Mosul, il dramma dei bambini soldato dell'Isis

di Fulvio Scaglione

Le cronache che arrivano da Mosul, la grande città irachena nella Piana di Ninive occupata dai guerrieri del Califfato nell’estate del 2014, si arricchiscono di giorno in giorno di pagine sempre più drammatiche. La più recente è quella scritta dai racconti dei soldati iracheni che avanzano verso la città e che sempre più spesso si trovano ad affrontare bambini soldato intorno ai dieci anni di età, o piccoli kamikaze che si precipitano verso le truppe nemiche indossando cinture cariche di esplosivo. I soldati sparano, uccidono questi bambini. Poi si angosciano per averlo fatto.

E non basta. Le cronache di questa campagna di liberazione diventata, inevitabilmente, molto feroce (le incursioni aeree sono state sospese per le conseguenze che avevano sui civili), raccontano di bambini mandati in trincea dai miliziani dello Stato islamico, mentre Internet abbonda di filmati in cui i bambini vengono trasformati in boia, armati di pistola o coltello perché uccidano come automi i combattenti curdi o i soldati iracheni caduti prigionieri. Tanti altri (pochi giorni fa ne sono stati rapiti 200) sono stati usati come scudi umani o addirittura torturati. Tutto questo in una città, Mosul appunto, in cui vivono circa 350 mila minori. Un orrore senza confini.

I sei anni della guerra in Siria, ovviamente, non hanno risparmiato i bambini ad alcuna latitudine. Molte migliaia di giovanissime vite sono cadute sotto le bombe di ogni parte; 2,3 milioni di bambini vivono come rifugiati fuori dalla Siria, in campi profughi o peggio, e più di 3 milioni di bambini siriani vivono da profighi all’interno del loro Paese, gli uni e gli altri costretti a fuggire e perdere tutto per salvarsi dalle avanzate di tutti contendenti. Una recente ricerca dell’ong Save the Children ha prodotto questi risultati: dopo sei anni di guerra, l’81 per cento dei genitori dice di aver notato comportamenti aggressivi, nel gioco e nella vita quotidiana, da parte dei propri figli; il 71 per cento dei genitori nota che i figli bagnano il letto come non facevano prima; il 48 per cento dice di aver incontrato bambini che hanno perso la capacità di esprimersi correttamente o addirittura di parlare.

È la generazione perduta della Siria. Ma i bambini finiti sotto il giogo dell’Isis colpiscono ancor più perché il Califfato ha fatto di tutto per cambiare la loro personalità. Ha fatto loro il lavaggio del cervello per imporre una forma di Islam più che retriva, per trasformarli in piccole macchine della morte, subita o imposta. Per seminare nei loro cuori i germi di una sete di distruzione che avrebbero dovuto maturare in futuro. Non è stata una cosa improvvisata. Al contrario, è un progetto concepito in modo molto razionale e in modo altrettanto razionale e spietato portato a compimento. Bisognerà ricordarsene se, dopo aver fatto i conti con il Califfato, arriveremo finalmente a fare i conti anche con i suoi finanziatori e mandanti.

Pubblicato in Babylon, il blog di Terrasanta.net

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