Sochi, il futuro della Siria in bilico



PICCOLE NOTE



A Sochi si riuniscono delegati turchi e iraniani e parte dell’opposizione siriana per continuare i negoziati di Astana sul destino della Siria. Putin ha provato ancora una volta a coinvolgere i curdi siriani, ma il niet apposto dai turchi, che li considera terroristi, in questi giorni è più fermo che mai dal momento che li sta combattendo in uno scontro diretto.

La campagna contro il cantone curdo di Afrin da parte di Recep Erdogan aveva anche questo fine: rendere impossibile l’opzione inclusiva del presidente russo. Obiettivo centrato. Il compimento di tale obiettivo primario mette in secondo piano il fatto che le operazioni militari non stanno andando come speravano i turchi.


Attacchi aerei, qualche villaggio secondario conquistato, ma l’offensiva contro il cantone di Afrin al momento appare bloccata. Peraltro, secondo Debka-file, Putin avrebbe chiesto a Erdogan di non prendere la città. Cosa che potrebbe spiegare la poca assertività dell’esercito turco.


E forse spiegherebbe anche l’apertura di un altro fronte, quello per conquistare la città di Mambij, dove sono stanziate truppe americane. Proprio il destino di questa città è al centro di un’accesa controversia tra Ankara e Washington, dal momento che quest’ultima al momento non sembra affatto intenzionata a lasciare campo libero ai turchi.


Insomma, seppure i leader e i generali turchi minaccino sfracelli, la campagna di Afrin, come prevedibile, si sta rivelando dura per Erdogan. Ed è probabile che prima o poi il presidente turco espliciti i limiti dell’operazione con più chiarezza.


D’altronde non poteva farlo prima dell’incontro di Sochi, perché l’assertività di questi giorni gli consente di arrivare al tavolo dei negoziati in una posizione di forza.


Esattamente il contrario di quanto si prospettava dieci giorni fa, quando sembrava destinato a sedere al tavolo dei negoziati avendo perso il controllo di Idlib: la città siriana presidiata da al Nusra (al Qaeda) sulla quale Ankara esercitava certa influenza, sembra destinata a cedere all’offensiva portata dall’esercito siriano.


Ma questi sono i giochi di guerra, che purtroppo fanno vittime reali. Sul piano diplomatico, oltre all’apertura dei negoziati, va segnalato anche che alla vigilia del vertice di Sochi, Netanyahu ha voluto incontrare Putin. Un viaggio a Mosca nel quale il premier israeliano ha ribadito la contrarietà israeliana alla presenza di milizie iraniane in territorio siriano.




La posizione del premier israeliano era nota, come nota era anche quella del presidente russo, che finora si è defilato: semplicemente non può imporre agli iraniani di andarsene. Né Tel Aviv ha accettato il suo compromesso, volto a rassicurare gli israeliani attraverso lo schieramento di una forza di interposizione russa in Siria ai confini tra i due Stati.


Senza compromessi all’orizzonte, la visita attuale, ultima di tante, potrebbe apparire vana. Eppure ha un valore in sé: perché evidenzia che Israele ritiene Mosca un interlocutore con il quale occorre tenere aperto un canale di comunicazione ufficiale.


E che Putin, da parte sua, è aperto alle ragioni di Tel Aviv. Probabile che qualche accordo, sottotraccia e del tutto riservato, venga pur fatto.


Infine va rilevato che, mentre la comunità internazionale tende sminuire l’importanza del negoziato di Astana (e di Sochi) in favore delle assise sulla Siria tenute dall’Onu a Ginevra (finora del tutto inutili), Netanyahu gli dà tanta rilevanza da volare a Mosca il giorno prima del suo inizio.


Politico più che navigato, il premier israeliano sa bene che il destino della Siria si gioca più lì che altrove. Anche questa è una notizia. Da vedere cosa riserveranno i colloqui, che vedono l’Iran e, in maniera meno esplicita, la Russia, alquanto contrariate dalla campagna militare turca in territorio siriano. Mosca e Teheran non hanno potuto fermarla. Ma possono e sperano di arginarla.


Aiuterebbe l’apporto dei curdi, che purtroppo oggi giocano un gioco al massacro. Il loro massacro. Gli Stati Uniti li appoggiano e allo stesso tempo li scaricano per non rompere con la Turchia, membro Nato. La Siria e i russi vorrebbero proteggerli, ma loro non vogliono, anzi sì (vedi Piccolenote). Un deciso indecisionismo che non aiuta né loro né chi vorrebbe porre un freno all’ennesima escalation del conflitto siriano.

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