Opzione militare contro l’Iran: la guerra dei neocon a Trump


PICCOLE NOTE

«Le dichiarazioni di Trump, che sembravano in apparenza minacciose, in realtà ammettono l’emergere di un potere non più controllabile […] a differenza del passato, il nuovo presidente americano non ha parlato di opzione militare contro l’Iran perché il potere iraniano è credibile e il nemico ha realizzato e accettato il potere dell’Iran». Queste le dichiarazioni del generale Hossein Salami, vice-comandante delle Guardie rivoluzionarie, corpo d’élite di Teheran, riportate dall’Agenzia iraniana Fars News il 17 ottobre. Dichiarazioni di certo rilievo, tanto da essere riprese anche dal Times of Israel.


Al di là dei toni baldanzosi e sprezzanti e della retorica usuale degli scambi di scortesia tra Teheran e Washington, la dichiarazione va al punto: nonostante i toni minacciosi usati nel suo discorso contro l’Iran, seguito dalla de-certificazione del trattato nucleare, Trump avrebbe potuto alzare la posta, e tanto.

Non l’ha fatto. Tanto che a Teheran, al di là dei commenti sdegnati riservati alle parole e alle iniziative del tycoon prestato alla politica, pare circolare la sensazione che l’amministrazione americana abbia riposto nel cassetto l’ipotesi di uno scontro diretto con l’Iran (anche se il conflitto a bassa intensità tra Washington e Teheran in Iraq e Siria riserva ancora code e sorprese).

Insomma, Trump non ha obbedito ai diktat dei neoconservatori che volevano proprio tale scontro: il presidente non avrebbe dovuto limitarsi a de-certificare l’accordo sul nucleare, ma lo avrebbe dovuto annullare, come spiegava l’ex ambasciatore Usa all’Onu John Bolton, in un tweet precedente al discorso presidenziale (vedi Piccolenote).

Da qui l’attacco a Trump da parte di un altro paladino dei neocon, il senatore John McCain, che ieri ha accusato il presidente di non essere abbastanza assertivo nel mondo e di agire secondo un «patriottismo spurio e sgangherato».

Queste le parole di McCain: «Avere paura del mondo che abbiamo organizzato e guidato per tre quarti di secolo, abbandonare gli ideali che abbiamo promosso in tutto il mondo, rifiutare gli obblighi della leadership internazionale e il nostro dovere di essere ‘l’ultima speranza della terra’ in nome di un nazionalismo spurio e sgangherato creato da persone che preferiscono trovare capri espiatori che risolvere problemi è anti patriottico».

Le parole del senatore americano sono state riportate da Mattia Ferraresi sul Foglio del 18 ottobre, in un articolo dal titolo eloquente: «La guerra di McCain a Trump».

Insomma, non è andata bene ai neocon. Dopo tante e feroci pressioni, dopo aver avuto l’impressione, e forse rassicurazioni, che Trump avrebbe fatto quanto richiesto, il tycoon li ha traditi.

Gli ha dato un contentino verbale, nella retorica agitata contro Teheran (che pure contiene elementi di rischio), ma non è stato conseguente. Ha evitato la rottura. Ha avuto «paura», ha rifiutato «gli obblighi della leadership internazionale», per dirla con McCain, e via dicendo.

Singolare che a salvare il mondo dalle follie neocon sia un altro bizzarro personaggio, come appunto il presidente Trump.

Ma quest’ultima, di bizzarria, è meno pericolosa di quella propria dei neocon, ai quale va ascritta l’invasione dell’Iraq, che tanti guai ha procurato al mondo, tra i quali il dilagare del terrorismo internazionale (non è una nostra idea, ma quanto appurato dalla Commissione d’inchiesta Chilcot, istituita a suo tempo dal Parlamento britannico, vedi Piccolenote).

Sono ambiti influenti e tenteranno in ogni modo di piegare il riottoso presidente o farlo saltare. La guerra nel cuore dell’impero, dopo una breve tregua, si è riaperta. Una guerra feroce e trasversale, fatta anche di colpi bassi.

In questa cornice va probabilmente situata la trovata stravagante di Larry Flint (definito “il re del porno” per la sua attività nel settore), il quale ha promesso una ricompensa di 10 milioni di dollari a chi fornirà elementi utili a provocare un processo di impeachment.

È solo una delle tante e variegate turbolenze che Trump, la sua amministrazione e gli Stati Uniti d’America dovranno affrontare nel prossimo futuro.

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