Rivoluzioni colorate a Mosca e Hong Kong



Piccole Note

“I manifestanti di Hong Kong e Mosca non stanno arretrando”. Questo il titolo di un articolo del Washington Post alquanto significativo, dal momento che accomuna due eventi apparentemente distanti ma in realtà più che vicini.


Le proteste di Hong Kong vanno avanti da mesi, e sono ormai diventate una spina nel fianco del governo cinese. Nate contro l’introduzione di una legge che prevede l’estradizione in Cina, hanno preso un carattere sempre più indipendentista suscitando preoccupazione e ira a Pechino.


L’indipendentismo di Hong Kong e i moti russi


Un guanto di sfida all’annessione dell’ex colonia britannica avvenuta col trattato del 1997. Sfida dura, che sta demolendo l’economia di una regione che rappresenta un vero e proprio polmone finanziario della Cina.


Proteste ben organizzate a livello militare, come ha palesato la manifestazione che ha bloccato l’aeroporto di Hong Kong, costringendo le autorità a cancellare tutti i voli (fosse successo a New York i manifestanti sarebbero tutti nelle patrie galere per attentato alla sicurezza nazionale).


Ma l’interesse dell’articolo del WP sta appunto nel legare tali proteste con quelle di Mosca: secondo il Wp sabato sarebbero scese in piazza 50mila persone, la manifestazione più massiva degli ultimi anni (la richiesta è una maggiore apertura alle liste di opposizione per le municipali di settembre).


Russi e cinesi di Hong Kong, secondo il WP, rappresentano lo scontro delle forze della libertà contro i rispettivi regimi autoritari.


Sia Mosca che Pechino hanno evidenziato la natura eterodiretta dei movimenti di massa. Rivoluzioni colorate, come altre che si sono susseguite nei Paesi dell’Est e nelle primavere arabe contro governi non graditi all’establishement occidentale (nessun anelito di libertà in Arabia Saudita o in Ruanda o altri Paesi più graditi).


Il fatto che le rivoluzioni di Hong Kong coincidano e si sovrappongano al durissimo confronto innescato dagli Stati Uniti con la Cina è coincidenza puramente casuale… altri tempi quelli in cui Pechino, fino a un anno fa, era parte, anzi motore, della globalizzazione made in Usa. Allora non era regime autoritario, ma partner indispensabile. Tant’è.


Strategie militari


Al di là delle boutade, va registrato che la doppia spinta eversiva è possibile grazie al web, che lega, mobilità, indica strategie. Web ovviamente controllato dai Giganti informatici americani, nonostante la disinformazione permanente sul punto (vedi Russiagate).


A rendere l’idea di una strategia militare più che raffinata dietro le proteste anche gli obiettivi prescelti, non certo a caso: se a Honh Kong i manifestanti hanno dato l’assalto al Parlamento, a Mosca si sono adunati davanti agli uffici dell’amministrazione presidenziale. Praticamente nel giardino di casa di Putin.


Così Mosca e Pechino si trovano oggetto di sfide impensabili fino a qualche mese fa, con l’apertura di un fronte interno che immaginavano non potesse più aprirsi. Affannate a parare minacce, più o meno reali, esterne, si trovano spiazzate ad affrontare un fronte così scivoloso.


Non ne saranno travolte, ovvio. Sia Xi Jinping che Putin hanno la forza dalla loro e soprattutto un consenso popolare alieno ai politici delle nostre latitudini, dati i successi riportati, che hanno riguadagnato alla Russia i fasti perduti e al Dragone la nuova proiezione globale.


Organizzare per destabilizzare


Ma l’obiettivo di quanti stanno muovendo le fila delle proteste è quello di costringere Putin e Xi a una repressione durissima, cosa che invererebbe ancor più la narrativa sulla sfida tra libertà e tirannia e allontanerebbe in maniera irreversibile le due potenze dall’Occidente, riconsegnando agli Stati Uniti la primazia sul mondo sviluppato.


Non solo, lederebbe talmente l’immagine dei due leader che ne uscirebbero indeboliti anche sul fronte interno. Potrebbero cadere in disgrazia, aprendo la strada a successori meno ostici all’Occidente (più deboli o meno lungimiranti).


Così quella cui assistiamo non è solo una sfida contro Russia e Cina, ma anche contro quanti, da Trump alla élite tedesche (e altri), stanno tentando di gettare ponti con Putin e XI per per porre un freno alla destabilizzazione globale, che una repressione dura delle proteste di cui sopra alimenterebbe non poco.


Ne consegue che le cosiddette forze della libertà risultano al contrario consegnate alla destabilizzazione globale.


Mosca e Pechino si trovano in difficoltà: non hanno ancora sviluppato metodi soft per far fronte alle proteste di massa e devono guardarsi da un’informazione che, acquiescente quando le repressioni feroci avvengono in Paesi alleati, è più che scrupolosa altrove.


Secondo il Wp le proteste dureranno. Molto dipenderà da quanto accadrà questa estate, nella quale si sta giocando tanto destino del mondo (Iran e non solo). Con cronologia non estranea ai fatti di cui sopra.

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