"Forestierismi": come affrontare un problema reale nel modo sbagliato

L'iniziativa del vicepresidente della Camera Rampelli di multare i "forestierismi" inutili è - come spesso accade - un modo poco sensato di affrontare un problema reale.

Che ci sia un'emergenza linguistica legata anche, ma non solo, alla sostituzione improvvida di parole straniere a equivalenti italiani è una realtà. Ma questo è solo un sintomo, non la malattia.

Qualunque discussione sulla lingua deve partire da alcune premesse:

1) La lingua è il medio primario del pensiero riflesso;

2) Un impoverimento della lingua ha conseguenze in termini di indebolimento nella capacità di analisi e di ragionamento discorsivo;

3) Gli imprestiti da altre lingue con una grammatica diversa creano problemi di coordinamento con le regole della lingua madre (plurale/singolare; genere; aggettivazione, ecc.);

4) Un ricorso eccessivo e immotivato a imprestiti stranieri è di solito un modo per camuffare la vaghezza e imprecisione dell'uso importato (come si vede bene nel fatto che le parole straniere importate spesso non riproducono fedelmente il senso originario).

5) Il ricorso ad una lingua zeppa di imprestiti, tipicamente inglesismi, finisce perciò per essere manifestazione di superficialità, approssimazione e confusione, producendo un ibrido che è sia cattivo italiano sia cattivo inglese, e nell'insieme è cattivo pensiero.

Il problema è che questi sono sintomi, sintomi di un processo molto più generale promosso da un'esterofilia sbracata, da una colonizzazione culturale totale (prevalentemente made in USA), e - più grave di tutto - da una generale riduzione della competenza linguistica attiva e passiva, cui il ricorso a parolette inglesi (prevalentemente un inglese tecnico da aeroporto) fornisce semplicemente toppe gualcite.

Dunque, l'idea di cercare equivalenti espressivi nella lingua italiana, eventualmente anche ricorrendo a neologismi italiani, è di per sé un'idea giusta, mentre l'idea di perseguire questa idea con delle multe è insensata e controproducente (E' materialmente impossibile da implementare e finisce per creare ovvie resistenze, mentre questo è un processo che può funzionare solo se diviene una nuova spontaneità.)

In ogni caso occuparsi di questo sintomo senza guardare in faccia il monstruum di cui è sintomo è un modo come un altro per fare ammuina, per dare l'impressione di impegnarsi per una buona causa, mentre di fatto la si continua ad affossare.

Il mostro è il degrado culturale complessivo, irrefrenabile e ad ogni livello.

I dati osservativi che provengono dalle università ci dicono che un numero sempre crescente di studenti ha gravi difficoltà a leggere e comprendere un semplice manuale. Le capacità di decodifica di testi scritti articolati e di argomentazioni orali strutturate sono in caduta libera. Le capacità redazionali medie peggiorano visibilmente ogni lustro.

Per i giovani la morsa creata da un lato dall'invasione dei supporti digitali, veri e propri produttori seriali di deconcentrazione, e dall'altro da una scuola sempre più burocratizzata e demotivante crea da tempo forme di analfabetismo funzionale di ritorno. E il fatto che ciò avvenga in concomitanza con l'incremento dei titoli scolastici nella popolazione dà una chiara percezione del valore medio di tali titoli.

Ma il problema di fondo, il problema più radicale di tutti è che per fare una cosa che richiede un po' di fatica ci vogliono motivazioni, condivise e socialmente diffuse.
E vivere in una società dove Achille Lauro parla all'ONU, Greta Thunberg prende la laurea honoris causa in teologia e Damiano dei Maneskin è proposto come epitome dell'artista impegnato è più eloquente di mille parole.

Perché mai ci si dovrebbe affaticare con parole e pensieri quando i nuovi eroi che ci scaldano il cuore sono pupazzi ventriloqui?

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