Addio ai “Tre principi”: un Giappone militarmente “normalizzato” e più attivo

di Diego Angelo Bertozzi
Prosegue a ritmo spedito la marcia del Giappone verso la “normalizzazione” militare, vale a dire verso la chiusura della parentesi pacifista sancita prima dalla Costituzione (approvata durante l’occupazione militare Usa) e poi dall’allargamento, dal 1976, del divieto di esportazione di armi anche nei confronti dei Paesi non previsti inizialmente dai cosiddetti “Tre principi” (Paesi del blocco comunista, quelli soggetti a embargo di armi in sede Onu e quelli coinvolti in conflitti internazionali). E proprio in questo ambito arriva la nuova decisione - non certo un fulmine a ciel sereno - del governo guidato da Shinzo Abe: dopo mezzo secolo viene posta la parola fine al bando sull’esportazione di armi. Una mossa, spiega il New York Times, “per aiutare il Giappone ad assumere un ruolo di protezione regionale maggiore per compensare la crescita della potenza militare cinese”.
Ed è indubbio che questa decisione avrà importanti conseguenze in tutta l’Asia Orientale, soprattutto in quelle zone che vedono Giappone e Cina, e non solo, impegnati in dispute di sovranità. Tokyo, con le sue aziende del comparto difesa e dell’high tech, potrà inserirsi con maggiore incisività e peso nell’area calda del Mar cinese meridionale, dove il rapporto politico-militare con le Filippine è già da tempo ben avviato (a Manila sono state vendute navi per il pattugliamento delle acque contese e l’estate scorsa il ministro degli esteri nipponico Onodera ebbe a precisare che ci si trovasse di fronte “a una situazione molto simile a quella del Mar Cinese orientale del Giappone. Il Giappone è molto preoccupato che questo tipo di situazione nel Mar Cinese Meridionale possa pregiudicare la situazione nel Mar Cinese Orientale”), mentre quello con il Vietnam, in cerca di contrappesi a Pechino, potrebbe approfondirsi.
L’esportazione di navi di pattuglia “lungo rotte marittime per garantire il flusso sicuro delle risorse naturali” è chiaramente indicato come uno degli interventi consentiti. Allo stesso tempo un nuovo impulso potrebbe ricevere la visione giapponese di “asse” delle democrazie asiatiche con al centro il partenariato strategico tra Tokyo e Nuova Delhi. E la prospettiva di una “coalition of democracies”, costruita su rapporti bilaterali tra Stati dell’area più che su una organizzazione militare asiatica stile Nato, è da tempo particolarmente apprezzata da Washington in funzione di un contenimento anti-cinese.

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