La tassazione in Italia: una partita di giro a favore del mercantilismo

Nel 2018 i dipendenti del settore privato erano 15 milioni 479 mila. 10 milioni 108 mila lavoravano a tempo pieno, di questi 1 milione 230 mila erano apprendisti, intermittenti, somministrati e stagionali. Percepivano una paga media annua di € 21.753. I part-time erano 5 milioni 370 mila, di questi 706 mila erano apprendisti, intermittenti, somministrati e stagionali.

I NO TAX AREA

I dipendenti privati mediamente percepivano una paga di € 10.658. Un lavoratore con un reddito complessivo lordo annuo di 8.145 risultava incapiente, cadeva nella cosiddetta no tax area, e non pagava IRPEF. Anche un lavoratore con un reddito di € 11.650 acquisiva un credito di imposta (bonus Renzi) che nei fatti lo collocava nella zona della non tassazione. Stessa cosa per un lavoratore con un reddito di € 13.450, con un figlio a carico al 50% (con più di 3 anni) e detrazioni per oneri per complessivi € 90.
Ciò vuol dire che, verosimilmente, una platea pari a 5 milioni 894 mila lavoratori dipendenti del settore privato non pagava un euro di IRPEF, e non pagava perché aveva un reddito troppo basso.
Nel 2018 il 38% dei lavoratori del settore privato verosimilmente aveva un reddito che rientrava nella cosiddetta no tax area. Non pagava IRPEF, e non la pagava perché trattavasi di lavoratori poveri.
Tutto ciò capitava nel 2018, prima di questo sfacelo.
Nel settore pubblico i lavoratori erano complessivamente 3 milioni 334 mila. Di questi, nessuno, nemmeno i part time, aveva un reddito medio annuo inferiore a € 13.883. Il reddito medio annuo complessivo era di € 34.195 euro.
Incrociati coi quelli del gettito fiscale, questi dati appaiono ancora più sorprendenti. Nel 2018 il gettito IRPEF complessivo dei lavoratori del settore privato (pari a 15 milioni a mezzo di lavoratori) è stato di 81 miliardi 425 milioni, mentre quello del lavoratori del settore pubblico (pari a 3 milioni e 300 mila lavoratori) è stato di 76 miliardi e 17 mila euro. Ciò vuol dire che, pressappoco, 15 milioni di lavoratori privati hanno pagato le stesse tasse di 3 milioni di lavoratori pubblici. Oppure che, posto che tre milioni di lavoratori del settore privato abbiano guadagnato come i lavoratori del settore pubblico, 12 milioni hanno percepito una paga da no tax area – se vogliamo usare questo inglesismo, altrimenti dovremmo dire che hanno percepito una paga da legge bronzea, più bassa di quella di un qualsiasi dipendente pubblico, che percepisce una paga notoriamente bassa.
Qui non si tratta di individuare un ultimo, l’ultimissimo (il call center, la logistica, il ragazzo delle consegne in bici), e farlo diventare l’esempio o la bandiera di una campagna politica o sindacale. Rincorrere i media tradizionali su questa strada dell’esemplarità può pagare (forse) nel brevissimo periodo, poi si dimostra una strategia comunicativa fallimentare.

UNA PARTITA DI GIRO


Un giorno al Tg della rai hanno fatto vedere un barbiere che non riusciva a trovare un apprendista, manco a pagarlo regolarmente. Il mattino dopo tutti a dire che gli italiani non hanno voglia di lavorare, che i giovani stanno a casa e non si sposano e non si spostano e sono «ciusi», etc, etc. Mentre il mondo del lavoro, complessivamente, scivolava nella povertà, a destra e a manca si costruivano gli esemplari per campagne politiche e sindacali ridicole. Persino Aldo Nove passava da Woobinda e Superwoobinda a Mi chiamo Roberta, il manifesto della sfiga, servito più a far vergognare il lavoratore, che iniziava così a percepirsi come vittima di un accanimento del destino, che a farlo sentire compagno di qualcun altro.
Qui si tratta di guardare i dati statistici – i dati anonimi – e considerare che nel complesso i lavoratori italiani sono super-sfruttati – dico i lavoratori, complessivamente. Senza distinzioni.
Tenuto conto che l’ IRPEF pagata dai dipendenti pubblici è una partita di giro – ma qui ci vorrebbe un ragioniere, con una calcolatrice e un po’ di sale in zucca, e meno economisti con modelli, teorie e cazzabuboli - e che l’IRPEF pagata dai dipendenti privati si assottiglia sempre più, bisogna mettere in soffitta il mito della tassazione alla fonte.
Se si considera la serie storica dei dati sulle tasse dirette e indirette - dal 1980 al 2009 - si nota che la struttura della tassazione ha cominciato a cambiare dal 1998. Mentre nel periodo precedente al 1998 le entrare da imposte dirette (IRPEF) sono state sempre superiori alle entrate delle imposte indirette (IVA), a partire dal 1998 le entrate da imposte indirette cominciano ad aumentare, sino a superare, per molti anni, quelle da imposte dirette.
In un processo generale di ristrutturazione della tassazione, e dunque dello Stato, l’imposizione si sposta dalla produzione alla circolazione.
Se l'Italia fosse un’economia chiusa, la ristrutturazione avrebbe solo un impatto sulla redistribuzione interna del reddito, spostando soldi da chi spende tutto per fare la spesa a chi invece accumula ricchezza. Ma siccome l'Italia è un’economia aperta agli scambi esteri, questa redistribuzione rientra in un piano generale mercantilista di riduzione del costo del lavoro, tenuto conto che le tasse indirette (IVA) sono applicate con le aliquote del paese di esportazione. Pertanto, un aumento dell’IVA in Italia non ha, al contrario di un aumento dell’IRPEF, alcun impatto negativo sulle esportazioni, mentre ha un impatto negativo sulle importazioni.
Per chiudere vorrei ricordare che, all’alba della crisi economica del 2007, nel silenzio generale, la Germania, prima tra i primi, varava un aumento dell’IVA, giusto per rendere più competitive le sue merci in Europa – ovviamente a danno dei cugini e dei fratelli degli altri Stati.

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