Istanbul: non è come al Bataclan



da Piccole Note

No, non è il Bataclan, come invece hanno scritto alcuni giornali italiani. L’attentato di Istanbul, dove un terrorista ha fatto strage (testimonianze parlano di più attentatori), non ricorda affatto l’eccidio del teatro parigino, nonostante l’obiettivo scelto sia assimilabile: allora la folla che si accalcava a un concerto, oggi gli avventori di una discoteca esclusiva. Gente spensierata che voleva divertirsi.

La differenza tra i due attentati è infatti profonda. Allora si trattava di diffondere la paura in Occidente per alimentare il clima di scontro di civiltà che vuole il nostro mondo contrapposto a quello islamico.

E il suo effetto immediato è stato quello classico, proprio dei manuali della strategia della tensione: un evento traumatico destabilizzante con effetti stabilizzanti.

La popolazione si è infatti stretta attorno alle istituzioni e ai suoi apparati, unici attori ritenuti in grado di dare rassicurazioni in tema di sicurezza e di proporre una reazione adeguata, quella reazione che gli attentati parigini intendevano innescare (lo scontro di civiltà necessita appunto di una conflittualità permanente, che di tanto in tanto deve essere alimentata con azioni eclatanti).

L’attentato di Istanbul ha una finalità altra è più specifica: quella di colpire al cuore la nazione che può rendere concrete le speranze di pace per la Siria. Infatti, la scorsa settimana la Turchia ha finalmente accettato di accordarsi con i russi per trovare una soluzione al conflitto che sta devastando il Paese mediorientale.

Da quando è iniziata la guerra, è la prima volta che uno degli attori di questo conflitto trova un accordo serio con la Russia la quale, insieme al governo di Damasco (e ai suoi alleati, Iran ed hezbollah), ha operato per contrastare le milizie terroriste ivi scatenate per realizzare un regime-change per conto dei diversi sponsor internazionali.

L’attentato di Istanbul mira quindi a colpire al cuore l’accordo di pace turco-russo, che ha trovato anche la significativa approvazione delle Nazioni Unite.

Non solo, a differenza di quello parigino, l’eccidio turco non ha effetti stabilizzanti ma, al contrario, destabilizzanti.

La Turchia, infatti, a differenza di quanto appare, è profondamente dilaniata al suo interno.

Linee di faglia profonde separano la comunità curda, sulla quale pesa la repressione del regime, dal resto del Paese. Un conflitto aperto, che oltre a un confronto militare vede scontri profondi a livello sociale e politico.

Peraltro la repressione, dal fallito colpo di Stato del luglio scorso, si è allargata a dismisura e non risparmia più nessuna forza di opposizione, falcidiando dissidenti sia a livello politico che sociale.

Una reazione durissima generata anche dalla debolezza del regime, che il tentato golpe, benché non riuscito, ha messo a nudo evidenziando forze ostative insediate a tutti i livelli del potere.

Non solo l’Agenzia Feto, il movimento islamista che risponde al guru Fetullah Gulen accusato di aver ordito il putsch, ma anche tanto mondo collaterale, insediato nella Difesa, nella sicurezza ma anche nei variegati ambiti politici e culturali del Paese.

Peraltro onde telluriche profonde sta causando anche il riposizionamento geopolitico di Ankara, che da baluardo della Nato sul Bosforo in funzione anti-russa (le chiude l’accesso al Mediterraneo), sta allacciando rapporti più che fecondi con l’antico avversario. Un riposizionamento che mette in pericolo tanti interessi, nazionali e internazionali.

Situazione quindi più che frammentaria, quella turca, nella quale l’Agenzia del terrore si insinua, con le sue azioni sanguinarie, per dilatare le fratture e accentuare eventuali processi disgregativi.

Se, quindi, principale obiettivo dell’Isis era creare difficoltà a Erdogan e all’alleanza turco-russa, non sembra riuscito nello scopo: simbolico che oggi aerei turchi e russi abbiano agito in combinato disposto contro l’Agenzia del terrore in Siria. Un’inedita collaborazione militare iniziata solo alcuni giorni fa, e che sta dando frutti.

Ma l’azione di capodanno era altrettanto simbolica nell’annunciare, almeno nelle intenzioni, un anno particolarmente difficile per la Turchia.

Il 28 dicembre, dando notizia dell’accordo turco-russo sulla Siria, avevamo accennato ai possibili rischi cui Ankara andava incontro data la situazione delicata (per leggere cliccare qui).

Si spera che l’intelligence turca e russa trovino un’efficace collaborazione in chiave di contrasto al terrore, capace di arginarne le sanguinarie iniziative.

L’Occidente potrebbe dare un aiuto concreto. Sarebbe anche nel suo interesse. Ma per farlo dovrebbe preventivamente accettare il piano di pace siriano elaborato dalla diplomazia russo-turca. Cosa che non riesce ancora a fare.

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