vecchia cultura e nelle vecchie ideologie con cui siamo cresciuti."

Forse, questa presa di coscienza, è l'unica nota positiva dell'arresto di una ragazzina "sotto i riflettori"

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TESTO COMPLETO DELLA LETTERA

Figlia mia: queste sono lacrime di lotta

Di Bassem Tamimi – 29 Dicembre 2017


Anche questa notte, come ogni notte da quando decine di soldati nel cuore della notte hanno invaso la nostra casa, mia moglie Nariman, mia figlia di 16 anni Ahed e Nur, la cugina di Ahed, la trascorreranno dietro le sbarre. Anche se questo è il primo arresto di Ahed, le vostre prigioni non le sono sconosciute. Mia figlia ha passato tutta la vita all’ombra pesante della prigione israeliana – dalle mie lunghe incarcerazioni durante la sua infanzia, ai ripetuti arresti di sua madre, a quelli di suo fratello e dei suoi amici, passando per la minaccia implicita che rappresenta la presenza permanente dei vostri soldati nelle nostre vite. Il suo arresto era quindi solo questione di tempo. Un’inevitabile tragedia che ci stava aspettando.

Diversi mesi fa, durante un viaggio in Sudafrica, abbiamo proiettato in pubblico un video che documenta la lotta del nostro villaggio, Nabi Saleh, contro la dominazione imposta di Israele. Quando in sala è tornata la luce, Ahed si è alzata per ringraziare le persone per il loro sostegno. Avendo notato che alcuni tra il pubblico avevano le lacrime agli occhi ha detto: “Saremo forse vittime del regime israeliano, ma siamo anche orgogliosi della nostra scelta di lottare per la nostra causa, nonostante il costo che conosciamo. Sappiamo dove ci conduce questa strada, ma la nostra identità, come popolo e come persone, è radicata nella lotta e da questa trae ispirazione. Al di là della sofferenza e dell’oppressione quotidiana dei prigionieri, dei feriti e degli uccisi, conosciamo anche l’immenso potere che ci viene dall’appartenenza a un movimento di resistenza; la dedizione, l’amore, i piccoli momenti sublimi che derivano dalla nostra scelta di rompere i muri invisibili della passività.

“Io non voglio essere vista come una vittima, e non voglio dare alle loro azioni il potere di definire chi sono, e ciò che sarò. Ho scelto di decidere da sola come mi vedrete. Non vogliamo che voi ci sosteniate grazie ad alcune lacrime fotogeniche, ma perché abbiamo scelto la lotta e perché la nostra lotta è giusta. È l’unico modo per smettere di piangere un giorno.”

Mesi dopo questi eventi in Sudafrica, quando ha sfidato questi soldati armati dalla testa ai piedi, a motivarla non fu una rabbia improvvisa per le gravi ferite che Mohammed Tamimi, 15 anni, aveva ricevuto poco prima a solo pochi metri da lei. Non era più la provocazione di quei soldati che entravano in casa nostra. No. Questi soldati, o altri, identici nella loro azione e ruolo, sono indesiderati e intrusi nella nostra casa da quando Ahed è nata. No. Stava lì davanti a loro, perché è il nostro destino, perché la libertà non è data come un’elemosina e perché nonostante il suo alto costo, siamo disposti a pagare per questo.

Mia figlia ha solo 16 anni. In un altro mondo, nel vostro mondo, la sua vita sarebbe completamente diversa. Nel nostro mondo, Ahed è una rappresentante di una nuova generazione del nostro popolo, di giovani combattenti per la libertà. Questa generazione deve combattere su due fronti: da un lato, ha naturalmente il dovere di perseguire la sfida e la lotta contro il colonialismo israeliano in cui è nata, fino al giorno del suo crollo; dall’altro deve affrontare con audacia la stagnazione e il degrado politici che si sono diffusi tra noi. Deve diventare l’arteria pulsante che farà rivivere la nostra rivoluzione e che uscirà dalla morte trascinata da una cultura crescente della passività legata a decenni di inattività politica.

Ahed è una delle tante giovani donne che, nei prossimi anni, condurranno la resistenza alla dominazione israeliana. Non è interessata ai riflettori puntati ora su di lei per il suo arresto, ma ad un vero cambiamento. Non è il prodotto di uno dei vecchi partiti o movimenti e, con le sue azioni, invia un messaggio: per sopravvivere dobbiamo affrontare francamente la nostra debolezza e vincere le nostre paure.

In questa situazione il nostro più grande dovere, per me e per la mia generazione, è di sostenerla e lasciare il posto; controllarci e non cercare di alterare e imprigionare questa nuova generazione nella vecchia cultura e nelle vecchie ideologie con cui siamo cresciuti.

Ahed, nessun genitore al mondo vuole vedere sua figlia trascorrere i suoi giorni in una cella di detenzione. Tuttavia, Ahed, nessuno può essere più orgoglioso di quanto lo sia io di te. Tu e la tua generazione, avete abbastanza coraggio, finalmente, per vincere. Le vostre azioni e il vostro coraggio mi riempiono di un timore misto ad ammirazione e mi fanno venire le lacrime agli occhi. Ma, come tu chiedi, non sono lacrime di tristezza o rimpianto, ma piuttosto lacrime di lotta.

Bassem Tamimi è un attivista palestinese

traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina

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