Il Covid distrugge anche il Punto G



di Leo Essen

La scoperta è epocale, l’annuncio è definitivo: The G-Spot Doesn't Exist. Signore e signori,

Damen und Herren, mettetevi l’anima in pace, finitela con le ricerche ossessive e i sensi di colpa, finitela con la terapia di coppia, la depressione post-coitale e il senso di impotenza per un piacere ricevuto ma non dato: il punto G non esiste. A certificare la fine della storia è l’autorevole magazine Cosmopolitan (Cosmo per gli aficionados - cosmopolitan.com).

Ecco il punto, dice Elizabeth Kiefer: Donne avete creduto in una grande menzogna. E noi di Cosmo siamo in parte responsabili. Avete cercato, esplorato, tastato, sperimentato, palpato, e dato il via all'era del «Mysterious Female Orgasm», in cui potevate gridare alle amiche al Brunch: «Questa cosa del G-spot mi ha fatto esplodere le meningi». Avete seguito le nostre istruzioni – bene. Avete assunto la posizione «squatting», e infilato una o due dita e ravanato, nella speranza di portare il polpastrello sul fagiolo o la chiazza. E fuck, dice Kiefer, se abbiamo lavorato sodo per trovare il punto preciso.

Nel 2020, su Google, «Dov’è il punto G?» è stato cercato più di Michael Jordan e Michael Jackson. E a tutt’oggi il mercato di vibratori per il punto G, condom per il punto G, lubrificante G, officine G è ancora florido, mentre terapeuti, psicologi e paragnosti del punto G sono sul mercato a suggerire la posizione alla Antonio Inoki come soluzione definitiva.

Ci dispiace, dice Kiefer, ma ora vogliamo dire tutta la verità. C’è stato un tempo in cui, fino al 1982, c’era il sesso, quella cosa prosaica, subita come un destino biologico. Poi, grazie a noi, a Beverly Whipple e al suo best seller «Il punto G», è arrivato il sex.

Nel 1982, dice Kiefer, è nata la più frustrante parte finta del corpo della donna (frustrating fake body part). In questa considerazione di Kiefer, buttata lì con nonchalance (evidentemente si tratta di cose che le Donne di Cosmo masticano bene), in questa considerazione sono riassunti due avvenimenti, che qui accenno, ma che meriterebbero di essere approfondititi. Il primo è la consacrazione mondiale del neoliberismo – a gennaio dell’anno prima Reagan si era insediato alla Casa Bianca. Il secondo è la vittoria definitiva del performativo, ovvero del potere di fare cose con le parole, di far accadere cose con una atto di parola (uno Speech act – o una narrazione, come si direbbe oggi).

Per troppo tempo, dice Austin (1955), è stato ritenuto che il compito della parla (soprattutto della parola scientifica) fosse quello di descrivere lo stato delle cose, o di esporre un fatto per quello che esso è, e che l’unico criterio di valutazione fosse la verità o falsità dell'esposizione. Ora, non solo sappiamo che la parola può constatare un fatto, sappiamo anche che la parola fa accadere ciò che dice, ma, soprattutto, sappiamo che ogni parola che constata un fatto, e il fatto stesso constatato, sono infettati da un performativo, e che dunque non c’è scienza che non crei (manipoli) ciò che pretende di descrivere come uno stato delle cose.

Nel 1983 Feltrinelli pubblica «Il pensiero debole». E anche l’Italia entra nell’epoca della post-verità, e delle guerre civili retoriche. Epoca in cui si può dire tutto e il contrario di tutto, perché ciò che conta ormai è solo l'effetto di verità, ovvero la forza con cui una narrazione si impone su una narrazione concorrente. Non a caso nel lessico quotidiano prende piede la formula «Questo non lo dico io, ma lo dice x», formula che sottolinea il fatto che la verità non vale più per se stessa, ma per la fonte dalla quale promana, come se si dicesse «2+2 è uguale a 4. E non perché lo dico io, ma perché lo dice Pitagora». Il 1981 è l’anno del divorzio tra banca d’Italia e Tesoro.

Tutta la storia c’è sfuggita di mano, dice Whipple. Non volevamo dire che le Donne hanno un punto G, e anche la metafora del fagiolo non alludeva ad un punto fisico. Parlavamo di un’area, di una zona che potesse far star meglio. Poi sono arrivati i media (certo, i media!), e hanno travisato, semplificato e dato la stura a tutto il traffico e il business che conosciamo. Sta di fatto, dice Kiefer, che altri scienziati patentati hanno raccontato alle Donne che il punto G esisteva veramente, e aveva la forma di una corda, o di un acino d’uva, di un’innervazione, o di una spugna, o di una ghiandola, eccetera, e per provarne l’esistenza hanno trattato i tessuti con marcatori chimici, con esami istologici, ecografici, e persino con palpazioni post-mortem. E c’è ancora qualcuno che crede che ciò che importa, anche nella scienza, è l’effetto placebo. Se la bugia funziona più della verità, ha senso dire alle Donne che la storia del punto G è una panzana?

Di panzana in panzana, siamo arrivati alla supercazzola, compresa da tutti, ma giusto per non fare la figura di quelli che non hanno capito una mazza, che a dare il via alla post-verità sono stati, di volta in volta, il Femminismo, gli Hippy, le Butch, la Sinistra – Wojty?a.

Alain de Benoist, per esempio, dopo aver visto, inseme al suo gatto, qualche puntata di Sex and the City, ha capito che i cripto-sceneggiatori della serie TV sono stati i membri del gruppo della French Theory (Foucault, Deleuze, Derrida e Cixous). A parte il fatto che non è mai esistita nessuna French Theory; a parte le differenze, talvolta molto marcate tra questi scrittori, Benoist dovrebbe considerare (e ripassare) Firma Evento Contesto, del 1971 (1971!), in cui l’idea che tutto è cultura e costruzione sociale, che non c’è alcun punto di resistenza, che tutto e potere e narrazione, è demolita pezzo per pezzo. Bonoist dovrebbe connettere meglio le sue argomentazioni con la storia economica, per esempio con l’ascesa del neoliberismo a partire dal 1971, anno in cui Nixon decise di chiudere con Bretton Woods. Evidentemente gli appare più comodo ridurre tutto al circolino degli scrittori, come se essi avessero raggiunto il potere di Decidere non solo il destino dei loro personaggi, ma anche il destino del mondo, finendo (Benoist) per cadere proprio nell’errore che contesta ai 4 della sua French Theory.

Sia come sia, con la sua lingua Glam, il Mood, il Fake, il Bro e la Distopia, Cosmo rimane ancorato al mondo della Reclame, e alla necessità di profilare un consumatore per la produzione e una produzione per il consumatore.
Donne, è arrivato l’arrotino!

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