Gli Stati Uniti e la Corsa al Controllo Globale

di Federico Pieraccini


Nel
precedente articolo è stata posta particolare attenzione in merito alla definizione di ordine internazionale, al fenomeno della globalizzazione, le teorie geopolitiche e come sia mutata la concezione con cui una nazione difende la propria sovranità. In questa seconda parte il focus sarà concentrato sulle varie teorie geopolitiche, la trasposizione in dottrine di politica estera e le azioni concrete che gli Stati Uniti hanno svolto negli ultimi decenni per aspirare ad un dominio globale.

La Strategia del Rimland.

Per giungere ad un controllo del cuore della terra (Teoria del Heartland), Washington ha spesso ricorso alla teoria di Spykman (Rimland), riscontrando enormi difficoltà a controllare direttamente potenze come Iran, Russia e Cina. Più semplice attuare un’opera di contenimento. Gli Stati Uniti hanno ripetutamente provato quindi ad assicurarsi le zone di maggiore interesse della Rimland per poter giungere ad un controllo indiretto del Heartland.



In tal senso, l’Europa venne conquistata, grazie alla seconda guerra mondiale e all’intervento americano contro la Germania Nazista. L’epilogo della seconda guerra mondiale vide l’Europa quale parte integrante del sistema atlantico americano, un tassello importante per circondare l’Heartland.

L’espansione e la conquista di altre zone della Rimland (Inner Crescent - Mezzaluna Interna) proseguì durante la guerra fredda, in Asia, con le invasioni della Corea e del Vietnam. Un fallimento che farà emergere seri dubbi sulla capacità di Washington di sostenere uno sforzo militare del genere, così distanti da casa, occupando paesi stranieri con truppe di terra.

In Medio Oriente, altre zona di importanza capitale, Washington ha sempre avuto come obiettivo primario evitare che l’Iran post rivoluzione dominasse l’area. Per questo motivo, i Sauditi, sono da sempre grandi alleati americani. Sono la potenza regionale prescelta dagli USA, grazie al petrolio e al sistema finanziario del petrodollaro, per garantire a Washington una costante pressione sull’Iran, nazione parte del Heartland. Senza dimenticare la Turchia, parte della NATO ed inglobata nel sistema occidentale di potere.

La strategia finale è stata costantemente la medesima: giungere a controllare nazioni confinanti con l’heartland, grazie ad interventi militari diretti, al terrorismo economico e finanziario o al soft power culturale, per mettere pressione su Russia, Iran e Cina.

E’ soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, l’inizio dell’epoca unipolare americana, che le grandi élite Americane assaporarono l’idea di poter raggiungere realmente un’egemonia globale, conquistando quindi le nazioni del Heartland. Durante la guerra fredda l’obiettivo più realistico consisteva nell’impedire ad altre nazioni, alleandosi tra loro, di occupare e gestire il cuore della terra. Con la fine dell’Unione Sovietica, principale potenza occupante lo spazio del Heartland, contemporaneamente rivale principale per gli Stati Uniti, l’idea di una dominazione mondiale, per Washington, divenne un pensiero reale. Gli americani intendevano conquistare militarmente e con mezzi economici e culturali l’Heartland.

Da Mahan a MacKinder

Gli Stati Uniti hanno sempre dato grande importanza alla teoria di Mahan, ritenendola complementare all’invasione via terra e alla dominazione economica dei paesi del Heartland e del Rimland. Per quasi un secolo è rimasta un pilastro fondante della dottrina americana in materia di politica estera.

La marina americana ha spesso giocato un ruolo decisivo nelle vittorie degli Stati Uniti da inizio 900’ fino alla caduta del muro di Berlino, prima e seconda guerra mondiale comprese. Negli anni successivi il suo declino ha avuto conseguenze dirette sull’attuazione del piano di dominazione globale basato sulle tre teorie geopolitiche analizzate in precedenza, in particolare la teoria di Mahan venne praticamente accantonata per favorire un approccio di terra.

Durante gli anni 90 e 2000, l’importanza delle portaerei e del supporto aereo durante le numerose guerre degli Stati Uniti è stato fondamentale, ma il grosso del lavoro è stato svolto da truppe di terra. I combattimenti non avvenivano tra paesi con navi o aerei ma tra truppe, supportate da navi e aerei. Differenze fondamentali.

