Iran, Soleimani non progettava attacchi contro gli Usa. È ufficiale



Piccole Note

Il generale Qassem Soleimani non stava pianificando alcun attacco contro gli Stati Uniti. Il report della Casa Bianca che fu usato per avviare il raid che nel gennaio scorso uccise il generale iraniano, resa pubblica ieri, non fa alcuna menzione di tali minacce.


Così il New York Times: “Il promemoria di due pagine reso pubblico dalla Commissione per gli affari esteri della Camera di venerdì invece afferma che il radi contro Soleimani è stato realizzato in risposta a precedenti attacchi e per dissuadere l’Iran dal condurre o sostenere attacchi in futuro”.


Nello stesso giorno della rivelazione, il Senato ha approvato una legge per limitare i poteri di guerra del Presidente contro l’Iran, legge che deve passare al vaglio dalla Camera, ma che può essere vanificata da un veto del presidente.


La nota dunque evidenzia che la Casa Bianca ha mentito quando ha affermato che il generale stava pianificando imminenti attacchi contro gli Usa, che il suo omicidio avrebbe sventato.


Gli Stati Uniti hanno mentito al mondo. Ma al di della menzogna, resta la portata enorme dell’accaduto.


Mai nella storia degli Stati Uniti si era arrivato a tanto. Certo, tante volte in passato gli Stati Uniti sono stati accusati di aver eliminato figure internazionali percepite come oppositive, e spesso si è trovato anche prova di tali accuse, ma mai tale pratica è stata così esplicita, dato che a uccidere Soleimani è stato l’esercito Usa e l’iniziativa è stata rivendicata dal presidente.


La guerra di attrito e di menzogne contro l’Iran


Quanto accaduto manifesta che in questa guerra (per il momento) di attrito contro l’Iran, alla quale la Casa Bianca si è consegnata cedendo alle pressioni dei neocon, è condotta con menzogne e manipolazioni.


Non è una novità, basta ricordare la guerra all’Iraq legittimata dalle armi di distruzioni di massa di Saddam e le menzogne sulla guerra siriana.


Una banale conferma, dunque, che peraltro getta nuova luce su alcuni episodi controversi del recente passato – l’attacco all’Aramco, gli attacchi ad alcune petroliere in transito nello stretto di Hormuz -, che l’America ha attribuito a Teheran con narrazioni infondate.


Così anche una legge che limita i poteri di guerra del presidente, seppure benvenuta, non preserva da un’eventuale guerra, che può essere innescata da una manipolazione. Certo, essa potrà sempre essere disvelata in futuro, ma servirà egualmente allo scopo.


Le inesistenti armi di distruzione di massa di Saddam sono esemplari: la scoperta postuma della menzogna non ha impedito la guerra e, nonostante la prova delle manipolazioni, le truppe americane sono ancora in territorio iracheno nonostante ciò sia del tutto ingiustificato e siano, di fatto, truppe di occupazione (sul punto rimandiamo a un articolo del National Interest: “L’esercito americano ora sta occupando l’Iraq. È ora di andarcene”).


Ma al di là, resta da evidenziare un altro aspetto significativo, e non tematizzato, dell’omicidio Soleimani, la conseguenza più rilevante.

La presidenza Trump del post-Soleimani


Come accennato, Trump non è affatto convinto della campagna contro l’Iran. La sta conducendo controvoglia, spinto dai neocon e dalla destra israeliana (in particolare il premier Netanyahu), per i quali essa ha assunto un valore esistenziale.


Tale circostanza si è manifestata in tutta la sua plasticità in occasione del vertice di Biarritz del settembre 2019, quando Trump aveva accettato di incontrare Rouhani. Un incontro vanificato dalle pressioni convergenti di Netanyahu e del Consigliere per la sicurezza nazionale Usa John Bolton.


Peraltro, il presidente, nonostante il suo piglio muscolare, si è più volte detto disponibile alla possibilità di stipulare un nuovo accordo sul nucleare con Teheran, che porrebbe il mondo al riparo da una catastrofica guerra.


Finora non è mai riuscito a concretizzare nulla, troppe le pressioni contrarie. Ma, forse, in un eventuale secondo mandato, nel quale il presidente sarà un po’ più libero (non ha problemi di rielezione), si sarebbe potuta aprire una qualche finestra di opportunità.


L”omicidio Soleimani ha cambiato tutto. Se prima del suo assassinio Teheran avrebbe potuto accedere a un qualche forma di intesa, come dimostra quanto avvenuto a Biarritz, ora le possibilità sono residuali.


Quale esponente politico iraniano potrà mai stringere la mano di un presidente Usa le cui mani sono macchiate del sangue di un generale tanto amato in Iran?


Tale la conseguenza di un crimine che non ha giustificazioni, riguardo al quale rimandiamo a un articolo del New York Times, che spiega nel dettaglio il giubilo dell’Isis per l’eliminazione del suo acerrimo nemico (anche Trump ha affermato che l’Isis è un “nemico naturale” di Teheran, dimenticando però di ricordare il grande ruolo di Soleimani nella lotta contro tale mostro).


E a un intervento, sempre sul Nyt, di Benjamin B. Ferencz, uno dei giudici dei vari processi celebrati a Norimberga contro i nazisti, che condannava come “immorale” l’uccisione del generale iraniano.


Parla la storia. E getta una luce inquietante s questa irresponsabile campagna anti Iran.

Ps. Gli Usa hanno minacciato il successore di Soleimani, il generale Esmail Ghaani, dichiarando che ne avrebbe condiviso il destino (Business insider). Metodi da gangsters, non da Stato civile.

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