L’establishement Usa non gradisce il ritiro dalla Siria e attacca: favore a Putin

Piccole Note


Trump annuncia il ritiro delle truppe Usa dalla Siria
. Potrebbe cambiare il mondo. L’annuncio è arrivato a sorpresa, oggi, spiazzando un po’ tutti.


Siria: l’annuncio non gradito


Anzitutto l’establishement Usa, come dimostrano vari articoli del New York Times e del Washington Post che “raccontano” la decisione come l’ennesimo favore del presidente a Putin.


Questo ritiro, infatti, lascerebbe campo libero alla Russia, la cui presenza in Siria, e quindi nella regione, non ha più alcun contrasto.


Peraltro, secondo i media americani la decisione sarebbe stata presa contro il parere del ministro della Difesa, come dimostrerebbero le dichiarazioni di segno opposto rese da Mattis alcuni mesi fa.


Illazione indebita: è evidente che Trump non può essersi mosso contro il suo ministro, che evidentemente o ha cambiato idea o, cosa più probabile, allora aveva ritenuto opportuno dare rassicurazioni alle quali non credeva.


Non solo negli Usa, la decisione ha suscitato grande stupore anche in Israele: un dettagliato articolo di Debka annota che “il governo, l’intelligence e l’esercito” sono rimasti “interdetti” per una decisione che pare sia stata comunicata a Netanyahu solo cinque minuti prima dell’annuncio.


Va però annotata la cautela dei russi: se la portavoce degli Esteri ha rilasciato una dichiarazione di segno favorevole all’iniziativa, Putin ha ricordato i vari ritiri delle truppe Usa dall’Afghanistan, più volte annunciati e mai realizzati.


Eppure pare che il ritiro dei duemila fantaccini Usa piazzati in Siria a presidio del confine siro-iracheno abbia qualche fondamento.


Tanto che Debka spiega che si tratta di un punto di svolta per tutta la regione, alla quale Israele deve adeguarsi con “mesi di intenso lavoro”.


Già, perché la mossa cambia tutto: inutile tentare un’avventura contro Hezbollah, come immaginato forse da Netanyahu con l’operazione tunnel, dopo questa mossa, che allarga di molto il fronte di contrasto Tel Aviv – Teheran.


La guerra di Erdogan e l’antiaerea russa


L’iniziativa di Trump è stata preceduta dall’annuncio bellicoso di Erdogan, che ha comunicato l’inizio di una campagna contro i curdi, le cui milizie sono state inquadrate come truppe di complemento dagli americani, piazzate a presidiare la parte orientale dell’Eufrate in funzione anti-Isis (motivazione ufficiale contestata da turchi, russi e siriani secondo i quali è un pretesto per occupare l’arena siriana).


Proprio l’annuncio di Erdogan fa pensare che l’iniziativa Usa sia reale: gli Stati Uniti non possono rischiare uno scontro con Ankara per difendere i curdi.


Questi ultimi, privi dell’appoggio Usa, rischiano di restare schiacciati dalla tenaglia turco-siriana. Avendo finora rifiutato qualsiasi accordo con Damasco e accettato la condizione di ascari americani, sono chiamati a riposizionarsi per evitare un destino infausto, che si spera sia evitato.

Lo scacco Usa


A rafforzare l’ipotesi che il ripiego Usa sia reale anche il quadro mediorientale, dove si registra un secco scacco dei disegni che i neocon Usa hanno vagheggiato in supporto a certi ambiti della destra israeliana.


I cieli della Siria sono ormai sigillati, come spiega un dettagliato articolo su al Manar. A chiudere la porta ai raid israeliani, che pure a Tel Aviv reputano che possano proseguire, non sono solo le micidiali batterie anti-aeree S-300, ma soprattutto il sistema di rilevamento Polyana D4m1 piazzato dai russi in Siria.


Il dispositivo è in grado di rilevare anche i cosiddetti aerei invisibili e di comunicarne la posizione alla Difesa siriana, che in questo modo può colpire eventuali avversari anche con i sistemi antiaerei più antiquati degli S-300. Cieli sigillati dunque.


Oltre lo scacco strategico, anche quello diplomatico. Ne è immagine icastica la conferenza stampa congiunta che Erdogan e Rhouani hanno tenuto oggi ad Ankara, che sigilla vari accordi tra i due Paesi, non certo graditi a Washington (Anadolu).


Insomma, è possibile che gli Usa abbiano davvero riconsiderato la loro presenza nella regione, fino a ritenerla ormai obsoleta se non un rischio.


L’aggressività turca e le imprevedibili manovre di Netanyahu potrebbero innescare escalation a rischio guerra globale. Che evidentemente Trump non vuole.


Ma resta il dubbio. Tante le forze di contrasto. Tra cui l’Isis, che perderebbe il brodo di coltura proprio dell’attuale caos. Potrebbe battere un colpo.

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