Dal 1989 l’importanza della teoria di Mahan è andata via via diminuendo nei policy-makers del Pentagono, favorendo azioni di terra come in Iraq ed Afghanistan o favorendo rivolte, colpi di stato o insurrezioni armate come in Ucraina, Libia e Siria. La relativa diminuzione della flotta della US Navy è stata una conseguenza prevedibile.

Dimenticatevi di Mahan, ecco MacKinder + Globalizzazione.

Lo strumento adatto per conquistare le nazioni del Heartland, oltre alla forza militare di terra e il dollaro, era la globalizzazione. Il globalismo mondiale, necessita di un’assenza di sovranità per le singole nazioni, alleate o meno, e di una interdipendenza economica enorme, dettata da un sistema finanziario basato sul Dollaro e completamente alterato a favore di Washington e della Federal Reserve. Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, negli Stati Uniti, nacque l’idea di un modello mondiale neoliberale, imperniato sul concetto di consumismo ed un’economia capitalista parassitaria, oltre ad un uso indiscriminato della forza militare.

Con il crollo delle repubbliche ex sovietiche, Washington iniziò ad avvicinarsi prepotentemente alle nazioni del heartland, via terra, minacciando sempre in maniera crescente la Federazione Russa. Non a casa, l’UE allargò l’adesione a queste nazioni nel 2004 inglobandole poi nella NATO.

Per raggiungere una dominazione globale occorre in primis quindi controllare la Russia. Vista la potenza militare degli Stati Uniti nel 1989 e l’assenza di rivali credibili, la teoria di Mackinder iniziò a concretizzarsi, in termini di approccio strategico per Washington, rispetto a quella di Mahan e Spykman che preferivano concentrarsi su mare e oceani circostanti la Rimland per controllare l’heartland. Il cambiamento nell’approccio, sempre meno navale ma più di forza terrestre e potenza economica continuava a prendere piede.

Con l’obiettivo finale di controllare la Russia, andrebbe riletta la guerra economica da parte delle élite occidentali ad inizio 1990 grazie alla complicità di Gorbaciov e Eltsin. Questo atteggiamento rivelò le intenzioni delle élite occidentali e solo dopo un palese rifiuto di Putin nel 2000 ad abdicare la sovranità Russa in favore di Washington, i rapporti peggiorarono definitivamente. Putin si oppone alla globalizzazione economica e finanziaria, espediente occidentale per ottenere una resa militare mettendo le mani sul pezzo pregiato del cuore dell’heartland: la Russia. Con questo concetto in mente, è facile comprendere perché Putin sia così mal rappresentato dai media occidentali, tutti di proprietà dei grandi gruppi editoriali, posseduti dalle oligarchie finanziarie internazionali.

La guerra in Afghanistan, l’apertura di basi NATO intorno ai confini Russi, l’uso del soft power in Ucraina per un cambio di governo tramite colpo di stato e le varie armi della destabilizzazione con l’uso del terrorismo in centro Asia e nel Caucaso sono parte di una strategia più ampia volta a circondare e contenere la Russia con l’obiettivo sempre puntuale di attirare Mosca nella rete di sostegno a l'atlantismo. Con le buone o con le cattive.

Lo scopo finale si riconduce sempre alla questione originaria di poter controllare il cuore della terra e le sue risorse, rappresentate in larga parte da Russia, Iran e Cina. Scopo finale è una forte presa sul resto dei continenti, da quello europeo a quello Asiatico, arrivando quindi a controllare praticamente tutto il globo. La missione è sempre la stessa, non cambia. Cambia solo l’approccio, una volta caduto il muro di Berlino. La fiducia nei propri mezzi culturali, economici e militari, dopo il 1989 ha portato gli Stati Uniti alla costruzione di un sistema internazionale basato sul principio del turbocapitalismo corrotto unito ad una forte di dose di bullismo militare. Le idee neoliberali di Washington hanno spesso avuto una forte spinta e un enorme sostegno grazie all’apparato militare. Washington si è trovata nella condizione di intervenire in quasi ogni scenario mondiale utilizzando strumenti come il soft power del cambio regime (Ucraina), le primavere arabe (Tunisia ed Egitto), passando persino per il concetto di hard power, ovvero un’aggressione militare come nelle vicende di nation building (Iraq, Libia ed Afghanistan).

Lo scopo, come sempre, attaccare l’heartland da ogni direzione, fino al collasso e alla conquista economica e militare.

Persino le basi militari degli Stati Uniti seguono questa logica di circondare l’heartland tramite le nazioni del Rimland. Non a caso, Iran, Cina e Russia risultano essere completamente circondate, in un approccio basato sul contenimento via terra di MacKinder. Un altro esempio riguarda i sistemi ABM (Missili Anti Balistici) mirati su Cina, Russia e Iran grazie alla loro capacità di produrre ed infliggere danni, agli Stati Uniti, in uno scenario bellico.

In questo senso, un’altra nazione vitale per gli Interessi USA è il Giappone che rappresenta una formidabile collana di contenimento verso la Cina. Solo sull’isola di Okinawa, circa 400 km dalle coste cinesi, ci sono circa 13 basi militari USA. Alla stessa maniera, tutte le nazioni che si affacciano sui mari che costeggiano la Rimland, rappresentano nazioni strategicamente rilevanti per Washington. Non stupisce quindi il panico indotto dalla vittoria di Duterte nelle Filippine e l’attenzione particolare data alle nazioni del sud-est asiatico come Vietnam e Malesia. Washington teme di avere meno alleati in una strategia di conquista della Rimland e contenimento Cinese.

Osservando una cartina è facile vedere come l’impero americano spinga verso l’heartland da tutte le direzioni. Direttamente o indirettamente con gli alleati.

Contro la Repubblica Popolare Cinese Da Sud-Est grazie al Giappone e alla presenza navale americana nel Mar Cinese, da Ovest contro la Russia grazie all’espansione NATO/UE, da Sud-Ovest contro l’Iran grazie ai Sauditi, Qatar e le basi USA in Medio Oriente. A Sud, oltre alla Turchia membri NATO, Washington vorrebbe allearsi con l’India per completare l’accerchiamento Russo. Un enorme tassello mancante che chiarisce l’importanza di Nuova Delhi nella strategia americana.



Gli ultimi 25 anni hanno visto prevalere nei policy makers USA l’idea che la conquista diretta delle nazioni del Heartland fosse innanzitutto possibile e in secondo luogo che fosse preferibile una soluzione di conquista via terra delle aree di interesse. Non solo il controllo culturale ed economico, ma un vero e proprio approccio militare per imporre una soluzione gradita alle élite di Washington. Le innumerevoli guerre dal 1989, specie Afghanistan ed Iraq, hanno rappresentato una scelta strategica impiegando forze di terra, con scopi di occupazione e conquista. Allo stesso tempo non va dimenticato il soft power utilizzato durante le primavere arabe e in Ucraina. Approcci complementari alla teoria di 100 anni prima di MacKinder che prevedeva l’opzione militare per conquistare le nazioni del Rimland e Heartland. Questa dottrina ha messo nell’angolo l’approccio navale, teorizzato da Mahan, che prevedeva l’uso delle navi per bloccare via commerciali e ottenere la supremazia nei mari, conquistando così il Rimland, dominando l’heartland e padroneggiando il mondo.

Le dottrine più recenti, da Bush a Obama, hanno usato un mix della teoria di MacKinder, unito alle più recenti tattiche dei diritti-umani intese come soft power. Le conseguenze di questo approccio hanno portato a disastri inimmaginabile per gli Stati Uniti, che viviamo oggi giorno con un Medio Oriente nel caos e sempre più allineato ad un asse sciita dominato dall’Iran. Cina e Russia sempre più unite (il fallimento della teoria della guerra fredda che mirava ad impedire un’alleanza tra Cina e Russia) e più in generale, l’India che ancora resta alleata di Mosca e in buoni rapporti con Washington, decidendo di non schierarsi apertamente con una parte o l’altra.

Il prossimo articolo si concentrerà sulle reazioni che Iran, Cina e Russia hanno adottato nel corso degli anni per respingere l’assalto perpetuo alla loro sovranità. Come la spinta americana verso l’egemonia globale abbia in realtà accelerato la fine del momento unipolare americano facendo emergere una realtà multipolare. Nel quarto e ultimo articolo, mi focalizzerò sulla nuova amministrazione Trump e come intenda completamente cambiare l’approccio alla politica estera USA degli ultimi 30 anni. Un ritorno al secolo scorso.

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